A margine del Primo Maggio trascorso, ed anche in considerazione dei fatti di Parigi, credo che vada necessariamente detta una cosa. La distruzione dei simboli del capitalismo -tra cui l'icona McDonald's- dovrebbe essere un imperativo etico di qualunque forza comunista, anticapitalista, rivoluzionaria. Possiamo, poi, discutere del metodo, dell'opportunità strategica del contesto e di tecniche di guerriglia. Ma l'abbattimento di quei simboli è fuori discussione.
Pertanto, sentir parlare -all'indomani degli scontri nella capitale francese- il leader di La France Insoumisse, Jean-Luc Melenchon, di infiltrazioni fasciste nel corteo di Parigi -solo perché quelli che, nella narrazione inquinante del potere mainstream, vengono identificati come violenti Black Block, hanno esattamente messo in atto una piccola guerriglia urbana, rompendo vetrine ed incendiando qualche negozio, simbolo del Capitale- è la sintesi paradigmatica dell'ambigua filosofia dell'ordine pubblico e dell'idea di pace sociale, che ispirano la sinistra istituzionale, compatibilista e concertativa europea. Dagli anni '70, se non prima. D'altronde, qui in Italia, quando, terminata la seconda guerra mondiale, alcuni gruppi di partigiani comunisti, contrariamente a quanto ordinato dal Pci, si rifiutarono di deporre le armi e giustiziarono i fascisti amnistiati dal decreto Togliatti -fascisti che avevano commesso, dal settembre '43, ogni sorta di crimine e di porcata contro la popolazione resistente dell'Italia settentrionale- l'organo del partito comunista italiano, L'Unità, tacciò di trotskismo e parlò, vigliaccamente, di sinistrismo come "maschera della Gestapo" (Pietro Secchia ndr), riferendosi a quegli stessi partigiani, insofferenti al ripristino dell'ordine borghese. I fatti di Schio ne costituiscono un esempio eclatante.
Or dunque, oggi come allora, quello stesso ordinamento, che trova la sua compiuta realizzazione ed il suo assetto formale nello Stato liberale e nei comitati d'affare sovranazionali e ultra liberisti -l'Unione Europea e la sua gabbia di soffocanti trattati, tanto per intenderci- non si scardina, non si rompe con la mediazione di classe, la pacificazione sociale o qualche manifestazione attenta a non turbare il tranquillo andamento della vita cittadina. I rapporti di forza non si sovvertono senza forzare i limiti, sempre più restrittivi, imposti da pseudo regolamenti questurini. Il sistema di produzione capitalistico ed il suo processo di accumulazione, ormai sempre più irreale, visionario, cinico e violento, non si muta sfilando in cortei improntati alla ragionevolezza e al buon senso civico. La repressione, spesso cruenta, delle forze dell'ordine, non si combatte senza un ricorso alla "violenza di classe". La Rivoluzione non si fa senza alzare ed inasprire il livello del conflitto in atto nelle piazze, nelle scuole, nelle università ma, soprattutto, in quei luoghi di lavoro dove si assiste, quotidianamente, alla cancellazione dei diritti, alla mortificazione della dignità, all'espropriazione del corpo e dell'intelligenza, fino all'usurpazione della stessa vita del lavoratore, spesso messa a rischio di morte. È triste dirlo, ma bisogna cominciare a prendere atto di questa insopprimibile e cupa realtà. Prima che le elite finanziarie, gli Stati, il Capitale non ci lascino più scampo. Come diceva Edmund Burke «Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all'azione». E, per essere chiari, qui il Male sono il capitalismo, la sua deriva neoliberista, il mercato. E quel simulacro chiamato, ormai, democrazia liberale o socialdemocrazia!
Vincenzo Morvillo
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