Giuseppe Pinelli. Angelo Scaglia, Attilio Valè,
Calogero Galatioto, Carlo Gaiani, Carlo Garavaglia, Carlo Perego, Carlo Silva,
Eugenio Corsini, Gerolamo Papetti, Giovanni Arnoldi, Giulio China, Luigi
Meloni, Mario Pasi, Oreste Sangalli, Paolo Gerli, Pietro Dendena, Vittorio
Mocchi.
Sono i nomi
dei morti di quel giorno. 12 dicembre 1969.Quarantacinque anni fa. Piazza
Fontana. Strage fascista. Strage di Stato. Quarant'anni di processi farsa, ma
nessun condannato. E, nel 2005, ai parenti delle vittime sono state addirittura
addebitate le spese processuali. Questa è la democrazia liberal-capitalistica.
Questa è la giustizia borghese, per usare un termine in voga proprio negli
anni’70.
Ho voluto ricordarli, quei 17 morti più uno, di
quel lugubre e tragico giorno, partendo
proprio da colui che, suo malgrado, è divenuto un simbolo. Il compagno
anarchico Giuseppe Pinelli, detto Pino.
Pino fu defenestrato, nella notte tra il 15 ed il 16 dicembre, da una
stanza della questura di Milano. La stanza del commissario Calabresi, che lo
aveva fermato e lo stava interrogando, da alcuni giorni, insieme ad altri uomini al suo comando. E già, perché, ovviamente, i primi ad essere
sospettati di quella strage furono gli anarchici e gli ambienti della sinistra
radicale. Anzi, quella strage fu compiuta proprio in nome dell'anticomunismo e
per addossare al “pericolo rosso” la responsabilità di quel vile attentato.
Erano
anni caldi, anni di Lotta di Classe,
quelli che erano iniziati col ’68. Anni di lotte durissime, da parte della
classe operaia e degli studenti, uniti per la conquista di quei diritti che,
oggi, si stanno allegramente cancellando. Furono gli anni di quella che sarebbe stata poi denominata,
con una locuzione divenuta inquietante, “strategia della tensione”. Anni
durante i quali si succedettero svariati
tentativi di golpe, da parte delle forze armate e di pezzi dei Servizi Segreti
–SID, SISMI, SISDE- in combutta con fascisti (Freda, Ventura, Zorzi, Maggi,
Giannettini: ovvero l’agente Z) massonerie (Gelli e la P2), mafia. Anni che avrebbero portato una generazione ad
imbracciare le armi, per contrastare il rinnovato pericolo fascista, tenuto al
caldo da partiti di governo, come la DC. Una generazione che volle dare
l’assalto al cielo, ma senza riuscirvi e pagando, a quello stato che ha
governato con le bombe i propri cittadini, a quello stato stragista, a quello
stato fintamente democratico, ma essenzialmente autoritario, un prezzo
altissimo.
Non è cambiato molto, come si intuisce, in 45 anni,
nel nostro paese. Anzi, le cose, a ben guardare, sono pure peggiorate. Il
pericolo autoritario torna, ma non solo assume la faccia bonaria di un Renzi
qualsiasi, ma non trova, sulla sua strada, nessuno pronto a contrastarne gli
abusi e le violazioni dei diritti, costituzionalmente garantiti. Per il commissario Luigi Calabresi, invece,
per quello che personalmente ritengo, assumendomene il peso, il responsabile
principale, morale o effettivo non importa, dell’assassinio di Pinelli, insieme
al suo superiore, Antonio Allegra e al questore Marcello Guida –famoso perché a
lui Pertini non volle stringere la mano, essendo stato egli uno dei carcerieri
fascisti al confino di Ventotene- oggi è stato addirittura avviato il processo
di beatificazione. E sì, perché non bisogna
dimenticare che, negli affari della politica italiana, malgrado il suo
potere temporale sia nominalmente cessato, c’entra sempre il Vaticano. Quel Vaticano che, proprio in quegli anni, ha stretto mani e patti con
i peggiori criminali del mondo –Pinochet su tutti- e che ha sempre portato
sugli altari assassini ed infami della peggior specie, basta che avessero il requisito dell'anticomunismo. E non mi si venga a dire che la magistratura,
nella persona del giudice Gerardo D’ambrosio, ritenne Calabresi estraneo
all'assassinio di Pinelli. Perché, su quella vicenda, la magistratura si è
giocata la faccia e la sua reputazione, una volta per sempre. D’Ambrosio, infatti, scagionò Calabresi e gli
altri, coniando una nuova fattispecie medico-giuridica: il malore attivo. Preso
da malore attivo, Pinelli si sarebbe gettato dalla finestra. La sfrontatezza
del potere e la viltà dei cittadini, insieme alla mancanza di memoria,
sembrano, dunque, il principale collante
di questo paese ridicolo, come può essere ridicola solo la tragedia. Un paese
sostanzialmente reazionario, piccolo borghese, moralista.
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