martedì 18 febbraio 2014

GLI ANNI SPEZZATI DELLA TORTURA DI STATO.


Il 26 novembre 2013, per la seconda volta, una sentenza della magistratura -segnatamente, la corte di appello di Perugia- ha riconosciuto l’uso della tortura contro gli arrestati per fatti di lotta armata. Nicola Ciocia, un ex funzionario Ucigos, a cui il vice questore Umberto Improta ed il prefetto De Francisci ricorrevano, su mandato del governo, per torturare gli affiliati alle BR, è stato considerato, dai magistrati di quella corte, “gravato da forti indizi di reità”. Ciocia era noto, nell'ambiente, con il soprannome, fortemente evocativo, di prof. De Tormentis, per il dolore che riusciva ad infliggere, durante gli interrogatori, ai malcapitati. Il Ciocia si avvaleva, nell'attuazione di questa "umanissima" azione inquisitoria, della collaborazione di altri fidati ufficiali, il cui gruppo era denominato "I cinque dell'Ave Maria". Diverse erano le raffinate tecniche di tortura utilizzate: tra esse, quella del waterboarding e, nei confronti delle donne, le pesanti molestie sessuali. E come poteva essere diversamente, del resto! Episodi, questi, che fanno tornare alla memoria la cosiddetta Villa Triste, a Milano, dove la banda del criminale fascista Koch torturava, con la degna compagnia delle SS naziste, i combattenti per la Resistenza e gli oppositori della Repubblica Sociale, per estorcere loro confidenze.
Così, dunque, lo stato borghese della "democratica" Repubblica Italiana, serva da sempre dell'imperialismo capitalista, ha truccato le carte per uccidere, nella culla, il tentativo rivoluzionario comunista, in atto in Italia durante gli anni '70/'80. Se una cosa del genere fosse avvenuta a Cuba, nell'URSS, nella DDR, in Cecoslovacchia o in qualsiasi altro paese socialista, si sarebbe gridato immediatamente –come d’altronde si è gridato- alla violazione dei diritti umani e all'atrocità criminale dei regimi comunisti, incapaci di tollerare i dissidenti. Trattandosi dell'Italia però -o anche degli USA, come pure di qualsiasi altro paese sotto l'egida della NATO- tali pratiche sono state, e sono tuttora, ovviamente consentite e giustificate, in quanto atte a difendere la meravigliosa e unica democrazia: quella occidentale. Quella democrazia degli affari, delle mafie, della corruzione, delle banche e della massoneria, il cui solo risultato è il progressivo massacro sociale, al quale stiamo, purtroppo, assistendo inermi.
Sia ben chiaro: le Brigate Rosse sparavano, uccidevano e si consideravano in guerra con lo stato Italiano. E in guerra, specie durante una guerra civile, non si va troppo per il sottile e la violenza può spesso assumere tinte brutali. Quei compagni -per me tali sono- credo ne fossero consapevoli ed erano anche pronti a pagarne le dure conseguenze. Molti ci hanno lasciato, infatti, la vita! Quello che, tuttavia, è inammissibile e mi da francamente la nausea, provocandomi una rabbia fredda, ai confini con l’odio, è la volgare e avvilente retorica di uno stato che, definendosi democratico, ha l'arroganza di ritenersi al di sopra delle sue stesse leggi, credendo, poi, di poter ammannire a tutti -anche attraverso l'uso sapiente dei media di regime- le sue zuccherose favolette auto assolutorie. Come quelle per cui, in pratica, una volta catturati, quei cattivoni dei Brigatisti, al solo cospetto degli irreprensibili e moralissimi rappresentanti istituzionali dello Stato, si sarebbero gettati in lacrime tra le loro amorevoli braccia e avrebbero confessato tutte le malefatte. Né più né meno, insomma, come davanti al prete o inginocchio di fronte al crocefisso. Kafkiani poteri di una Legge che, seppur umana, ha in sé la rifulgente luce del divino, e mai smarrito, tocco Demo-Cristiano e un po’ Fascista!







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