Quella notte del 1° gennaio 1959, in cui Fulgencio Batista, il dittatore che governava Cuba con la complicità della mafia italo-americana, fuggì a Santo Domingo con un aereo carico di dollari, nessun politologo o editorialista Usa si azzardò a presagire che il movimento di liberazione di Fidel Castro, Che Guevara, Camilo Cienfuegos, che era riuscito a cacciare l’ex sergente sadico e torturatore, avrebbe guidato, per decenni, l’isola dei Caraibi, da sempre la più ambita dagli Stati Uniti. D’altronde, storici e critici di Cuba, di ieri e di oggi, sono stati sempre smentiti dagli eventi: dall’insuccesso patito dai controrivoluzionari, appoggiati dalla Cia, nel tentativo di sbarco nella Baia dei Porci, al collasso del comunismo Est-europeo, che non si portò dietro quello della rivoluzione cubana; dalla drammatica stagione del periodo especial -quando Cuba, negli anni ’90, perse i partner commerciali del mondo comunista, ormai in dissoluzione, e rischiò la fame ma sopravisse- all’infermità di Fidel Castro, che pose l’interrogativo di sempre: che ne sarà della Revolución dopo di lui?
Cuba, dunque, non si è persa. è sempre lì, e festeggerà, tra poco, i 55 anni della Rivoluzione, nonostante i governi di Washington, succedutisi negli anni –non fa eccezione quello di Obama, che pure oggi ha stretto la mano di Raul Castro- continuino a tenere in stato d’assedio politico l’isola più vasta dei Caraibi, colpevole, in definitiva, solo di aver rifiutato, ad un certo momento della propria storia, il credo indiscutibile del capitalismo e del liberismo, e di essere scampata, finora, alle conseguenze di questo azzardo.
Diciamo la verità: è già incredibile che Cuba, autonoma, indipendente e socialista, ancora esista dopo anni di ostilità della più poderosa potenza del mondo, segnati da tentativi incessanti di destabilizzazione politica e da atti terroristici impuniti, preparati in Florida e New Jersey, e compiuti nell’isola, con la copertura della Cia e nel completo disinteresse delle cosiddette democrazie occidentali. È addirittura singolare, poi, che la resistenza di Cuba sia diventata un esempio in America latina, un continente per anni martoriato dal famigerato Piano Condor: un progetto di annientamento di ogni opposizione progressista, voluto dal presidente Nixon e dal segretario di stato Kissinger, negli anni ’70.
La Revolución, quindi, pur non esente da errori, contraddizioni e illiberalità, festeggerà più di mezzo secolo di sopravvivenza. E lo farà potendo vantare la più bassa mortalità infantile dell’intero continente americano, la più alta media di vita del Sudamerica, un sistema sanitario esemplare. Ma questo, ovviamente, i media occidentali si guardano bene dal sottolinearlo. E come potrebbero mai farlo, soprattutto oggi che la Revolución sente anche l’orgoglio di aver influenzato il riscatto e le scelte di progresso, messesi in atto, negli ultimi anni, in America latina? Brasile, Argentina, Venezuela, Bolivia, Ecuador, Paraguay e Uruguay, guardano a Cuba come un modello da imitare, in quello che è il processo verso la costruzione del Socialismo del XXI secolo.
Circa un anno fa, durante la festa di Liberazione tenuta dal PRC a Napoli, il console venezuelano mi diceva: «Senza la resistenza di Cuba e il sacrificio di tanti Che Guevara, questo vento di autonomia e democrazia non sarebbe ancora soffiato in America latina». In tal senso, fa rabbia vedere gran parte della sinistra italiana, assolutamente incapace di capire cosa stia accadendo in America latina. Come dice Tomas Gutierres Alea, regista cubano di Memorie del sottosviluppo, oltre che di Fragola e cioccolata e Guantanamera: «Cosa ha fatto la sinistra italiana o europea per pretendere di insegnarci quello che dobbiamo fare? Noi la rivoluzione l’abbiamo fatta. E voi?». Come dargli torto? Noi, in Italia, abbiamo Grillo che addirittura vorrebbe cancellarlo, il termine socialismo, e con esso tutto il portato di glorioso passato che rappresenta. Ricorderei, a Grillo e ai suoi, che il Socialismo non va confuso con il craxismo e lo scempio che quella vergognosa pratica politica ha compiuto di quella storia. Ma tant’ è: questa è l’Italietta, con la sua ignoranza e il suo retaggio qualunquista, demagogico, cattofascista, votata all’uomo della provvidenza di turno.
Tornando a Cuba e al terrorismo di matrice statunitense, invece, la realtà è che le notizie che denunciano le strategie imbarazzanti degli Usa in America latina non trovano posto nella comunicazione delle cosiddette democrazie occidentali. Solo nel 2007, per esempio, Washington, per favorire un cambio politico, rapido e drastico nell’isola, ha stanziato, per l’operazione Cuba Libre -un ulteriore progetto di destabilizzazione dell’isola con il lancio di una vera e propria strategia della tensione- 140 milioni di dollari, di cui 60 del Congresso e 80 prelevati dalla disponibilità personale del presidente; e nel 2008, nonostante l’esplosione della crisi finanziaria, i contribuenti nord-americani hanno dovuto sborsare, senza essere consultati, 45 milioni di dollari per lo stesso obiettivo. Un’operazione azzardata, diventata pubblica grazie a una lettera aperta di James D. Cockroft, docente all’università di Stanford e studioso della politica estera e della “storia occulta” degli Stati uniti. Michael Parmly, responsabile dell’ufficio di interessi Usa a L’Avana, aveva facilitato trasferimenti di denaro a Martha Beatriz Roque, fino a poco tempo fa indicata come una leader dei dissidenti cubani. Il denaro, oltretutto, proveniva da una fondazione diretta dal noto terrorista, Santiago Alvarez, attualmente in carcere a Miami, dovendo scontare una condanna perché scoperto in possesso di un enorme arsenale di armi. Quella Santa Barbara – ha sostenuto Alvarez – doveva servire per attacchi contro Cuba.
Ebbene, com’è stato possibile allora, per la Revolución, durare 55 anni in questo contesto? Bernardo Valli, che in gioventù la visse e la raccontò, affermava tempo fa su La Repubblica che, a questa domanda, molti cubani sorridono, alzano gli occhi al cielo e citano alla rinfusa tanti motivi: il carisma di Fidel, il sostegno dei campesinos emancipati dalla rivoluzione, le rimesse degli esuli cubani negli Usa e i Comitati di difesa della rivoluzione.
Valli, alla fine, indica però questi ultimi come la vera macchina della sopravvivenza del paese: l’igiene, la sicurezza, la disciplina rivoluzionaria, la lista delle persone segnalate come «asociali», le dispute familiari, la prevenzione degli uragani e perfino la sorveglianza della frequenza scolastica dei minori.
Io penso invece che abbia ragione Alfonso Sastre, il prestigioso drammaturgo spagnolo, quando afferma che Cuba ha resistito, pur con tutte le sue contraddizioni, per aver saputo creare, fra la gente, una coscienza collettiva e solidaristica. Una coscienza che è passata sopra i contrasti e gli errori, e resiste nel tempo. Auguri Cuba. Auguri compagno Fidel!
Nessun commento:
Posta un commento