venerdì 12 dicembre 2014

MEMORIA

 Un paese senza memoria è un paese senza storia, senza presente, senza coscienza di sé e, dunque, senza coscienza civile e sociale. Un paese, in pratica, che non sa quali siano i propri  doveri e, cosa ancor più grave, quali i propri diritti. Ebbene, un paese siffatto, un paese come l’Italia, si merita il PD ed il PDL, insieme al governo. Si merita la demagogia, ancorché volenterosa, dei Cinque Stelle. E si merita Renzi, Berlusconi, Grillo, Casaleggio, il razzista Salvini, Monti, Alemanno, la mafia e la fascisteria ad essa collegata. Fintantoché gli va bene. Poi, forse, se le cose dovessero precipitare, anche qualcosa di peggio. E’ un paese, l’Italia, che, mi si passi il temine, se ne strafotte di sé stesso, ed il cui popolo si lascia vivere, in balia degli eventi, delegando ad altri il proprio destino. State sereni, che il capitalismo ed il trionfante modello neoliberista vi stanno portando via anche la dignità, se ancora ve n’è rimasta una!  Per questo paese e per questo popolo, a volte, penso che non valga neanche la pena lottare ed incazzarsi. Men che meno, scrivere. Però, la passione prende il sopravvento, il più delle volte, e allora diventa un dovere etico farlo. Come oggi, che è d’obbligo ricordare….
Giuseppe Pinelli. Angelo Scaglia, Attilio Valè, Calogero Galatioto, Carlo Gaiani, Carlo Garavaglia, Carlo Perego, Carlo Silva, Eugenio Corsini, Gerolamo Papetti, Giovanni Arnoldi, Giulio China, Luigi Meloni, Mario Pasi, Oreste Sangalli, Paolo Gerli, Pietro Dendena, Vittorio Mocchi.
Sono  i nomi dei morti di quel giorno. 12 dicembre 1969.Quarantacinque anni fa. Piazza Fontana. Strage fascista. Strage di Stato. Quarant'anni di processi farsa, ma nessun condannato. E, nel 2005, ai parenti delle vittime sono state addirittura addebitate le spese processuali. Questa è la democrazia liberal-capitalistica. Questa è la giustizia borghese, per usare un termine in voga proprio negli anni’70.  
Ho voluto ricordarli, quei 17 morti più uno, di quel lugubre e tragico giorno,  partendo proprio da colui che, suo malgrado, è divenuto un simbolo. Il compagno anarchico Giuseppe Pinelli, detto Pino.  Pino fu defenestrato, nella notte tra il 15 ed il 16 dicembre, da una stanza della questura di Milano. La stanza del commissario Calabresi, che lo aveva fermato e lo stava interrogando, da alcuni giorni,  insieme ad altri uomini al suo comando.  E già, perché, ovviamente, i primi ad essere sospettati di quella strage furono gli anarchici e gli ambienti della sinistra radicale. Anzi, quella strage fu compiuta proprio in nome dell'anticomunismo e per addossare al “pericolo rosso” la responsabilità di quel vile attentato.
 Erano anni  caldi, anni di Lotta di Classe, quelli che erano iniziati col ’68. Anni di lotte durissime, da parte della classe operaia e degli studenti, uniti per la conquista di quei diritti che, oggi, si stanno allegramente cancellando. Furono gli anni  di quella che sarebbe stata poi denominata, con una locuzione divenuta inquietante, “strategia della tensione”. Anni durante i  quali si succedettero svariati tentativi di golpe, da parte delle forze armate e di pezzi dei Servizi Segreti –SID, SISMI, SISDE- in combutta con fascisti (Freda, Ventura, Zorzi, Maggi, Giannettini: ovvero l’agente Z) massonerie (Gelli e la P2), mafia.  Anni che avrebbero portato una generazione ad imbracciare le armi, per contrastare il rinnovato pericolo fascista, tenuto al caldo da partiti di governo, come la DC. Una generazione che volle dare l’assalto al cielo, ma senza riuscirvi e pagando, a quello stato che ha governato con le bombe i propri cittadini, a quello stato stragista, a quello stato fintamente democratico, ma essenzialmente autoritario, un prezzo altissimo. 
Non è cambiato molto, come si intuisce, in 45 anni, nel nostro paese. Anzi, le cose, a ben guardare, sono pure peggiorate. Il pericolo autoritario torna, ma non solo assume la faccia bonaria di un Renzi qualsiasi, ma non trova, sulla sua strada, nessuno pronto a contrastarne gli abusi e le violazioni dei diritti, costituzionalmente garantiti.  Per il commissario Luigi Calabresi, invece, per quello che personalmente ritengo, assumendomene il peso, il responsabile principale, morale o effettivo non importa, dell’assassinio di Pinelli, insieme al suo superiore, Antonio Allegra e al questore Marcello Guida –famoso perché a lui Pertini non volle stringere la mano, essendo stato egli uno dei carcerieri fascisti al confino di Ventotene- oggi è stato addirittura avviato il processo di beatificazione. E sì, perché non bisogna  dimenticare che, negli affari della politica italiana, malgrado il suo potere temporale sia nominalmente cessato, c’entra sempre il Vaticano.  Quel Vaticano che, proprio in quegli anni, ha stretto mani e patti con i peggiori criminali del mondo –Pinochet su tutti- e che ha sempre portato sugli altari assassini ed infami della peggior specie, basta che avessero il requisito dell'anticomunismo.  E non mi si venga a dire che la magistratura, nella persona del giudice Gerardo D’ambrosio, ritenne Calabresi estraneo all'assassinio di Pinelli. Perché, su quella vicenda, la magistratura si è giocata la faccia e la sua reputazione, una volta per sempre.  D’Ambrosio, infatti, scagionò Calabresi e gli altri, coniando una nuova fattispecie medico-giuridica: il malore attivo. Preso da malore attivo, Pinelli si sarebbe gettato dalla finestra. La sfrontatezza del potere e la viltà dei cittadini, insieme alla mancanza di memoria, sembrano, dunque,  il principale collante di questo paese ridicolo, come può essere ridicola solo la tragedia. Un paese sostanzialmente reazionario, piccolo borghese, moralista.

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