giovedì 28 dicembre 2017

POTERE AL POPOLO COME MOMENTUM DI CORBYN: UN'EQUAZIONE DA RIGETTARE

Due giorni or sono, a firma di Rosa Gilbert, è uscito, sul britannico The Indipendent, un pezzo in cui si afferma che l'unica sinistra, in Italia, è rappresentata da Potere al popolo, procedendo poi in un paragone, quello con Momentum di Jeremy Corbyn, non certo lusinghiero per un movimento che voglia fare della lotta radicale, al Capitale e alle sue molteplici e velenose ramificazioni, il perno cardine della sua stessa esistenza politica. Capisco, allora, che possa far piacere leggere su un Tabloid come The Indipendent -in un articolo che, sicuramente, fa impallidire i nostri media mainstream per obiettività e analisi della situazione sul campo in Italia- di Potere al Popolo, di Je so' pazzo e dell'ex Opg, dell'Usb e dei centri sociali, e nello specifico di Napoli, quale epicentro da cui nasce quest'innovativa proposta politica; pur tuttavia, non penso ci sia da rallegrarsi se lo stesso The Indipendent propone un'equazione, seppur procedendo per sommi capi, tra Potere al Popolo e Momentum di Corbyn. E tanto meno c'è da gioire se quell'equivalenza pone, come ulteriori termini di paragone, il Podemos spagnolo di Iglesias -la battaglia per l'indipendentismo catalano ne ha evidenziato tutte le fragilità sul piano dell'auspicabile rottura con l'Ue e lo Stato monarchico-franchista castigliano- o Insoumise di Melenchon, in Francia. 
Non va dimenticato, infatti, che, se tanto il movimento spagnolo quanto quello francese risultano compatibilisti rispetto alla cultura produttiva e borsistico-mercantile del capitalismo dominante, anche Momentum e la cosiddetta Corbynomics non sono da meno. Accusata, in Inghilterra, di proporre ricette di estrema sinistra e di stampo marxiano, l'economia corbiniana è, invece, nulla di più di un pacchetto di proposte "riformiste"- come sostenuto dallo stesso Corbyn- seppur orientate nel senso di quella socialdemocrazia, conciliatrice degli opposti interessi di classe, che, oramai, è essa stessa divenuta un miraggio nel panorama oscurato dalla dittatura del pensiero neoliberista. Un riformismo di matrice socialdemocratica, dunque, il cui perno è una sorta di quantitative easing -sul modello adottato dalla Bce di Mario Draghi- ma a vantaggio del popolo. Un programma economico rivolto sia a finanziare investimenti in infrastrutture pubbliche sia a cittadini e lavoratori e sostenuto da economisti di sinistra della scuola keynesiana -e qui ravviserei l'intoppo per una forza che si dichiara comunista e radicale- tra cui Steve Keen e David Blanchflower, i quali hanno fatto pubblicare sul Guardian un appello nel quale si afferma che l'«accusa, ampiamente diffusa nei confronti di Jeremy Corbyn e dei suoi simpatizzanti, consiste nell'essersi fatti promotori di una politica economica di estrema sinistra. Ciò non trova però fondamento nelle dichiarazioni e nelle politiche sostenute dal candidato. La sua opposizione rispetto alle politiche di austerità è coerente con quanto il pensiero economico prevalente afferma, e lo è persino con quanto sostenuto dal Fondo Monetario Internazionale». Quello stesso Fondo Monetario Internazionale insomma, che, insieme alla Bce, all'Ue e alla Banca Mondiale compone quella Troika alla quale si devono le misure di austerità che hanno prodotto e stanno producendo la macelleria sociale e il progressivo impoverimento dei paesi europei -ma anche altrove la situazione è la medesima- speculando, con le banche d'affari e le Multinazionali, su quel debito pubblico divenuto ormai un capestro cui impiccare i popoli di mezzo pianeta. Stiamo parlando, in sostanza, di quella cosiddetta "economia del debito" contro cui si ergeva, pagando con la morte il suo dissenso, Thomas Sankarà, allora presidente del Burkina faso. Troika ed economia del debito -Fiscal Compact in testa- che dovrebbero essere i principali obiettivi strategici contro cui scagliarsi da parte di forze anticapitaliste, e contro cui, difatti, i principali ispiratori di Potere al Popolo si sono scagliati da tempo. Ma alle parole di sfida dovranno, come sempre, seguire i fatti. Altrimenti, si rischia di fare la fine di Tsipras e Syriza in Grecia: proclami altisonanti, e poi testa china di fronte al ricatto dei comitati d'affare europei e dei creditori mondiali. In quest'ottica, quindi, mi pare evidente che parallelismi come quelli proposti dall'Indipendent debbano essere rifiutati categoricamente. Marcare la differenza sul versante delle lotte -se si preferisce, più teoricamente, sul versante della Lotta di Classe- dovrebbe essere prioritario, se si vuole scongiurare il rischio, non proprio trascurabile, che la percezione nei blocchi sociali di riferimento si riduca ad una semplice alleanza a scopi elettoralistici, imbevuta di astrazioni concettuali e parole vacue, simboliche e fortemente evocatrici, ma prive di corrispondenze nella realtà.
E proprio questi sono i dubbi -oltre alla precedente esperienza del Brancaccio- che mi assalgono sin dalla creazione di Potere al Popolo e che mi hanno portato alla decisione di non sostenere attivamente la lista, pur guardandola con favore e percependola come un embrione promettente di una politica in discontinuità  rispetto alle fallimentari esperienze del passato. Un embrione che, voglio sinceramente augurarmelo, nel corso del suo processo evolutivo -al di là delle elezioni, che continuo da decenni a considerare, oramai, una roulette truccata, i cui croupier sono, inequivocabilmente, servi dei poteri finanziari- possa spazzare definitivamente le esperienze legate tanto al consociativismo di un centro sinistra lontano milioni di anni luce dalla realtà del paese, quanto alle derive autoreferenziali della sedicente sinistra radicale, incapace, da tempo, di cogliere la tragedia sociale che va consumandosi sulla pelle di coloro che dovrebbero rappresentare, pur nella loro composita conformazione, la classe ed il blocco sociale di riferimento. Un embrione che sia vieppiù capace di tracciare una linea di demarcazione tra fittizi organismi verticistici, costruiti in laboratorio e a freddo, utili esclusivamente al riciclaggio di una classe dirigente prona agli interessi della finanza globale e smaniosa di accumulare una pur minima quantità di potere e denaro per sé stessa, e possibili, speriamo concrete, realizzazioni di forze sul campo, capaci di rompere, finalmente senza alcun compromesso, con quella che si configura, oramai da tempo, come la Dittatura Mondiale Neoliberista. Una versione, insomma, riveduta e corretta in senso peggiorativo, dello Stato Imperialista delle Multinazionali. La priorità rimane infatti, almeno per il sottoscritto, il No all' Unione Europea, il No all' Euro, il No alla Nato. E soprattutto, il No gridato al pagamento del Debito. Senza questa determinazione e questi No, che comportano, mi rendo conto, non pochi rischi in termini di un possibile ed eventuale spargimento di sangue -è bene chiarirlo subito, senza ipocrisie e senza nascondersi la crudele verità, adoperando come paravento la Democrazia e il Pacifismo- non si uscirà mai dalla condanna a morte emessa, nei confronti dei ceti più deboli, delle periferie del mondo e dei popoli del sud, da quelle elite finanziarie che hanno a cuore solo i loro interessi e la cui sentenza viene eseguita, giorno dopo giorno, lentamente ma inesorabilmente, da boia in giacca e cravatta, seduti nei consigli di amministrazione o su poltrone presidenziali o su parlamentari scranni da deputato. Il sangue scorre lo stesso, dilazionato e per procura. E malgrado elezioni libere e democratiche.
Al di là di questi conclusivi accenti pessimistici, faccio però, comunque, i miei migliori auguri a tutte le compagne e i compagni che stanno donando forza, energie, nervi alla lista Potete al Popolo. Sperando di essere smentito con i fatti e non solo con le parole.

lunedì 4 dicembre 2017

DA AMAZON A FIAT: LA LOTTA DI CLASSE È PADRONALE

Jeff Bezos, fondatore e patron di Amazon, vale 92 miliardi di dollari, circa 85 miliardi di euro. Intanto, nei suoi magazzini, operai e lavoranti sono letteralmente carne fresca da macellare:
nove secondi per afferrare e lavorare un articolo da spedire per l’imballaggio. L' l’obiettivo è 300 articoli l’ora, un’ora dopo un’altra, incessantemente. Undici ore di lavoro quotidiane, piegati in due, con turni, a volte, di sette giorni alla settimana, anche la notte. Una sorta di cronometro a controllare tempi ed efficienza, e telecamere a spiare se, per caso, ci si fermi. Tirare il fiato è vietato. Due sole pause di 30 min, per mangiare e, forse, andare in bagno. Ritmi massacranti, per 1.300 € lorde al mese. Una miseria per un lavoro da schiavi ottocenteschi, cui qualcuno non resiste. Non pochi accusano malori e svengono, venendo trasportati in ospedale con l'ambulanza. Ad attenderli, all'uscita, il licenziamento.  
Per venire a casa nostra, l'AD di Fiat-Chrysler, Sergio Marchionne -l'amico di Renzi e del Pd del rilancio economico e industriale, cui gli addetti alla comunicazione fanno sui social tanta propaganda- guadagna all'incirca 60 milioni all'anno, tra stipendio, bonus ed incentivi vari. Con le plusvalenze da stock-options, il "nostro" Marchionne potrebbe arrivare fino a 80 milioni circa. Negli stabilimenti Fiat, nel frattempo, i ritmi di produzione e di impiego della forza lavoro sono anche qui logoranti, al punto che molti operai parlano di veri e propri lager. Anche qui cronometri o chip per controllare la tempistica. Anche qui pause ridotte al minimo. Anche qui efficientismo disumanizzante. È la Fiat del metodo WCM 4.0, implementato dall'AD dei grandi successi. Praticamente, gli stabilimenti del Gruppo FCA adottano il sistema World Class Manufacturing (WCM appunto): una metodologia di produzione strutturata, rigorosa ed integrata che coinvolge l’organizzazione nel suo complesso: dalla sicurezza all’ambiente, dalla manutenzione alla logistica, alla qualità. Obiettivo primario del sistema WCM è migliorare continuamente tutte le performance produttive al fine di garantire l'alta qualità del prodotto e soddisfare le attese del cliente. Il WCM ha come finalità comune una sistematica riduzione delle perdite e degli sprechi, fino ad arrivare al risultato ultimo di zero: infortuni, zero rifiuti, zero guasti e zero giacenze. Il WCM si basa sull’aggressione sistematica di ogni tipo di spreco e perdita, e sul coinvolgimento di tutti (a tutti i livelli gerarchici dell’organizzazione), attraverso l’impiego rigoroso di metodi e standard. Ovviamente, neanche a dirlo, sicurezza, ambiente, manutenzione sono target soltanto nominali. L'obiettivo principale è la massimizzazione dei profitti, anche a danno dei lavoratori. Anzi, soprattutto. E così, via al processo di riduzione dei diritti, fin quasi all'azzeramento: fioccano gli esuberi per ristrutturazione e non si contano i licenziamenti per ragioni politiche e sindacali. I danni fisici, poi, sono la norma.
In altre parole, si sono perfezionati, grazie soprattutto alle moderne tecnologie, i sistemi di sfruttamento della manodopera. Colpa anche dell' incapacità delle forze comuniste di reagire ad una sconfitta, che ha lasciato, ai nuovi padroni del mondo, la possibilità di una ristrutturazione capitalistica di stampo talmente reazionario che, a fronte di essa, impallidiscono tanto la Controriforma post rinascimentale, operata dalla Chiesa, quanto la Restaurazione successiva al Congresso di Vienna, voluta dalle vecchie monarchie e volta a ripristinare l'Ancien Regime, rovesciato dalla Rivoluzione Francese. 
Quello che stupisce, però, è che gente come Bezos e Marchionne guadagni tanto, nonostante la crisi. Una crisi di sistema del Capitale. Una crisi che paghiamo noi, non certo lor signori. Anzi, una crisi che ha consentito loro di affondare i colpi di una Lotta di Classe padronale sanguinaria, realizzando il sogno di qualunque capitalista, sin dai tempi delle prime proteste e dei primi scioperi socialisti: reprimere e cancellare i diritti dei lavoratori. Che si torni allo schiavismo e tacciano i pezzenti. Una deriva impensabile nel corso del '900, all'epoca dell'avanzata delle forze produttive, amaro frutto, caduto dall'albero del XXI secolo, anche a causa dei continui compromessi fatti, a vario titolo, negli anni, dai partiti comunisti occidentali. A cominciare dal nostro PCI. 
La crisi, dunque, la paghiamo noi, non c'è dubbio. Per loro, per questi nuovi monarchi a capo di imperi di carta-moneta, la quantità di denaro e di potere, nel processo di accumulazione capitalistico, sembra non esaurirsi. Magie dei grafici di Borsa e della finanziarizzazione di un'economia sempre meno reale.  
Con tali premesse, appare altresì evidente come il gioco  elettoralistico, su cui dovrebbero poggiare le democrazie, sia ormai falsato. Chi, considerando gli interessi in ballo, affiderebbe esclusivamente al corpo elettorale la  scelta di un governo, il cui unico scopo è quello di varare leggi a tutela dei capitali, dei patrimoni e delle multinazionali? Così, quando accade che, dalle elezioni, esca, per miracolo, un risultato sfavorevole ai comitati d'affari globalizzati, allora questi mettono in atto ricatti tali da far tremare i polsi. Grecia, Catalogna, Venezuela, per fare solo qualche esempio, ne sono una rappresentazione eclatante. Il debito da pagare è l'arma in loro possesso e la usano come dei volgari tagliagole. Pertanto, i ribelli, gli antagonisti, vanno schiacciati perché nulla può essere concepito fuori dall'unico modello possibile e dal pensiero unico dominante. Il Neoliberismo. Selvaggio e criminale. Contro questa dittatura globale, c'è, perciò, una sola risposta da dare. Come sosteneva Thomas Sankara, il debito non si paga. Che vengano pure a massacrarci tutti. Lo stanno già facendo!