martedì 18 maggio 2021

ISRAELE E IL PARADIGMA VITTIMARIO: TRA SENSO DI COLPA E PROFITTO

14 Maggio 1948. Nasce lo Stato d'Israele. Risarcimento del senso di colpa europeo ed occidentale per l'Olocausto e i crimini del nazifascismo.

Crimini che contemplavano, però, anche Rom, Sinti, omosessuali, persone afflitte da disagio mentale e handicap, comunisti, anarchici. 

Minoranze etniche e sociali, nessuna delle quali ha mai ottenuto risarcimenti materiali o morali. Figurarsi la fondazione "a freddo" di uno Stato! 

Nessun senso di colpa, per questi uguali eccidi, ha dilaniato la coscienza della Vecchia Europa e del ricco Occidente. 

Dove, anzi, certe minoranze continuano ad essere discriminate e marginalizzate. Perseguitate, imprigionate e persino uccise. 

Forse perché nessuna di esse è citata tra le Sacre Scritture come Popolo Eletto

O forse, più semplicemente e concretamente, perché faceva comodo insediare quella componente ebraica, dalle cui radici giudaiche nasce, volente o nolente, il cristianesimo -radici dunque all'origine di larga parte della moderna cultura occidentale- in un Medio Oriente che, dopo i due conflitti mondiali, si apprestava a divenire il serbatoio della ricchezza globale, con i suoi enormi giacimenti petroliferi. 

Un risarcimento morale e materiale attraverso cui esigere,  dunque, anche un prezzo oneroso. 

Quello di uno Stato Sionista gendarme, nella regione, dell'impero statunitense e degli interessi occidentali. 

D'altronde, gli affari sono affari. Il business è business. E le motivazioni del Profitto trionfano su tutto. 

Se poi a sostenerle ci sono anche la religione, la contrizione morale, il martirologio, il perdono, e dio, beh il gioco è fatto! 

Ubi maior minor cessat... 

E così i palestinesi, da più di cento anni (tutto ha inizio dopo la prima guerra mondiale con il protettorato britannico, se non prima) pagano il fio dei desideri espansionistici e dei crimini degli imperi europei. Della loro avidità e della loro sete di potere. 

Pagano il fio di quel Capitalismo feroce che, pur di difendere il proprio dissipatore stile di vita, il proprio dissennato consumismo, la propria vocazione al mercato e al profitto, ha prima creato il mostro nazifascista da contrapporre al pericolo rosso;  e poi, da quelle stesse macerie, ha tirato fuori un nuovo, subdolo nazionalismo. 

Il sionismo, il cui riscatto per l'Olocausto doveva necessariamente coincidere con gli interessi petroliferi delle multinazionali americane ed europee. 

E la cui affermazione non poteva certo essere limitata dalle umane ragioni di un popolo come quello palestinese. 

Spesso trascurato se non addirittura avversato e combattuto dalla stessa comunità araba. 

Un popolo da sempre, d'altra parte, cancellato dalla Storia e dalle mappe geografiche. 

Nonché, ancora secondo le scritture, usurpatore della cosiddetta Terra Promessa ebraica. Elemento certamente non trascurabile. 

Insomma, la nascita dello Stato d'Israele rappresenta la quintessenza di tutte le conseguenze delle distorsioni prodotte da un mondo fondato, da sempre, sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, sulla sopraffazione, sul colonialismo, sull'imperialismo. Sulla lotta tra le classi. 

Ma anche su quella visione trascendente, arbitraria e mistificatoria della realtà, che si suol definire religione. 

Una traslazione dell'oggettività materiale nel nulla. Un nulla però, chiamato dio

E allora,  accade così che un popolo il quale, con un puro atto di presunzione vittimaria, compiuto proprio nel nome di quel Nulla divino, voglia definirsi Eletto, venga prima perseguitato per secoli, poi indennizzato, infine, quasi per paradossale nemesi, si veda ratificare per Legge -questa volta umana- la sua presunta elezione. 

Dando in tal modo vita, nel secolo del senso di colpa rivelato, al nuovo paradigma fondante la realtà attuale. 

Il paradigma della vittima elevata ad ideologia e perciò stesso a tutela imperitura del simulacro democratico. 

Simulacro corporativo, per il quale solo chi muore ai piedi di questo marmoreo blocco monumentale e sclerotico, raffigurante la democrazia, sarebbe degno di accedere allo statuto di vittima. 

Gli altri, siano essi individui o popoli, non meritano riconoscimenti post mortem. Figurarsi menzioni mass-mediatiche o legittimazioni politiche. 

Solo la riprovazione dei Creonte di turno. Quando non il marchio infamante di terroristi! 

Benvenuti nel regno ossimorico della democratura risarcitoria! 

Ma due torti non fanno una ragione. 

E così quello Stato creato dal nulla, senza un accordo con la comunità arabo-palestinese, sulla base di una concezione laboratoriale, e finanche etnica della politica, capace di tagliare via le ragioni dei popoli; 

sulla base di precisi interessi economici e imperialistici; come di un'ideologia nazionalista fondata, a sua volta, su presupposti di ordine religioso e sul presunto verbo scritto nella Bibbia e nella Torah, assurge oggi a modello di un nuovo ordine mondiale. 

Dove a fondare la verità sono le vittime proclamate da un sistema che delinea sé stesso come un Leviatano intoccabile. 

Stato/Moloch -quello sionista- dei disastri materiali e culturali dell'ideologia capital-liberista. I cui gendarmi sono senz'altro Dio, Patria, Famiglia. 

Ma con Profitto e Vittime a fare da ineludibili  cecchini. 

I palestinesi muoiono a migliaia sotto i colpi di questi spietati tiratori. Ma nella percezione comune non sono da considerarsi vittime. Non potrebbero! 

Un simile privilegio, nel mondo "democratico" del relativismo etico, dove la verità promana dalle stanze inaccessibili del Castello kafkiano -dimora del dio beffardo della Legge- è concesso solo agli israeliani. 

Le vittime palestinesi, viceversa, secondo la stringente logica del paradigma vittimario, oscuro labirinto tra i cunicoli del quale si smarrisce l'autenticità storica e politica, confondendosi nella liquidità entropica di un'informazione destituita di senso, divengono pertanto la fisiologica conseguenza della lotta del Bene contro il Male

Dove il Bene è rappresentato dallo Stato invasore di Israele e il Male dall'oppresso popolo palestinese. 

Grazie ad un meschino gioco di prestigio linguistico-mediatico, fondato su manipolazioni psicologiche che agiscono nel profondo, si compie dunque l'incantesimo metafisico del rovesciameto di senso. 

I carnefici si tramutano in vittime e le vittime in carnefici

Capolavoro di una società che ha smarrito coscienza e verità tra le pieghe del discorso, tra i funambolici sofismi del linguaggio e tra le sabbie mobili della comunicazione totale.

Sia chiaro dunque, in conclusione. 

Lo sterminio di sei milioni di ebrei da parte della bestia nazifascista, è e resterà una ferita aperta nel petto e nella storia dell'umanità. Una ferita che non si rimargina. 

Ma il genocidio -come afferma  Norman G. Finkelstein, ebreo americano figlio di genitori sopravvissuti alla Shoah, nel suo provocatorio ma documentatissimo L'industria dell'Olocausto- non può diventare l'alibi attraverso il quale Israele, come scrive lo stesso Finkelstein, non solo «estorce denaro all’Europa in nome delle ‘vittime bisognose» riducendo «la statura morale del loro martirio a quella di un casinò di Montecarlo»; ma arriva a giustificare ogni  azione criminale nei confronti del popolo palestinese, adducendo la scusa della propria difesa. 

Israele, con la sua politica di aggressione, segregazionista e guerrafondaia ha degradato il martirio di quei sei milioni di ebrei a livello di un meschino pretesto, al fine di esercitare un potere arbitrario, illegittimo e costellato di violenze. 

Il tutto, a sostegno di una perversa logica d'invasione coloniale, imperialista e repressiva, che dal popolo che fu oggetto di una barbarie simile sarebbe stato lecito non attendersi. 

Un atteggiamento che, a ottant'anni di distanza, lascia sgomenti e inorriditi. 

Perché proprio a quelle che furono le vittime dell'Olocausto manca oggi la pietas necessaria di fronte ad un popolo al quale il sionismo revanscista, razzista e, in fin dei conti fascista, sta costringendo a vivere la stessa angoscia e violenza persecutoria. La stessa pulizia etnica. 

Sete di potere e di vendetta di una miseria umana senza vegogna! 

Vincenzo Morvillo