lunedì 7 luglio 2014
7 LUGLIO 1960: LA STRAGE DI REGGIO EMILIA. MA OGGI COME IERI, LUNGA E' LA LINEA ROSSA DEL SANGUE INNOCENTE VERSATO, PER MANO DEI SUOI GENDARMI, DALLA REPUBBLICA ITALIANA, DEMOCRATICA E LIBERALE
Il 7 Luglio 1960, durante una manifestazione in corso a Reggio Emilia, reparti di polizia e carabinieri del “democratico” Stato italiano, assassinavano 4 operai ed un contadino: Lauro Farioli, operaio di 22 anni, orfano di padre, sposato e padre di un bambino; Ovidio Franchi, operaio di 19 anni, il più giovane dei caduti; Marino Serri, pastore di 41 anni, partigiano; Afro Tondelli , operaio di 36 anni, partigiano; Emilio Reverberi, operaio di 39 anni, partigiano. I feriti ufficiali furono 16, quelli trasportati in ospedale, ma si ritiene che molti altri abbiano preferito curarsi "clandestinamente", per non farsi identificare. La manifestazione era stata indetta per protestare contro le violenze perpetrate dalle forze dell’ordine, nei giorni precedenti, durante cortei di opposizione al neonato dicastero Tambroni, che aveva avuto l’appoggio esterno del MSI -partito nato dalle ceneri del fascismo, all’indomani della caduta della dittatura- e soprattutto per contestare la scelta, compiuta dallo stesso governo, di designare Genova –città medaglia d’oro per la Resistenza- come sede del congresso del Movimento Sociale, allora guidato da Michelini. Erano passati appena 15 anni dalla caduta del fascismo e dalla Resistenza, che aveva visto il sacrificio di migliaia di vite, immolatesi sull’altare della Libertà –specie partigiani comunisti- e si può comprendere quale fosse lo sdegno che, una simile scelta, aveva provocato in coloro che avevano combattuto contro la tirannide nazifascista. La tensione era altissima e vasta fu, logicamente, la mobilitazione popolare. Ma il democristiano Fernando Tambroni, amico dei fascisti e uomo dal polso fermo e dal pugno di ferro, non si lasciò certo intimidire, ed ordinò ad i suoi sgherri di aprire il fuoco, in caso di necessità. Al temine di quelle settimane di lotta, si contarono undici morti e centinaia di feriti. Tra questi, i 5 di Reggio Emilia. Quel giorno, polizia e carabinieri spararono, contro i manifestanti inermi, qualcosa come 182 colpi di mitra, 14 di moschetto e 39 di pistola.
In seguito a quei tragici eventi, il 29 novembre 1962, la Sezione Istruttoria della Corte d'appello di Bologna rinviò a giudizio il vicequestore Giulio Cafari Panico, per omicidio colposo plurimo, e l'agente Orlando Celani per omicidio volontario, con l’accusa di aver sparato contro Afro Tondelli. Per motivi di legittima suspicione il dibattimento venne celebrato davanti alla Corte d'Assise di Milano e non a Reggio Emilia. La Sentenza venne pronunciata il 14 luglio 1964: il vicequestore fu assolto con formula piena, per non aver commesso il fatto, mentre l'agente venne assolto con formula dubitativa. Due anni dopo, la Corte d'Assise d'Appello riformò la sentenza, assolvendo l'agente con formula piena.
Sono passati, dunque, 54 anni da quel giorno, ma poco o nulla è cambiato sotto il cielo di questa nostra Repubblica. Una Repubblica che, sin dai suoi primi vagiti, ha annusato l’odore malsano del compromesso di matrice democristiana: ne sono un esempio concreto l’amnistia concessa da Togliatti ai fascisti in galera ed il tradimento del sogno resistenziale, il cui obiettivo era sì la sconfitta del nazifascismo, tuttavia solo come primo passo verso l’instaurazione di una Democrazia Socialista e Popolare. Ma non si poteva. Le logiche di Yalta erano già coattive e l’Italia sarebbe finita sotto il giogo statunitense e sotto l’ombrello protettivo della NATO. Di quei compromessi, ne stiamo raccogliendo oggi, a distanza di 54 anni, i frutti a piene mani. Dopo l’illusione socialdemocratica e bernsteiniana, infatti, del superamento delle contraddizioni insite alla società capitalistica, durata fino alla caduta del muro di Berlino, il trionfo della cultura borghese e piccolo borghese, catto-fascista, finanziario-mercatista e legalitaria è pieno ed ha soggiogato, oramai, anche la sinistra. Oggi come ieri- anzi, a ben guardare ciò che sta succedendo in Europa, più di ieri- i fascisti vengono utilizzati a scopo di normalizzazione sociale e per stroncare sul nascere qualunque protesta o voce si levi –soprattutto se proveniente dal frastagliato arcipelago comunista- in dissenso con le politiche reazionarie, padronali ed imperialiste, attuate da governi sostanzialmente delegittimati a legiferare, asserviti al capitale monopolistico e aventi l’unico scopo di ratificare decisioni prese da organismi sovranazionali come FMI, BCE, UE, Banca Mondiale. Oggi come ieri, se uomini appartenenti alle forze dell’ordine –spesso, vero e proprio braccio armato del governo- commettono reati, finanche l’omicidio, godono di una sorta d’immunità per cui, tuttalpiù, si beccano una condanna formale e simbolica, finendo col fare anche carriera e raccogliendo, addirittura, il plauso dei colleghi per aver fatto il loro sporco dovere. Oggi come ieri, lo stato “democratico” continua a mietere, per mano dei suoi gendarmi, vittime senza colpa, o il cui unico torto è quello di lottare per la libertà, la giustizia e per i propri diritti.
Ieri: Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Marino Serri, Afro Tondelli, Emilio Reverberi. Oggi: Carlo Giuliani, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Guido Magherini. Ma l’elenco delle vittime, di ieri e di oggi, potrebbe continuare. Lunga è la linea rossa del sangue innocente, versato dalla Repubblica italiana, democratica e liberale!
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