venerdì 26 dicembre 2014

I TRENI E LA MAI SOPITA STRATEGIA DELLA TENSIONE

In questo paese, la strategia della tensione non si è mai conclusa, continuando ad essere, ciclicamente, il principale strumento, utilizzato dallo stato borghese, per reprimere il dissenso. In questi giorni, infatti, dopo la sentenza della Corte d'Assise di Torino, che ha assolto dall'accusa di terrorismo i quattro compagni No Tav, smontando il ridicolo teorema costruito dai Pm -ricordiamo che Claudio, Niccolò, Mattia e Chiara sono stati condannati, comunque, a tre anni e mezzo: un'enormità per due bengala, una molotov e un compressore rotto- il Ministro dei trasporti, Maurizio Lupi, ha intrapreso la sua crociata personale contro quella stessa sentenza, sostenendo che è stato un grave errore la cancellazione del reato di terrorismo. Da allora, guarda caso, come uno strano meccanismo ad orologeria e come un film già visto troppe volte in Italia, stiamo assistendo ad una serie di attentati contro i treni dell'alta velocità. Dopo le dichiarazioni del ministro, e a seguito di tali attentati, non potevano mancare, poi, quelle, insinuanti ma chiarissime nel loro portato repressivo, dell'ex magistrato, l'inquisitore Giancarlo Caselli -primo architetto del teorema terroristico da applicare ai No Tav- che parla, riferendosi al movimento valsusino, di "ondata di violenza che si pone al di fuori della democrazia".
Or dunque, vorrei ricordare qui, che la strategia della tensione, in Italia, negli anni caldi che andarono dalla fine dei '60 alla metà degli '80, ebbe proprio negli attentati ai treni -Italicus, Strage di Bologna, Strage 904, gli episodi più tragici e più impressi nella memoria collettiva- una parte considerevole della sua logica militare e stragista. Logica che, come poi si è svelato nel corso degli anni, ebbe nelle forze neofasciste, in complicità con quelli che vengono detti Servizi Segreti deviati -ma che altro non sono che lo Stato italiano- gli elementi di realizzazione ed ideazione degli attentati.
Fatte tali premesse, quindi, e a proposito di fuoriuscita dalla democrazia, c''è da chiedersi, e seriamente, cosa stia preparando lo stato "democratico-liberale" per arginare il dissenso alle politiche reazionarie e di classe -in tale quadro rientra la costruzione della TAV- che, inevitabilmente, si farà sentire, nei prossimi mesi, nel nostro paese, martoriato, come pochi, dalla crisi. L'ondata repressiva, contro i movimenti e le forze antagoniste, di matrice marxista, è già in atto da tempo. I servi di regime delle forze dell'ordine non perdono occasione per manganellare ed arrestare chiunque, nell'area dell'antagonismo comunista o anarchico, manifesti la propria contrarietà ai governi che, sotto i diktat della Troika, stanno procedendo, in materia di lavoro e di diritti, sulla strada delle controriforme, asfaltando e macellando il tessuto sociale italiano. Gli attentati ai treni di questi giorni, a seguito delle parole del ministro Lupi, sono a dir poco un segnale inquietante. E mi chiedo, pertanto, se non vadano considerati prodromi di una nuova e mai sopita strategia della tensione. Come disse Marx: «La civiltà e la giustizia dell'ordine borghese si mostrano nella loro luce sinistra ogni volta che gli schiavi e gli sfruttati di quest'ordine insorgono contro i loro padroni. Allora questa civiltà e questa giustizia si svelano come nuda barbarie e vendetta ex lege». Sappiano, però, che se l'idea è tornare a governare con le bombe e con le stragi l'Italia, com'è già successo circa quarant'anni fa, oggi come allora, non staremo a guardare e risponderemo colpo su colpo.

venerdì 12 dicembre 2014

MEMORIA

 Un paese senza memoria è un paese senza storia, senza presente, senza coscienza di sé e, dunque, senza coscienza civile e sociale. Un paese, in pratica, che non sa quali siano i propri  doveri e, cosa ancor più grave, quali i propri diritti. Ebbene, un paese siffatto, un paese come l’Italia, si merita il PD ed il PDL, insieme al governo. Si merita la demagogia, ancorché volenterosa, dei Cinque Stelle. E si merita Renzi, Berlusconi, Grillo, Casaleggio, il razzista Salvini, Monti, Alemanno, la mafia e la fascisteria ad essa collegata. Fintantoché gli va bene. Poi, forse, se le cose dovessero precipitare, anche qualcosa di peggio. E’ un paese, l’Italia, che, mi si passi il temine, se ne strafotte di sé stesso, ed il cui popolo si lascia vivere, in balia degli eventi, delegando ad altri il proprio destino. State sereni, che il capitalismo ed il trionfante modello neoliberista vi stanno portando via anche la dignità, se ancora ve n’è rimasta una!  Per questo paese e per questo popolo, a volte, penso che non valga neanche la pena lottare ed incazzarsi. Men che meno, scrivere. Però, la passione prende il sopravvento, il più delle volte, e allora diventa un dovere etico farlo. Come oggi, che è d’obbligo ricordare….
Giuseppe Pinelli. Angelo Scaglia, Attilio Valè, Calogero Galatioto, Carlo Gaiani, Carlo Garavaglia, Carlo Perego, Carlo Silva, Eugenio Corsini, Gerolamo Papetti, Giovanni Arnoldi, Giulio China, Luigi Meloni, Mario Pasi, Oreste Sangalli, Paolo Gerli, Pietro Dendena, Vittorio Mocchi.
Sono  i nomi dei morti di quel giorno. 12 dicembre 1969.Quarantacinque anni fa. Piazza Fontana. Strage fascista. Strage di Stato. Quarant'anni di processi farsa, ma nessun condannato. E, nel 2005, ai parenti delle vittime sono state addirittura addebitate le spese processuali. Questa è la democrazia liberal-capitalistica. Questa è la giustizia borghese, per usare un termine in voga proprio negli anni’70.  
Ho voluto ricordarli, quei 17 morti più uno, di quel lugubre e tragico giorno,  partendo proprio da colui che, suo malgrado, è divenuto un simbolo. Il compagno anarchico Giuseppe Pinelli, detto Pino.  Pino fu defenestrato, nella notte tra il 15 ed il 16 dicembre, da una stanza della questura di Milano. La stanza del commissario Calabresi, che lo aveva fermato e lo stava interrogando, da alcuni giorni,  insieme ad altri uomini al suo comando.  E già, perché, ovviamente, i primi ad essere sospettati di quella strage furono gli anarchici e gli ambienti della sinistra radicale. Anzi, quella strage fu compiuta proprio in nome dell'anticomunismo e per addossare al “pericolo rosso” la responsabilità di quel vile attentato.
 Erano anni  caldi, anni di Lotta di Classe, quelli che erano iniziati col ’68. Anni di lotte durissime, da parte della classe operaia e degli studenti, uniti per la conquista di quei diritti che, oggi, si stanno allegramente cancellando. Furono gli anni  di quella che sarebbe stata poi denominata, con una locuzione divenuta inquietante, “strategia della tensione”. Anni durante i  quali si succedettero svariati tentativi di golpe, da parte delle forze armate e di pezzi dei Servizi Segreti –SID, SISMI, SISDE- in combutta con fascisti (Freda, Ventura, Zorzi, Maggi, Giannettini: ovvero l’agente Z) massonerie (Gelli e la P2), mafia.  Anni che avrebbero portato una generazione ad imbracciare le armi, per contrastare il rinnovato pericolo fascista, tenuto al caldo da partiti di governo, come la DC. Una generazione che volle dare l’assalto al cielo, ma senza riuscirvi e pagando, a quello stato che ha governato con le bombe i propri cittadini, a quello stato stragista, a quello stato fintamente democratico, ma essenzialmente autoritario, un prezzo altissimo. 
Non è cambiato molto, come si intuisce, in 45 anni, nel nostro paese. Anzi, le cose, a ben guardare, sono pure peggiorate. Il pericolo autoritario torna, ma non solo assume la faccia bonaria di un Renzi qualsiasi, ma non trova, sulla sua strada, nessuno pronto a contrastarne gli abusi e le violazioni dei diritti, costituzionalmente garantiti.  Per il commissario Luigi Calabresi, invece, per quello che personalmente ritengo, assumendomene il peso, il responsabile principale, morale o effettivo non importa, dell’assassinio di Pinelli, insieme al suo superiore, Antonio Allegra e al questore Marcello Guida –famoso perché a lui Pertini non volle stringere la mano, essendo stato egli uno dei carcerieri fascisti al confino di Ventotene- oggi è stato addirittura avviato il processo di beatificazione. E sì, perché non bisogna  dimenticare che, negli affari della politica italiana, malgrado il suo potere temporale sia nominalmente cessato, c’entra sempre il Vaticano.  Quel Vaticano che, proprio in quegli anni, ha stretto mani e patti con i peggiori criminali del mondo –Pinochet su tutti- e che ha sempre portato sugli altari assassini ed infami della peggior specie, basta che avessero il requisito dell'anticomunismo.  E non mi si venga a dire che la magistratura, nella persona del giudice Gerardo D’ambrosio, ritenne Calabresi estraneo all'assassinio di Pinelli. Perché, su quella vicenda, la magistratura si è giocata la faccia e la sua reputazione, una volta per sempre.  D’Ambrosio, infatti, scagionò Calabresi e gli altri, coniando una nuova fattispecie medico-giuridica: il malore attivo. Preso da malore attivo, Pinelli si sarebbe gettato dalla finestra. La sfrontatezza del potere e la viltà dei cittadini, insieme alla mancanza di memoria, sembrano, dunque,  il principale collante di questo paese ridicolo, come può essere ridicola solo la tragedia. Un paese sostanzialmente reazionario, piccolo borghese, moralista.

martedì 2 dicembre 2014

LA LEGA AL SUD? NESSUNA MERAVIGLIA.



Molti si chiedono, in questi giorni, come mai, Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, abbia deciso di fare campagna elettorale anche al Sud e, soprattutto, come possa sperare di ottenere consenso. Chi si pone queste domande, a prima vista legittime, parte da un presupposto sbagliato e non fa i conti con una questione politica fondamentale. Il presupposto è che la Lega Nord, appunto, sia legata esclusivamente al territorio padano. La questione politica, invece, di natura più sottile e profonda, attiene all'essenza stessa del movimento delle leghe. Movimento che, se si configura, in prima istanza, con peculiarità tutte territoriali, ha, su un terreno più specificamente culturale, prospettive ben più ampie e inquietanti. La matrice ideologica di questi movimenti, infatti, è decisamente fascista. In tal senso, quindi, la Lega Nord e Matteo Salvini ritengono, a ragion veduta, di poter raccogliere consensi anche al Sud. Razzismo, retorica demagogica, nazionalismo spinto, elitarismo, anticapitalismo in chiave di protezionismo economico, corporativismo, conciliazione capitale-lavoro, tutela degli interessi minuti della piccola e media borghesia, anticomunismo sono, infatti, i cardini dottrinali attorno ai quali ruota la Lega e, pertanto, riconducibili ad una realtà ben più vasta che non quella esclusivamente padana.
Basti pensare, infatti, che verso la metà degli anni ottanta, quando l' MSI e l’estrema destra erano in forte crisi, dopo l’orgia stragista degli anni ’70, anche al meridione -dove il partito di Almirante riscuoteva un certo successo- si cercava di rimettere insieme i pezzi di quella sponda politica, ed una delle tante forme che prese il neofascismo, allora, anche se per breve tempo, fu la Lega Meridionale. Un movimento fondato dall'avvocato Egidio Lanari, dal gran maestro siciliano, Giorgio Paternò, dal pugliese Cosimo Donato Cannarozzi e dal calabrese Enzo Alcide Ferraro, e capeggiato, a Napoli, dall’ex senatore del Movimento Sociale, vicino alla Cisnal e rautiano di ferro, Domenico Manno. Un fascista con tutti i crismi. Dunque, si comprende facilmente, a questo punto, come non sia assolutamente peregrina l’idea di Salvini di venire a raccogliere consensi al mezzogiorno. La sua è, difatti, a tutti gli effetti, propaganda fascista. D’altronde, lo stesso segretario della Lega Nord proviene, politicamente, da ambienti vicini a Terza Posizione e agli ex ordinovisti, come Borghezio. Inoltre, Salvini ha avuto anche l’imprimatur di uno dei teorici contemporanei del neofascismo: quell’Alain de Benoist, intellettuale, fautore dei regionalismi, dell’interclassismo e del superamento degli steccati tra destra e sinistra. In pratica, il modello terzoposizionista, oggi tornato tanto di moda. Ricordiamo che Terza Posizione fu fondata, negli anni settanta, più o meno con gli stessi presupposti, e teorizzando il nazimaoismo -un'indigesta miscellanea, che blaterava di comunismo aristocratico, di cui il corifeo principe fu lo stragista Franco Freda- da Gabriele Adinolfi, Giuseppe Dimitri e da Roberto Fiore, che sarebbe stato, in tempi recenti, il fondatore di Forza Nuova. Dunque, un movimento dalla chiara impronta neonazista. Come, d'altra parte, la Lega di Salvini, pur se con toni più sfumati. Ed ecco spiegato anche il motivo per cui la Lega riesce ad erodere consensi ai 5 Stelle. Su svariati punti -vedi la retorica xenofoba di Grillo, il suo interclassismo, la sua voglia di superare il conflitto facendo fuori i corpi rappresentativi intermedi, come i sindacati, il suo anticomunismo- la Lega appare più decisa e chiara. Anche perché, a differenza dei penta stellati, ha un progetto di società ben preciso. Cosa che i cinque stelle, per loro natura, non possono avere. Difatti, non pochi grillini trasmigrano, poi, in Forza Nuova o Casa Pound.
Nessuna meraviglia, pertanto, se Salvini scende al sud a fare campagna elettorale. La possibilità di rinverdire i fasti, all'epoca, a dire il vero, poco gloriosi, della Lega Meridionale, è a portata di mano, in un periodo di crisi tanto duro e lungo, che ha esasperato gli animi, mettendo i cittadini ed i lavoratori gli uni contro gli altri, in una pericolosissima guerra tra poveri. Una guerra che, il fascismo, come sempre, seppur in diverse forme, si propone di gestire, con l'avallo delle grandi borghesie capitalistiche. Attenzione, quindi, anche qui al meridione, ad avallare, da sinistra, retoriche regionalistiche e territoriali. Quella dei comunisti deve essere una battaglia per l'internazionalismo, sebbene nel rispetto, certo, dell'autodeterminazione dei popoli. Dietro il territorialismo della Lega, invece, si cela, ma neanche tanto, la faccia sporca del neofascismo italiano.