Rothko Chapel

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"L'estensione logica del business è l'omicidio!" (D. Cronenberg)

sabato 14 settembre 2013

PER LA FIFA IL GOLPE IN CILE NON E’ MAI AVVENUTO: OGGI, COME GIA’ NEL ’73, L’ORGANO SUPREMO DI CONTROLLO DEL CALCIO FA GIOCARE LA PARTITA DI QUALIFICAZIONE AI MONDIALI. MA E’ TUTTO LO SPORT, ORAMAI, AD ESSERE SCHIAVO DEL BUISINESS




A riprova di come il mondo del calcio, e dello sport in genere, siano essenzialmente inseriti nel sistema capitalistico e le istituzioni che li governano rispondano ad interessi squisitamente finanziari e, in quest'ottica, non abbiano un briciolo di umanità. E, mi sia consentito, di come l’URSS, pur con tutte le sue storture, fosse un baluardo contro la globalizzazione, oramai trionfante!
Ieri sera, mentre guardavo il film di Andrès Woo, "Machuca" -tenero racconto sui giorni che precedettero immediatamente il golpe cileno, visto con gli occhi di due bambini, uno ricco e borghese, l'altro povero e indio- sul finale, che si svolge ovviamente quando il criminale Pinochet è già a capo della Junta, viene inquadrato un giornale, sulla cui prima pagina campeggia questo titolo: "La FIFA dichiara che la vita in Cile si svolge normalmente". Finito il film, incuriosito e sgomento -il secondo sentimento era senz'altro più intenso del primo- mi siedo al Pc per scoprire a cosa volesse far riferimento il regista, con quell'inquadratura del quotidiano. Ebbene, scopro che la FIFA -cosa che mi era ignota- nel 1973, anno del golpe, mantenne in calendario lo scontro tra il Cile e l’Unione Sovietica, da disputarsi all’Estadio Nacional di Santiago del Cile, nonostante quello stadio fosse stato trasformato, dai militari, a partire dall'11 settembre, in un campo di concentramento e tortura.
In pratica, quell'anno, la nazionale cilena si giocò –nientemeno che contro l’Unione Sovietica– il ripescaggio ai Mondiali del ‘74, organizzati dalla Germania Ovest. Il 26 settembre ‘73, la partita di andata, giocata nello stadio “Lenin” di Mosca, era finita 0 a 0, rendendo così decisivo il ritorno, previsto per il 21 novembre all’Estadio Nacional di Santiago del Cile, casa dell’Universidad de Chile e adibito, in quei giorni, come è noto, a campo di concentramento e tortura per diverse migliaia di cileni. Una commissione della FIFA fece, allora, un sopralluogo allo stadio, decretandone l’ottimo stato del prato e approvando quindi il regolare svolgimento della partita. L’Unione Sovietica, che dopo il golpe aveva rotto le relazioni diplomatiche con il Cile, disertò l’evento che, paradossalmente, ebbe luogo ugualmente, con una sola squadra in campo, circa 18.000 persone sugli spalti e alcune migliaia di sequestrati spostati, momentaneamente, dallo stadio in diverse sistemazioni alternative e temporanee. 
In quel calendario perpetuo che è il suo ultimo libro "Los hijos de los días" (I figli dei giorni), Eduardo Galeano ricorda così «la partita più triste della storia»: «I prigionieri furono spostati e le massime autorità del futból mondiale ispezionarono il campo, prato impeccabile, e diedero la loro benedizione. La nazionale sovietica si negò a giocare. Assistettero diciottomila entusiasti, che pagarono il biglietto e festeggiarono il gol che Francisco Valdés segnò nella porta vuota. La selezione cilena giocò contro nessuno».
Insomma, la FIFA e le diplomazie mondiali preferirono quella macabra farsa, anziché denunciare quanto stesse accadendo in Cile, con centinaia di persone già morte nei giorni successivi all'instaurazione della dittatura fascista. Farsa che si ripeterà, del resto, anche in occasione dei mondiali nell' Argentina del 1978, anch'essa divenuta, dal '76, terra martoriata sotto il giogo della Junta militare di Videla. E d'altronde, di che meravigliarsi? Quelle feroci dittature erano state volute e finanziate, in primo luogo, da USA e Gran Bretagna -Reagan e Thatcher ne erano la criminosa incarnazione- baluardi della "democrazia occidentale"!
Ma la FIFA è recidiva. Nei giorni scorsi, infatti, la Federación de Fútbol de Chile aveva chiesto ufficialmente di rinviare la partita, prevista per martedì 11 settembre e valida per le qualificazioni ai Mondiali di Calcio del 2014 in Brasile, in quanto ennesimo anniversario del golpe militare che, nel 1973, mise fine al governo socialista democraticamente eletto di Salvador Allende. La FIFA, in risposta, appellandosi all’equità sportiva, ha fatto sapere che la partita non sarebbe stata rinviata, per non alterare il calendario delle eliminatorie dei Mondiali del 2014, stabilito precedentemente. Tutto ciò, è inutile sottolinearlo, in spregio di quei valori che dovrebbero rappresentare le fondamenta stesse dello sport: valori che, da tempo, sono invece divenuti mere figure retoriche della squallida propaganda di Potere.
Quel Potere –finanziario, politico, mediatico- che vorrebbe farci guardare allo sport come volano di pace, fratellanza e unione tra i popoli e gli uomini e che, al contrario, è essenzialmente garante, anche attraverso lo sport stesso, di quell’economia di mercato grazie alla quale, oggi, le società di calcio –e non solo- sono quotate in borsa e gli sponsor dettano le loro regole disumanizzanti. Regole che hanno mutato, nel corso del tempo e profondamente, il codice genetico del calcio e dello Sport in generale, trasformandoli, sempre più, in uno sporco affare miliardario e in un nuovo strumento di controllo, manipolazione e distrazione della coscienza di massa e di Classe!!!

mercoledì 10 luglio 2013

GRILLO, UNICA SPERANZA DI CAMBIAMENTO DEL QUADRO POLITICO ITALIANO? LETTERA APERTA ALLE COMPAGNE E AI COMPAGNI CHE HANNO VOTATO M5S




Care Compagne, Cari compagni,  
pur comprendendo la vostra rabbia per il disfacimento del quadro politico-sociale, venuto a delinearsi, negli ultimi vent’anni, nel nostro paese, nonché condividendo la disillusione che ci attanaglia per la frammentazione di un movimento comunista, incapace altresì di reagire, come si dovrebbe, alla drammatica situazione di crisi che tutti ci sta colpendo –e i motivi di tale inadeguatezza sono molteplici e non sempre nobili- ciononostante, non capisco fino in fondo –sicuramente per miei limiti- la scelta di guardare al Movimento 5 Stelle come ad una concreta speranza di cambiamento dell’attuale assetto politico italiano. Vi chiedo, infatti: come giudicate gli endorsement di Mediobanca e di Goldman Sachs –che poi va detto, ad onor del vero, se lo è rimangiato- per il movimento? E della vicinanza di Casaleggio al gruppo Bilderberg, che ne dite? E della sua inquietante visione del mondo: "GAIA"? E vogliamo parlare delle “democratiche” richieste di espulsione per chi non condivide il pensiero di un capo che, lo ricordo benissimo, in passato affermava che non si sarebbe mai ingerito nelle dinamiche del movimento, perché le decisioni spettano ai cittadini? E di alcune dichiarazioni, velatamente razziste, di Grillo -questione ius sanguinis e ius soli, per esempio- che ne facciamo? Le liquidiamo come un semplice inciampo linguistico? E della richiesta di poltrone cruciali, nelle commissioni parlamentari, in antitesi con quella “strategia politica” che si dichiarerebbe estranea ad ogni compromissione con le vecchie logiche di potere, che vogliamo dire? Per non discutere, poi, in chiave più teorica e generale, dell'interclassismo del movimento –si considerino, solo per portare un esempio, le gravi dichiarazioni della Lombardi sul fascismo buono o contro l’articolo 18, sic!- interclassismo che, personalmente, come marxista, rifiuto!
Dunque, quale sarebbe il merito dei 5S finora? Restituire le diarie? Criticare e sputare sul parlamento? Posso capirlo, ma allora la scelta sarebbe dovuta essere radicale: non presentarsi alle elezioni e dare, da extraparlamentari, battaglia seria in piazza. Altrimenti, si rischia il ridicolo e la contraddittorietà, come alcuni militanti del movimento stanno facendo notare da un po’. Ma poi, detto con franchezza, veramente pensiamo che la questione decisiva, in questo delicatissimo momento storico, politico, economico e sociale, per il mondo e per il nostro paese, siano gli stipendi dei parlamentari? E su via, questa è ingenuità bella e buona! Intendiamoci: le strutture e le organizzazioni interne dei partiti vanno senza dubbio riformate e "moralizzate" -parafrasando Berlinguer- e, su questo punto, non ho difficoltà ad ammettere che alcune proposte del 5 Stelle siano da condividere senza esitazione. La questione vera però, più ampia ed articolata, resta per me un’altra: il sovvertimento radicale, culturale, del modello criminogeno capitalista e neoliberista; di quel finanzcapitalismo insomma, per citare Gallino, che sta producendo un massacro sociale di dimensioni globali, cancellando non solo i diritti della classe lavoratrice ma colpendo a morte il concetto stesso di lavoro. Un modello completamente legato alle tendenze del marcato e, di conseguenza, necessariamente sordo alle esigenze dei popoli e delle classi subalterne. Se non fossi tanto ateo e anticlericale come sono, citerei il Papa e la sua “globalizzazione dell’indifferenza”.
Nei confronti di tale sistema, invece, il M5S non si pone in alternativa, anzi. Propone, è vero, alcuni cambiamenti radicali che andrebbero a colpire gli aspetti più degenerativi del capitalismo finanziario, ma lo fa con il chiaro obiettivo di mantenere quell’impianto. Del resto, come dovrebbe intendersi la proposta, tra le più urgenti avanzate dal Movimento, di abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti, se non nell’ottica di quelli che sono i cardini del pensiero liberal-liberista? E ricordo, a tal proposito, che quando fu introdotto Il finanziamento pubblico (Legge Piccoli n. 195 del 2 maggio 1974) la norma venne approvata con il consenso di tutte le forze politiche allora presenti in parlamento, ad eccezione, guarda caso, del Partito Liberale. Pertanto, una volta eliminati i finanziamenti pubblici, mi chiedo: chi rimarrà sulla scena politica? La risposta mi sembra scontata: miliardari che possano autofinanziarsi le campagne elettorali e quei partiti, funzionali al sistema, cui andranno le cospicue sovvenzioni di lobby potentissime, le quali poi influenzeranno, necessariamente, l’attività legislativa e di governo. In pratica, ciò che succede da tempo negli Stati Uniti, patria del capitalismo più spinto e, per come la vedo io, non proprio un esempio cristallino di democrazia, malgrado i media e la propaganda ce li presentino come la patria delle libertà e dei diritti democratici. Il problema, diciamolo chiaro, non sono i finanziamenti in sé –anche se i media, piegati agli interessi delle lobby finanziarie che li controllano e che avrebbero tutto da guadagnare dall’approvazione di una simile legge, soffiano sul fuoco della rabbia popolare, proprio al fine di farli cancellare- ma la trasparenza con cui li si gestisce, la disonestà dei gestori, il malcostume italico filo mafioso e la cultura dell’arricchimento personale ad ogni costo, legata essenzialmente a quella del Capitalismo. Ad ogni modo, a rinforzare i miei dubbi sul Movimento, va aggiunta poi la sensazione, devo dire alquanto sgradevole, che ho ricevuto leggendo lo scarno e approssimativo programma economico redatto per le elezioni. Mi è parso di intuire infatti, tra le righe, l’adozione di una sorta di socializzazione dell’economia –si badi bene, da non confondere con la collettivizzazione di matrice comunista- di stampo corporativista. La mia non vuol essere, mi pare chiaro, un’ allusiva accusa di fascismo, però sarei portato a credere che l’intento sia quello di trovare una sorta di placida conciliazione tra le classi. E si sa, quando ciò avviene –è la storia ad insegnarcelo- avviene sempre a vantaggio delle elite o delle borghesie capitaliste e a detrimento degli stati sociali più deboli e della classe lavoratrice. D’altronde -ed è la cosa che da marxista considero più grave- non una parola viene scritta, nel già citato programma economico, sui temi del lavoro o sull’articolo 18. E questo è un altro elemento che mi fa riflettere non poco!
Ciò detto, la questione dirimente resta invece, a mio modesto avviso, proprio il conflitto Capitale-Lavoro, da portare sul terreno di una Lotta di Classe estesa, generale, dura. Una Lotta di Classe capace di coinvolgere tutta la sfera del lavoro precarizzato: come si noterà, non parlo soltanto delle avanguardie operaiste. Una Lotta di Classe, per intenderci, dal basso, visto che oramai a praticarla, con una pervicace spietatezza, che ci riporta addirittura a tempi e condizioni risalenti alla prima rivoluzione industriale, sono rimasti solo i padroni. Or bene, il conflitto Capitale-Lavoro e la Lotta d Classe restano, per me, principi imprescindibili. E Grillo che non è, diciamolo francamente, né Lenin, né Che Guevara, né Togliatti, non mi pare possa assurgere a punto di riferimento, in tal senso. Con ciò, tuttavia, non voglio e non posso negare, come ho già detto e ho più volte scritto, alcuni meriti indiscutibili del Movimento, che ha posto, al centro del dibattito politico nazionale, questioni certamente importanti . Il problema, però, lo voglio ribadire con forza, è soprattutto di natura culturale. Perciò, qual è la cultura politica di riferimento dei 5Stelle? Quale il modello sociale da costruire? E la loro weltanschauung, per dirla con i colti, qual è? Se è quella di Casaleggio e del suo nuovo ordine mondiale, stiamo freschi! Essa, infatti, assomiglia senz’altro più ad un disegno dalle vaghe e inquietanti sembianze fascistoidi/orwelliane, che a quel modello declinato nel nome della libertà, dell’ eguaglianza e della giustizia sociale cui, da Comunista, mi ispiro. Insomma, per essere chiari, ciò che mi rende, più di ogni altra cosa, estraneo e diffidente nei confronti del M5S è la peculiarità delle premesse culturali, cui fa da impalcatura la fascinazione mitopoietica esercitata, con l’abilità tipica del demiurgo di platonica memoria –e come del resto già faceva Berlusconi- da Grillo, alle cui spalle aleggia la figura del Grande Architetto Casaleggio.
Premesse culturali che, come si intuirà da quanto ho appena detto, coinvolgono necessariamente l'immaginario collettivo e/o le dinamiche inconsce del desiderio. E non si tratta di mere speculazioni di carattere filosofico o intellettuale. Come in pratica dice Deleuze ne “L'AntiEdipo-Capitalismo e schizofrenia”: «Non esiste desiderio se non all'interno del costruire o dell'operare. Non si può afferrare o concepire un desiderio al di fuori di una determinata costruzione, su di un piano che non sia preesistente, ma che deve esso stesso essere costruito. Che ciascuno, gruppo o individuo, costruisca il piano immanente dove condurre la sua vita ed i suoi progetti è la sola cosa che conta. Al di fuori di queste condizioni, viene infatti a mancare qualcosa, ma si tratta precisamente delle condizioni che rendono il desiderio possibile[…]Tutto è politico». Insomma, in poche parole: cosa vogliamo? Dove vogliamo vivere? Quali vogliamo che siano i nostri desideri? E dunque, che società vogliamo costruire? Quella prefigurata dal guru Casaleggio mi sembra non solo angosciante, ma in netta continuità con lo schizofrenico modello attuale, cui pretenderebbe di opporsi. Anzi, ne rappresenterebbe, secondo me, il compiuto perfezionamento in termini spettacolari : «Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra le persone, mediato dalle immagini. Esso è la società stessa, per come si presenta: lo spettacolo è il capitale a un tale grado di accumulazione da divenire immagine»(Guy Debord-La società dello spettacolo) e/o in termini virtuali: «I governanti devono rendere conto a due tipi di elettori: ai cittadini che votano e al "senato virtuale", composto dalle multinazionali[…]Un tempo c' erano i dittatori, adesso ci sono i tiranni privati. Fanno gli stessi danni ma non hanno responsabilità pubbliche. Purtroppo, questi parassiti privati stanno avendo il sopravvento su un sistema di informazione come Internet, creato pubblicamente. Il loro scopo è di trasformarlo in qualcosa come la tv: servizi commerciali a domicilio, propaganda, indottrinamento» (Noam Chomsky).
Ascoltando con attenzione l’ultima parte del video GAIA beh, mi pare si vada proprio in questa direzione.
P.s. Ho volutamente deciso di sorvolare sulle voci che parlano di un abboccamento di Grillo con membri della CIA

venerdì 5 luglio 2013

L’EGITTO E LA FARSA DEMOCRATICA…TRA PASSATO E PRESENTE




Nell’articolo/intervista dal titolo “E’ stato un anno di farsa democratica”, pubblicato nei giorni scorsi da “Il Manifesto” –e che invito a leggere con attenzione- l'economista e filosofo egiziano Samir Amin spiega, con chiarezza di analisi, quali siano le vere ragioni economico-finanziarie che stanno determinando il destino politico dell'Egitto, come di gran parte dei paesi del Medio Oriente, compresa la Siria. Ragioni che ben poco hanno a che fare con le motivazioni religiose, utilizzate da Morsi al solo scopo di ottenere una sorta di dittatura della maggioranza e mano libera nell'adozione di decisioni economiche cruciali –l’obiettivo sarebbe costruire una teocrazia sul modello iraniano, creando un consiglio costituzionale di ulema in grado di controllare esecutivo, parlamento e sistema giudiziario- nonché addotte dai media internazionali, debitamente manipolati, per spiegare la crisi. Dietro a tutto invece, come sempre, l’inquietante ombra dei mercati e del business, e dunque la longa manus statunitense, del Fondo Monetario Internazionale e dei paesi UE -per non parlare di Israele, ovviamente, supervisore del Capitale nella regione- i cui principali garanti sono quei militari che, ipocritamente, ora si schierano con il popolo contro Morsi, ma che appena un anno fa sostenevano proprio l'attuale presidente, contro Mubarak e soprattutto contro il candidato nasserista Sabbahi, sconfitto principalmente con la frode. Una casta, quella militare, foraggiata da USA e lobby finanziarie che, attraverso essa, mirano alla tutela dei loro sporchi interessi, legati principalmente al petrolio e al traffico di armi.
Staremo a vedere, dunque, quali saranno gli ulteriori sviluppi della crisi ma, a ben guardare, possiamo dire che sta consumandosi, in questi giorni, in Egitto, l'ennesima farsa. Una farsa messa su nel nome di una democrazia da operetta, subordinata all’imperante ideologia del mercato e alle regole inumane del capitalismo finanziario, e il cui nome/simbolo, sbandierato sulle televisioni e i giornali di mezzo mondo, è divenuto, ormai, un abito adattabile a qualunque circostanza. Parola/Puttana, gestita dai magnacci dei media e svenduta al soldo del miglior offerente!
CONTIGUITA’ TRA PASSATO E PRESENTE.
Per delineare un quadro più chiaro di continuità storica, è bene ricordare che il filocomunista Nasser nazionalizzò, nel 1956, il canale di Suez per recuperare appieno l'indipendenza economica dell'Egitto dall'occidente capitalista, andando così a colpire però, pesantemente, gli interessi anglo-francesi. Le due potenze europee -fino ad allora proprietarie della Compagnia del Canale- risposero immediatamente a quella che ritenevano un’indebita ingerenza nei loro affari –è tipico dell’Occidente capitalistico considerare di sua proprietà ogni fazzoletto di terra che dia risorse economiche- organizzando un'operazione militare congiunta contro l'Egitto, alla quale si unì, ovviamente, Israele cui Nasser aveva deciso di impedire il transito attraverso il canale stesso. La crisi si concluse quando l'URSS minacciò di intervenire al fianco dell'Egitto e gli Stati Uniti, temendo l'allargamento del conflitto, costrinsero inglesi, francesi ed israeliani al ritiro. Nonostante ciò, nulla fu fatto per impedire a Israele di realizzare il suo progetto malgrado il suo esercito, guidato dal generale Moshe Dayan, avesse proseguito nella sua rapida avanzata dopo l'ordine dell'ONU di cessate il fuoco fra le parti. Dopo la Crisi di Suez, Nasser prese sempre più le distanze da Washington, rifiutando di entrare a far parte di uno schieramento anti-sovietico incentrato sul Patto di Baghdad composto da Iraq, Turchia, Iran, USA e Gran Bretagna, cui gli USA replicarono creando gravi difficoltà per il necessario finanziamento, da parte del Fondo Monetario Internazionale, al progetto, esposto fin dal 1952, di costruire una diga (Alta Diga di Aswān) sul fiume Nilo, che avrebbe garantito l'autosufficienza energetica al paese. Nasser si rivolse allora all'Unione Sovietica, con cui mantenne, da quel momento, rapporti economici. Inoltre, sempre per chiarezza di visione storica, va detto che, in politica interna, Nasser si oppose duramente ai Fratelli Musulmani, di cui è oggi esponente Morsi.  
P.S. In merito alla coincidenza, da me precedentemente adottata, tra le parole Democrazia e Puttana, chiarisco: chiedo scusa alle puttane, quelle vere, serie, da marciapiede, cui va tutta la mia stima e tutto il mio sostegno morale. Mi sembrava una precisazione dovuta!

mercoledì 8 maggio 2013

IL VOLTO FASCISTA DELLE FORZE DELL’ORDINE NELLA SOCIETA’ DEL CONSENSO ASSOLUTO




Ieri, 7 Maggio, ancora una volta la polizia italiana, a Napoli, ha mostrato il suo vero volto. Quello del fascismo più feroce e vigliacco. Gli sgherri di quel regime finanziario che sta, oramai, cancellando la democrazia e i diritti dei cittadini e dei lavoratori, in gran parte d'Europa e del mondo, nel nome del neoliberismo più spinto, del mercatismo, degli affari e del denaro, hanno, per ben due volte, nella nostra città -governata da un sindaco di sinistra (?)- aggredito studenti indifesi, con spietata premeditazione e, credo oramai di poterlo affermare con certezza, sulla base di una discriminante ideologica: il fascismo che, come ben sappiamo, attraversa, storicamente, le forze dell'ordine di questo nostro "democratico" paese.
La prima volta, in mattinata, sotto la Prefettura. Un gruppo di studenti, riunitosi per contestare l’arrivo della Ministra all’Istruzione, Maria Chiara Carrozza –all’indomani delle violente cariche poliziesche effettuate a Milano, fin dentro il perimetro universitario- viene prima aggredito da noti esponenti del neofascismo napoletano, che capeggiavano una manifestazione di lavoratori del Consorzio di Bacino, e poi caricato dagli sbirri. Ritorna, dunque, l'allegra saldatura -sempre in senso anticomunista, ovviamente- tra forze dell'ordine e fascisti, come già si era vista, nel nostro paese, durante tutti gli anni '70. Anni durante i quali, come ho più volte ripetuto, i vertici di Carabinieri, Polizia e Servizi non disdegnavano di collaborare con fascisti e mafiosi, nel quadro di quella strategia della tensione, che tanti morti e feriti "civili" ha lasciato sul campo.
La seconda volta, la Polizia ha caricato, ancor più selvaggiamente e con ancor più vile premeditazione, gli studenti sotto al Conservatorio, minacciando, tra l’altro, passanti e abitanti del quartiere, che protestavano vivacemente contro quel barbaro e gratuito pestaggio. 
Ora, qualcuno ci dice che il fantasma della Grecia e di quell'Ungheria, ormai caduta sotto il regime fascista di Orban, sono lontani. Ma, a parte il fatto che, tanto economicamente quanto politicamente, le similitudini sono inquietanti : disoccupazione in aumento, debito pubblico alle stelle da ripianare in vent’anni grazie al patto di stabilità (Fiscal Compact), elezioni con risultati praticamente truccati; ma qui, come è già successo in Grecia e in Ungheria, le forze dell’ordine sembrano oramai, come dicevo prima, spalleggiare forze di estrema destra e, invece di tutelare i cittadini, ne minacciano l’incolumità trasformandosi, di fatto, nel braccio armato di un potere politico accucciato ai piedi della finanza mondiale e di quelle lobby che non permettono a chicchessia di contrastarne il potere. Il dissenso è, praticamente, stato messo a tacere. Non una voce si può levare contro l’imperante dittatura del mercato e del denaro. E chi lo fa, viene manganellato spietatamente dai servi in divisa. 
Queste, m i si perdoni il pessimismo, sono le premesse -storicamente ve n’è riprova- per un colpo di stato fascista, qualora la crisi non trovasse risoluzione. E’ accaduto negli anni ’20 in Italia, all’indomani dei disordini del “biennio rosso”; è accaduto nella Germania di Weimar, funestata dall’onda lunga della crisi del ’29; stava accadendo in Italia, durante gli anni ’60 e ’70: tentato golpe Di Lorenzo, tentato golpe Borghese, tentato golpe della Rosa dei Venti. Per di più, oggi, non abbiamo un Partito Comunista -o una forza Comunista- che possa fare da argine ad una tale e funesta eventualità. Per favore, non dimentichiamo!!!
PER UN ANTIFASCISMO MILITANTE, ORA E SEMPRE RESISTENZA .

martedì 30 aprile 2013

LA GIUSTA CONTESTAZIONE DEI COMPAGNI CONTRO LA BLOGGER CUBANA YOANI SANCHEZ E LE MESCHINE IPOCRISIE DEL PD.




Da qualche parte, su fb, alcuni “sinceri democratici” del Pd hanno appellato la protesta -avvenuta durante il festival del giornalismo di Perugia- di un piccolo gruppo di compagni contro Yoani Sanchez, la blogger cubana, anticastrista e anticomunista, notoriamente al soldo della CIA, come fascista. Evidentemente, questi signori ignorano –o fingono di ignorare- la Baia dei Porci, i molteplici tentativi messi in atto dai nordamericani di uccidere Castro, e l'assurdo e scellerato embargo cinquantennale messo in atto dagli USA contro Cuba. E questo per fermarci all'isola caraibica! Vogliamo parlare, poi, delle dittature, quelle sì fasciste, instaurate in Americalatina da USA e impero britannico, con l'avallo silenzioso dei paesi satelliti della Nato, tra cui l'Italia? Vogliamo parlare delle violenze, degli omicidi, delle stragi, degli stupri commessi dai Contras in Nicaragua? O di quelli commessi dai militari fascisti, durante la dittatura di Pinochet, in Cile, sostenuta dalla politica economica liberista degli USA, che trovava la sua origine nella Scuola di Chicago? O di quelli messi in atto, durante la dittatura Argentina? O, ancora, negli anni di quella di Stroessner, in Paraguay? Tutto ciò, ritengo, basti a giustificare la rabbia contro chi, protetta dall'imperialismo americano e dalla compiacenza della stampa di mezzo mondo, al soldo delle lobby finanziarie, pensa di poter dire tutto il male possibile contro un paese, piccolo come Cuba e il suo Leader Maximo.
Ciò detto, mi chiedo e chiedo agli amici del PD: ma proprio loro danno del fascista ai contestatori? Ma un po' di dignità e di amor proprio, oltre che di pudore, non lo hanno questi signori?  
Loro, che con i fascisti sono al governo. Loro, che dei metodi squadristi della polizia e dei carabinieri, che manganellano e sparano sugli operai, sono sostenitori, esplicitamente o implicitamente, viste le "strategiche" scelte politiche messe in atto. Loro, che oramai hanno svenduto l'Italia alla politica rigorista della Germania e della Troika, e alla politica guerrafondaia degli USA. Loro, che hanno minacciato di espellere dal partito, chi non avesse votato la fiducia al governo Letta, dimostrando "l'alto senso democratico" che li contraddistingue. Loro, che hanno tradito, per denaro e potere, tutti gli ideali su cui hanno costruito la loro infame storia degli ultimi vent'anni, giocando sulla pelle di quella classe lavoratrice, di cui sarebbero dovuti essere, per tradizione e naturale collocazione politica, i difensori. Loro, insomma, ergendosi su un pulpito che non gli compete, danno del fascista a chi, con orgoglio e coraggio, difende gli ideali Comunisti di giustizia, uguaglianza, pace, contro lo strapotere del pensiero neoliberista e neocolonialista, che domina, ormai, l'intero globo! E siffatti personaggi non li ho mai sentiti inveire, con la stessa acrimonia, contro quello che sta avvenendo in Grecia o in Ungheria. E lì sì, siamo realmente in presenza di fascismo e nazismo!
Le uniche eccezioni, in questo desolante scenario, che assomiglia sempre più ad una mondiale dittatura orwelliana, sono, appunto, quei paesi dell'Americalatina che, con coraggio, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, stanno tentando di costruire un'alternativa socialista a quel capitalismo finanziario e criminale che sta avvelenando e massacrando le economie dell’intero pianeta e, con esse, la maggioranza dei popoli. Forse, ai signori del Pd è sfuggito che, nel mondo, è in atto una guerra o, per meglio intenderci, una Lotta di Classe sanguinaria, perpetrata dalle classi e dai paesi dominanti, contro le classi e i paesi più poveri. Bene hanno fatto, dunque, i compagni a contestare, anche vivacemente, la Sanchez, propaggine del potere USA nella colonizzata e martoriata Italia. Mentre, ai democratici del dissolvendo PD consiglierei di riflettere a lungo, prima di parlare, e soprattutto di evitare quei falsi moralismi piccolo-borghesi che li connotano, tanto sul versante politico che su quello esistenziale. Piaccia o no a loro, sono complici di quel fascismo finanziario, che sta conducendo l’Italia sulla soglia del baratro e le famiglie, i giovani, le lavoratrici e i lavoratori di questo paese alla disperazione.
W CUBA SOCIALISTA. W FIDEL. W IL COMUNISMO.





giovedì 25 aprile 2013

IL 25 APRILE E IL GOVERNO NAPOLITANO-LETTA




Ernesto Che Guevara diceva: « Credo nella lotta armata, come unica soluzione per i popoli che lottano per liberarsi». In alcuni frangenti storici e in alcune situazioni politico-sociali, sono convinto che per un popolo oppresso non ci sia altra soluzione.
In questo giorno che, il 25 Aprile 1945, vedeva l'Italia liberarsi, attraverso la lotta armata, dal giogo nazifascista, non c'è molta voglia di festeggiare. Oggi, questo giorno, segna l'inizio, con il governo Letta -membro di Bilderberg, Vice presidente dell'Aspen Institute, che è una succursale del Bilderberg, e membro della Trilaterale, come il suo predecessore Monti- imposto da Napolitano, del definitivo commissariamento della Repubblica Italiana, nata dalla Resistenza, da parte di quegli stessi poteri finanziari che, negli anni 20/40, prima sostennero economicamente i fascismi europei e poi condussero il mondo alla II Guerra Mondiale. Il tutto, per meri fini affaristici e di potere!
Inoltre, mi giunge notizia che Alessandra Mussolini farebbe parte del governo insieme al PD. Insomma, la nipotina del duce, da cu circa 70 anni fa l'Italia si liberò, pagando un altissimo tributo di sangue -sangue partigiano e soprattutto sangue Comunista- viene chiamata a reggere le redini di questo paese da coloro che si dichiarerebbero i discendenti dell'ex P.C.I. e che io, personalmente, definisco, invece, traditori della classe operaia e lavoratrice. Oltre che di quell'ideale altissimo che è il Comunismo. Che la vergogna accompagni la vita di questa gente per sempre.
In un simile giorno, però, una sola notizia mi rallegra, anche se in parte. E' morto ieri Teodoro Buontempo, El Pecora, per intenderci. Un fascista, dunque una merda. Un sostenitore di quelle idee elitarie, razziste, omofobe, insomma folli e criminali che, quel 25 Aprile, si sperava aver sconfitto per sempre. Inoltre, questo "signore", nel 1991, quando era segretario provinciale dell’Msi-Dn, aiutato da altri missini, staccò nottetempo la targa stradale di Palmiro Togliatti a Cinecittà, sostituendola con una con su scritto “viale vittime del comunismo”. Più di 60 milioni di morti, forni crematori, eccidi nel corso del conflitto mondiale; e poi, bombe e stragi compiute dai fascisti durante gli anni '70/80, e costui aveva anche il coraggio di parlare di vittime del Comunismo! Che il custode della tua eternità possa essere il Minotauro, cara Pecora, e tu possa sprofondare nel Flegetonte, insieme agli altri assassini –per esser tale, non si deve per forza aver commesso omicidi, basta sostenere idee sostanzialmente omicide- come te!
A proposito, Buon 25 Aprile a tutti...
W LA RESISTENZA. W IL COMUNISMO

venerdì 19 aprile 2013

CASTELLI IN ARIA…NOTA CRITICA ALLA MOSTRA DI GIUSEPPE MASCOLO




Uno dei più grandi architetti della nostra epoca, il brasiliano Oscar Niemeyer, affermava «Non è l’angolo retto che mi attrae, né la linea retta, dura, inflessibile, creata dall’uomo. Quello che mi attrae è la libera curva sensuale, la curva che trovo nelle montagne del mio paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nelle onde del mare, tra le nuvole del cielo, nel corpo della donna preferita. Di curve è fatto tutto l’universo».
Ecco, i disegni di Giuseppe Mascolo, giovane architetto napoletano, appena visti mi hanno suscitato più o meno la stessa impressione, riportandomi alla memoria questa idea di Niemeyer.
Linee, sinuosità, femminile sensualità, ma anche, attraverso esse, solitudine, dolore, turbamento. Tracce di un mondo interiore, che arriva su foglio di getto, quasi come se la mano procedesse costretta dal furore di un bisogno, che sale dalle profonde e oscure pieghe di un’anima in tumulto.
In lui, sembrano combinarsi il segno di una geometrica dissonanza e la traslazione simbolica di una malinconica riflessione sulla struttura architettonica di città in dismissione.
La sensazione più immediata è quella di trovarsi al cospetto di paesaggi colpiti da qualche disastro nucleare, immersi in una solitudine primordiale, in cui è la natura, ormai scarna, a sorreggere l’impalcatura di costruzioni che si reggono appena sul terreno, in taluni casi pericolanti come scheletri incendiati, o che addirittura fluttuano nell’aria.
In molti dei suoi arabeschi, tracciati con penna e acquerello, ci troviamo di fronte a paesaggi malinconicamente inquietanti, nella loro scomposizione ecologica, riadattati in forma architettonica e cementificata. Tutto: il cielo, uno specchio d’acqua che spesso compare, quasi a rimandare l’immagine sbiadita di un mondo delle idee architettoniche in decomposizione, le costruzioni simili ad alberi in ferro -grazie anche all'utilizzo cromaticamente simbolico di un viola che sfuma nel grigio- sembrano piangere la perdita di un'ancestrale verginità naturale, ormai smarrita per sempre, fagocitata dal delirio consumistico di una società artificiale e inautentica.
Nei suoi disegni, Giuseppe Mascolo mette in gioco, dunque, la weltanschauung di un mondo futuribile e tragico, nel destino segnato dalla smania tecnologica e dominatrice dell’uomo, nei confronti del suo habitat naturale: un ecosistema sfregiato da un’urbanizzazione forzata, che ha prodotto lo scempio di megalopoli soffocanti e lontane dalla dimensione umana. Sembra quasi aspirare ad un sovvertimento, ad una disintegrazione palingenetica di un simile scenario, da cui ripartire per dare spazio ad un’idea dell’uomo, a una concezione paesaggistica e, di conseguenza architettonica, di segno completamente opposto.
Nell’addentrarmi nella visione di quelle figurazioni, così scarne eppure così potenti, nell’evocazione di una solitudine, che è poi metafora della condizione umana e “terrena”, sempre più riemergevano, dalle sbiadite trame della memoria, le parole profetiche che Williaam Blake scriveva nel suo poema “Quattro Zoas”, e che Elèmire Zolla riporta all’interno del suo “Eclisse dell’intellettuale”: «Le città mandarono a dirsi: i nostri figli sono pazzi di vino e crudeltà. Intrecciano le sciagure, sorelle! I figli sono nutriti per la strage, un tempo erano cibati di latte, perché mai ora di sangue? Il cavallo ha più valore dell’uomo; la tigre feroce deride la forma umana; il leone dileggia e vuole sangue. Gridano: o ragno spargi la tua tela! Ingrossa le tue ossa e pieno di midollo, di carne, sii esaltato! Abbi una tua voce! Chiama i tuoi ospiti tetri, perché i figli degli uomini si congregano a disfare le loro città. L’uomo non sarà più!».
Siamo, insomma, mi pare di poter affermare senza tema di smentita, a quella che Benjamin definiva, a proposito del dramma tedesco, Trauerspiel, “rappresentazione luttuosa”, quel concetto cioè che, a differenza della tragedia, ha per oggetto la storia e non il mito. E si, perché è la Storia, nel suo costante divenire fenomenico, a determinare escatologicamente il destino umano. Un destino che, agli occhi di Giuseppe Mascolo, appare avvolto dalla nube scura del pessimismo.
Or dunque, il termine di paragone più prossimo che mi sovviene, quando cerco di indagare l’origine stessa di quegli schizzi, e la loro profonda essenza, è, mi si passi l’azzardo, quello con le statue di Alberto Giacometti. Come nel caso del grande artista svizzero, le forme tracciate da Mascolo sembrano emergere, come relitti, dagli abissi del tempo o da un universo in cui uno squarcio si è prodotto, improvviso, nella sua dimensione spazio/temporale, precipitandolo in un non-luogo pre-storico, quasi a rappresentare l’abisso umano dell’ inconscio, con tutti suoi fantasmi, le sue paure, le sue angosce, le sue immagini orrorifiche, eppure seducenti.
Molte delle sue rappresentazioni –come nel caso delle sculture di Giacometti- mi appaiono come scheletri corrosi e alteri, che sembrano usciti da un inferno dantesco. Esse comunicano tutta l’incomunicabilità del dolore, la nostalgia, la solitudine, la paura, lo smarrimento e il dramma di un’esistenza costantemente precaria, fragile, in eterna lotta con un mondo così vuoto e, oramai, così altro da noi. Un mondo, diciamolo chiaro, oramai schiavo della sua stessa frenesia produttivistica e finanziaria, dominata da quella filosofia economica, ultraliberista e disumanizzante, il cui unico obiettivo è il predominio dell’uomo sull’uomo, attraverso lo sfruttamento del lavoro, e dell’uomo sulla natura, mediante lo sfruttamento delle sue risorse. Come nel caso delle statue di Giacometti, dunque, nelle raffigurazioni tracciate da Mascolo, possiamo scorgere quello smarrimento e quell’angoscia che sono si condizione coessenziale della vita umana, ma anche una solitudine intellettualmente ricercata e voluta, che si muta in sentimento di rivolta, mi verrebbe da dire quasi ricerca metafisica di una nuova ontologia, di fronte alla dissipazione e alla disgregazione di un’epoca, in cui l’uomo e il suo ambiente sembrano essere stati soppiantati da artifici illusionistici e/o informatici. Dinanzi a tutto ciò, però, non resta, almeno per il momento, che afferrare la fragilità e la sospensione tra Essere e Nulla e, per dirla appunto con Sartre: «la grazia indicibile di essere perituri».
Insomma, per concludere, i disegni di Giuseppe Mascolo sono gli ultimi riflessi di un universo interiore, di un mondo nato martire e ribelle, sulle sottili linee di un architetto privo di senso. Sono l’iperbolica blasfemia gridata ad un cielo vellutato e livido, sotto al quale, l’infernale specchio della dimenticanza avvolge il tutto, scaraventandoci nell’ultimo vagito di una maciullata eternità. Sono sogni astrali; punti e linee. Simboli materni e paterni di una primordiale glossolalia, oscura e alienante. Attraverso essi, ci sembra di fluttuare in labirinti di segni e di parole, significanti puri di cui ci sfugge la semantica e il cui gioco è l’inganno stesso di un dio beffardo, che ha tirato una volta di troppo i suoi dadi. Davanti ad essi, possiamo sentirci assaliti da improvviso sbigottimento, come davanti alle immagini più cupe del nostro inconscio o come dinanzi al fulgore impossibile di una legge kafkiana.
Ecco, per farla breve, la architetture di Giuseppe Mascolo sono affascinanti, kafkiani castelli in aria.