Rothko Chapel

"L'estensione logica del business è l'omicidio!" (D. Cronenberg)
lunedì 14 luglio 2014
ALCOOL
Dicono che io
sia spesso ubriaco
Si è vero
bevo cazzo!
Bevo
Ma non è l'alcool
che mi sbronza
E' il sangue
versato
dalle ferite di un mondo
senza senso e senza pietà
che mi sgomenta
e mi ubriaca
Sono le lacrime
dei bambini di Palestina
i loro corpi martoriati
sui letti di ospedale
bruciati e sventrati
che mi tolgono il rispetto
dell’umanità malata
E' l'urlo delle donne
stuprate nelle guerre
e nelle case da bene
quelle maleodoranti
di amore cattolico
che mi atterrisce
Sono le mani
tese dei poveri
su cui la buona borghesia
sputa
giorno per giorno
che mi lacerano
e mi offrono un altro bicchiere
Sono le svastiche
che divorano
il cielo di Ucraina
il macello nazista
della carne di Donetsk
che mi fanno vomitare
ad un angolo di strada
E' questo fetore
di rancido e di morte
emanato dalla vita
a darmi la nausea.
E allora bevo
Si bevo cazzo
Per non spararmi
Un colpo alle tempie.
lunedì 7 luglio 2014
7 LUGLIO 1960: LA STRAGE DI REGGIO EMILIA. MA OGGI COME IERI, LUNGA E' LA LINEA ROSSA DEL SANGUE INNOCENTE VERSATO, PER MANO DEI SUOI GENDARMI, DALLA REPUBBLICA ITALIANA, DEMOCRATICA E LIBERALE
Il 7 Luglio 1960, durante una manifestazione in corso a Reggio Emilia, reparti di polizia e carabinieri del “democratico” Stato italiano, assassinavano 4 operai ed un contadino: Lauro Farioli, operaio di 22 anni, orfano di padre, sposato e padre di un bambino; Ovidio Franchi, operaio di 19 anni, il più giovane dei caduti; Marino Serri, pastore di 41 anni, partigiano; Afro Tondelli , operaio di 36 anni, partigiano; Emilio Reverberi, operaio di 39 anni, partigiano. I feriti ufficiali furono 16, quelli trasportati in ospedale, ma si ritiene che molti altri abbiano preferito curarsi "clandestinamente", per non farsi identificare. La manifestazione era stata indetta per protestare contro le violenze perpetrate dalle forze dell’ordine, nei giorni precedenti, durante cortei di opposizione al neonato dicastero Tambroni, che aveva avuto l’appoggio esterno del MSI -partito nato dalle ceneri del fascismo, all’indomani della caduta della dittatura- e soprattutto per contestare la scelta, compiuta dallo stesso governo, di designare Genova –città medaglia d’oro per la Resistenza- come sede del congresso del Movimento Sociale, allora guidato da Michelini. Erano passati appena 15 anni dalla caduta del fascismo e dalla Resistenza, che aveva visto il sacrificio di migliaia di vite, immolatesi sull’altare della Libertà –specie partigiani comunisti- e si può comprendere quale fosse lo sdegno che, una simile scelta, aveva provocato in coloro che avevano combattuto contro la tirannide nazifascista. La tensione era altissima e vasta fu, logicamente, la mobilitazione popolare. Ma il democristiano Fernando Tambroni, amico dei fascisti e uomo dal polso fermo e dal pugno di ferro, non si lasciò certo intimidire, ed ordinò ad i suoi sgherri di aprire il fuoco, in caso di necessità. Al temine di quelle settimane di lotta, si contarono undici morti e centinaia di feriti. Tra questi, i 5 di Reggio Emilia. Quel giorno, polizia e carabinieri spararono, contro i manifestanti inermi, qualcosa come 182 colpi di mitra, 14 di moschetto e 39 di pistola.
In seguito a quei tragici eventi, il 29 novembre 1962, la Sezione Istruttoria della Corte d'appello di Bologna rinviò a giudizio il vicequestore Giulio Cafari Panico, per omicidio colposo plurimo, e l'agente Orlando Celani per omicidio volontario, con l’accusa di aver sparato contro Afro Tondelli. Per motivi di legittima suspicione il dibattimento venne celebrato davanti alla Corte d'Assise di Milano e non a Reggio Emilia. La Sentenza venne pronunciata il 14 luglio 1964: il vicequestore fu assolto con formula piena, per non aver commesso il fatto, mentre l'agente venne assolto con formula dubitativa. Due anni dopo, la Corte d'Assise d'Appello riformò la sentenza, assolvendo l'agente con formula piena.
Sono passati, dunque, 54 anni da quel giorno, ma poco o nulla è cambiato sotto il cielo di questa nostra Repubblica. Una Repubblica che, sin dai suoi primi vagiti, ha annusato l’odore malsano del compromesso di matrice democristiana: ne sono un esempio concreto l’amnistia concessa da Togliatti ai fascisti in galera ed il tradimento del sogno resistenziale, il cui obiettivo era sì la sconfitta del nazifascismo, tuttavia solo come primo passo verso l’instaurazione di una Democrazia Socialista e Popolare. Ma non si poteva. Le logiche di Yalta erano già coattive e l’Italia sarebbe finita sotto il giogo statunitense e sotto l’ombrello protettivo della NATO. Di quei compromessi, ne stiamo raccogliendo oggi, a distanza di 54 anni, i frutti a piene mani. Dopo l’illusione socialdemocratica e bernsteiniana, infatti, del superamento delle contraddizioni insite alla società capitalistica, durata fino alla caduta del muro di Berlino, il trionfo della cultura borghese e piccolo borghese, catto-fascista, finanziario-mercatista e legalitaria è pieno ed ha soggiogato, oramai, anche la sinistra. Oggi come ieri- anzi, a ben guardare ciò che sta succedendo in Europa, più di ieri- i fascisti vengono utilizzati a scopo di normalizzazione sociale e per stroncare sul nascere qualunque protesta o voce si levi –soprattutto se proveniente dal frastagliato arcipelago comunista- in dissenso con le politiche reazionarie, padronali ed imperialiste, attuate da governi sostanzialmente delegittimati a legiferare, asserviti al capitale monopolistico e aventi l’unico scopo di ratificare decisioni prese da organismi sovranazionali come FMI, BCE, UE, Banca Mondiale. Oggi come ieri, se uomini appartenenti alle forze dell’ordine –spesso, vero e proprio braccio armato del governo- commettono reati, finanche l’omicidio, godono di una sorta d’immunità per cui, tuttalpiù, si beccano una condanna formale e simbolica, finendo col fare anche carriera e raccogliendo, addirittura, il plauso dei colleghi per aver fatto il loro sporco dovere. Oggi come ieri, lo stato “democratico” continua a mietere, per mano dei suoi gendarmi, vittime senza colpa, o il cui unico torto è quello di lottare per la libertà, la giustizia e per i propri diritti.
Ieri: Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Marino Serri, Afro Tondelli, Emilio Reverberi. Oggi: Carlo Giuliani, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Guido Magherini. Ma l’elenco delle vittime, di ieri e di oggi, potrebbe continuare. Lunga è la linea rossa del sangue innocente, versato dalla Repubblica italiana, democratica e liberale!
lunedì 30 giugno 2014
EPISTOLA A PAPA FRANCESCO: SANTITA', CHI HA RUBATO LA BANDIERA A CHI?
Santità,
parlando della povertà, Lei ieri ha dichiarato, in un’intervista al Messaggero: "I comunisti ci hanno derubato la bandiera. La bandiera dei poveri è cristiana. La povertà è al centro del Vangelo. Marx non ha inventato nulla". Mi permetta di dirLe, Egregio Santo Padre, che questa è un’affermazione quanto meno azzardata, tanto sul piano storico-filosofico, quanto su quello della decenza etica. Certe cose, in bocca a Lei, non sta bene sentirle. E Le vorrei spiegare il perché di questa mia perentoria, e solo apparentemente irriguardosa, affermazione.
Dunque, a parte le Sue implicazioni con la dittatura di Videla; a parte il vergognoso e corrivo silenzio da Lei adottato sui crimini commessi, all’epoca, dalla junta argentina, quando non ha addirittura Lei stesso denunciato, ad essa, alcuni sacerdoti -seguaci della Teologia della Liberazione- che le si opponevano: comportamenti che Le hanno procurato il giustificatissimo ed orgoglioso sdegno delle Madri di Plaza de Mayo, ma perfettamente il linea con quella vile ambiguità che, da sempre, ha contraddistinto la chiesa cattolica, collusiva con ogni Potere che non ne ostacoli l’operato, anche se nazifascista; a parte l’appoggio di Giovanni Paolo II a tutte le dittature militari e fasciste in Sud America e la sua politica dichiaratamente anticomunista; ma parlare di furto della bandiera della povertà ad opera dei soliti comunisti, da parte Sua e del Vaticano, non Le sembra, mi perdoni l’irriverenza, grottesco, nonché suonare un po’ come una presa per i fondelli, proprio di quei poveri che Lei dice di voler difendere? Come li difenderebbe la Chiesa, se è lecito? Godendo di privilegi e ricchezze? Stringendo alleanze con massoneria, mafia e dittature fasciste? Riciclando denaro sporco attraverso il pio Istituto Opere Religiose (IOR)? Non pagando le tasse? O facendosi finanziare scuole e cliniche private costosissime, come l’Ospedale San Raffaele di Milano, finito al centro di note vicende giudiziarie, a causa delle quali si tolse addirittura la vita Mario Cal, storico braccio destro di don Verzè?
Siamo onesti, Santità: voi cattolici avete sempre consigliato ai poveri di tacere, pregare e di affidarsi al buon dio e a madama Provvidenza. O,nel migliore dei casi, alla Caritas, come Lei stesso ha coerentemente affermato. Piissime illusioni, ammannite con la minaccia della condanna eterna agli inferi. Intanto, però, Santa Romana Chiesa proliferava e prolifera, laidamente, proprio all’ombra di quella miseria; si alleava e si allea con tutte le classi dominanti, che le consentano di tutelare i propri ingenti profitti e di conservare il proprio enorme potere, spirituale ma anche temporale; ed è stata per secoli, essa stessa, uno stato colonialista, sfruttatore della manodopera dei fedeli e carnefice tra i più sanguinari. Basta considerare cosa fece in America Latina ed in Africa dove, per evangelizzare e civilizzare le popolazioni indigene e pagane, divenne autrice di massacri atroci, ancorché servendosi di mani altrui. Ovviamente, sempre nel nome di quel dio bianco e “grondante” bontà . Mi consenta di dirLe, Ottimo Padre, che semmai Gesù Cristo avesse la ventura di risorgere ai nostri giorni, vedendo la di Lui Chiesa cosa è stata capace di fare, nei secoli, e cosa continua a fare, credo che stavolta non si limiterebbe a cacciare i mercanti dal tempio. lo incendierebbe, quel Tempio. Gesù, com’è noto, non era personcina tranquilla e comprensiva, quando lo facevano incazzare. Dubito, però, che il Redentore, nella sua onniscienza, desideri immolarsi nuovamente per uomini che, in suo nome, hanno compiuto le peggiori nefandezze, stravolgendo, tra l’altro, il senso del suo messaggio evangelico.
Ma torniamo alla questione principale, Santità. Marx ed il Comunismo -portatori di quei rossi vessilli tanto invisi al cristianesimo ed al cattolicesimo reazionario, di cui Lei, Gentilissimo Padre, sembra essere degno esponente, malgrado la propaganda vaticana e massmediatica voglia darci ad intendere il contrario- ai poveri hanno sempre consigliato di studiare, pensare, prendere coscienza di sé stessi e della loro storica condizione di classe e di subalternità, di non tacere, di opporsi a chi ha sempre cercato, per i propri biechi interessi economici, di ridurli in schiavitù, di non lasciarsi strumentalizzare ed indebolire dalla religione e, come logica conseguenza di tutto ciò, di fare la Rivoluzione contro i padroni. Non sarà un inno al pacifismo, ne convengo, ma certamente suona meglio della sublime ipocrisia buonista del Vaticano, dietro cui la Sua Chiesa, Santità, ha celato e cela crimini orribili. Non ultimo, la pedofilia dilagante ed opportunamente occultata dalle gerarchie dominanti in San Pietro. AI poveri e ai popoli affamati non si possono dare in pasto preghiere e rosari. Bisogna dare pane e lavoro. Lei lo dichiara, è vero, ma le parole risolvono poco, specie se ad esse si fanno seguire condotte non conseguenti. In conclusione, Ottimo Padre, quando parla di bandiere rubate, si chieda sempre: chi ha rubato la bandiera a chi?
Mi permetta, allora, di salutarLa, Santità, con alcune parole tratte da Antonio Gramsci, che sembrano scritte apposta per l’evenienza:
«E c'era anche una bandiera rossa; fra le tante bandiere c'era anche una bandiera rossa. Certamente il colore era rosso, obiettivamente doveva essere rosso. Era una bandiera fra molte, troppe bandiere, e in esse anche doveva obiettivamente esistere il color rosso. Successe ciò che succede tra i colori. I colori simpatizzano tra loro e si uniscono tra loro in tenere confusioni, in dolcissime sfumature. Così accadde per quella bandiera; tutti gli altri colori simpatizzavano con lei, essa era immersa fra tante bandiere, fra tanti colori, e si confondeva, si lasciava assorbire.
Eppure quella bandiera era obiettivamente di color rosso. L'osservatore imparziale, riunendo nel pensiero astratto le sovrapposizioni sintetiche del quadro generale doveva convenirne: quella bandiera è rossa.
Non è il solito rosso delle bandiere rosse. Le solite, vecchie, convenzionali bandiere rosse tagliano netta la pupilla, si figgono nella pupilla; esse sono come una piaga appena squarciata che brilla; esse ricordano veramente una piaga che non si rimargina, perché mani proterve staccano i lembi e nuovo sangue fanno zampillare.
Quella bandiera non era una piaga; stava alla piaga come la macchia di pomodoro che i comici, morendo di morte violenta nei palcoscenici di provincia, si applicano sulle tempie strizzando nel pugno chiuso l'economica solanacea. Non era una piaga: forse che i piagati, i feriti vanno sotto l'aspersorio di un cardinale a farsi irrorare d'acqua santa? Ebbene, quella bandiera, obiettivamente rossa, andò sotto il santissimo sacramento e fu consacrata dall'aspersorio di un cardinale.
Non bruciò la ferita, non sentì la carne viva il morso salso dell'acqua santa; non c'era ferita, non c'era carne viva, il rosso era obiettivamente rosso come il sugo di pomodoro.
E la bandiera continuò a bighellonare tra le molte, le troppe altre bandiere. Iniziata, la carriera degli onori è facile e vellutata. Andò ad inchinarsi dinanzi al prefetto; la ferita non senti slargarsi i lembi sanguinolenti dalle mani proterve, non zampillò più vermiglio il sangue. Anzi le molte, le troppe bandiere si unirono più strettamente e la innata simpatia strinse il nodo della gamma dei tanti colori. La bandiera fu assorbita, il poco rosso obiettivo si confuse ancor più nella girandola; un papavero in una cesta di barbabietole e insalata.
Povero colore del sangue vivo, povero colore delle bandiere solite a rimaner sole, povero colore che nelle moltitudini sembri una ferita recente. In quella moltitudine, tra le molte, le troppe altre bandiere, scomparivi, scialba, assorbita nella gamma della girandola, slavata dall'acqua dell'aspersorio di un cardinale. Ma hai iniziato la carriera, farai fortuna, poiché ti accontenterai del tuo scomparire, poiché non domandi che di dissolverti, proprio come il sugo del pomodoro, saporito condimento per gli stomaci robusti, che hanno molto, troppo appetito».
venerdì 27 giugno 2014
PER UNA NUOVA FORZA ANTAGONISTA E MARXISTA
Occorre ricostruire, innanzitutto, un’egemonia politica e culturale fra le masse e all’interno della classe operaia e lavoratrice, per poi elaborare, in uno sforzo intellettuale e collettivo, le forme e la sostanza di un’ ipotesi di società comunista, alternativa al capitalismo, e che, ahimè, tanto in Italia quanto in Europa, attualmente non mi pare emerga. Il problema sostanziale, credo vada individuato nel fatto che non si nota, viepiù, la volontà di compierlo seriamente, quello sforzo collettivo. Men che meno da parte delle dirigenze di quei partiti che si richiamano al marxismo –ovviamente, esclusa SEL, che con il marxismo non ha mai avuto nulla a che vedere- le quali, di quei partiti, troppo spesso si servono per conservare quel minimo di potere che ancora gli derivi dalla loro collocazione gerarchica interna. Qualcosa si agita alla sinistra del PRC e degli altri partiti tradizionali, appartenenti alla cosiddetta sinistra radicale, sul terreno tanto del dibattito teorico, quanto su quello dell’agire politico e strategico e, secondo il mio modestissimo parere, ne vanno necessariamente e appassionatamente seguiti gli sviluppi.
Una cosa, però, almeno a me, risulta chiara. Se non si vuole sperare, in extrema ratio, in un'avanguardia rivoluzionaria -ipotesi che molti aborrono e posso anche trovarmi d’accordo: se non altro perché oggi non se ne scorge alcuna, almeno in Italia- andrebbero smantellate le attuali strutture di partito, impegnate in tatticismi e manovre puramente elettoralistiche e che, nonostante ciò –e anzi, proprio per questo- sono diventate residuali sul piano del consenso elettorale -parlo del PRC, del PDCI, del PCL, di Sinistra Critica. del Partito Comunista Popolare, ridotti, spesso, a pure proiezioni dei loro leader carismatici- e allo stesso tempo, ridimensionate le tendenze economiciste-spontaneiste, tipiche dei movimenti, che sfociano nel minoritarismo, mettendo in atto il tentativo di unire, meglio di fondere, tutte quelle energie, in un omogeneo, seppur culturalmente variegato, blocco sociale e di lotta al capitalismo. Questo blocco andrebbe costruito, ciò deve essere chiaro, riformulando parole d'ordine e superando barriere dottrinali che, troppo spesso, hanno fatto da paravento per le sconfitte del movimento operaio e comunista, negli ultimi anni. Ovviamente, questo non vuol dire operare un revisionismo dei nostri fondamentali principi marxisti -continuano a perdurare le disuguaglianze, le sperequazioni, le ingiustizie, l'imperialismo- ma soltanto adattarne i dispositivi alle mutate condizioni politiche, sociali, culturali, economiche e ai nuovi e diversi rapporti di forza, di classe e di produzione, che le borghesie sono riuscite a mettere in atto, anche per contrastare l’attuale crisi di sistema e di accumulazione valoriale. Proprio per questo, credo che non si possa più ragionare in termini di monoblocco partitico, restringendo il perimetro del conflitto alle sole borghesie nazionali; ma l’orizzonte della lotta deve’essere necessariamente articolato ed internazionalista, oltreché radicale ed intransigente. La discussione è sul terreno. Spero che l’intero movimento comunista voglia prenderne atto.
Nel frattempo, un primo passo verso la costruzione di quel blocco sociale e di lotta può essere rappresentato dal contro semestre popolare, che prenderà il via sabato 28 giugno, a Roma, in opposizione al semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea, contro le politiche di austerity imposte dalla troika e a favore del lavoro, del reddito, del welfare e contro la dilagante guerra imperialista, voluta da UE e USA.
mercoledì 25 giugno 2014
CIRO ESPOSITO: VITTIMA DI CALCIO, FASCISMO ED ISTITUZIONI
Non solo Ciro Esposito, napoletano, è morto –la notizia sarebbe di questa mattina- per una stupida partita di calcio, ma lo è per mano di un fascista! Daniele De Santis, militante di estrema destra, vicino ad organizzazioni come Casa Pound e Militiza, lo ha assassinato in quella Roma capitale, sempre più, oramai, fiera ospite, nel suo corpo sociale, di elementi neofascisti e neonazisti. Elementi ed associazioni che proliferano, grazie alla complicità di uomini come l'ex sindaco, Gianni Alemanno, ed al silenzio colpevole di una sinistra, oramai in completo disarmo.
Vorremmo qui ricordare, pertanto, che il reato di apologia di fascismo –malgrado i deliri post ideologici in voga- sarebbe ancora un cardine della nostra Costituzione, un tempo ispirata a principi democratici e oggi, invece, sempre più preda di derive dispotiche e d’interessi finanziari e padronali, che ne stanno smantellando l’impalcatura in quei punti che, più e meglio, garantivano la democrazia, la giustizia sociale e l’uguaglianza, tra persone di classi e ceti diversi. Oligarchie borghesi che, come ci insegna la storia dal ‘900 in poi, utilizzano il fascismo a fini di controllo e di “normalizzazione sociale”; o, peggio, per appiccare il fuoco che possa determinare una svolta autoritaria.
Complimenti, dunque, al sindaco Marino, esponente di quel vergognoso coacervo di interessi –personali, finanziari, politici- che è il PD, per essersi ben collocato in quel solco antidemocratico e per non aver fatto, dal giorno di quei tragici eventi che hanno portato Ciro sulla soglia della morte, assolutamente nulla: né aver chiesto le dimissioni del questore e del prefetto, né aver mostrato un briciolo di umano sentimento nei confronti del povero Ciro. Non una visita e non una parola di conforto per la famiglia, ha avuto il coraggio di fare o di pronunciare, il primo cittadino della “nostra” capitale.
Al sindaco Marino ed al suo PD interessa, evidentemente, solo l’umanità in termini utilitaristici. E allora, eccolo esprimere tutta la sua solidarietà ai coloni israeliani, tra i principali responsabili dei massacri compiuti dall’esercito israeliano nei confronti del popolo palestinese, per il presunto rapimento di tre ragazzi . Il sionismo, gendarme delle risorse petrolifere in medio oriente per conto dell’occidente, val bene un atto di vergognosa, umiliante, vile sottomissione!
sabato 21 giugno 2014
VIA FANI, OVVERO: L’INIFINITA STORIA DELLE FALSE RICOSTRUZIONI E DELLE BUGIE DI STATO.
Non si arrestano le fantasie dietrologiche –alle quali, il massimo contributo è stato offerto dalla pubblicistica e dalla saggistica prodotte da ex esponenti del PCI e dei DS: dal senatore Sergio Flamigni al senatore Giovanni Pellegrino, allo storico togliattiano Giuseppe Vacca- che, da sempre, hanno accompagnato il rapimento Moro -vero snodo storico-politico della Repubblica italiana- e la vicenda stessa delle Brigate Rosse e della lotta armata comunista in Italia. Una vicenda da ricondurre, volenti o nolenti, all’etero direzione dei servizi segreti di mezzo mondo o ad improbabili collaborazioni delle B.R. con i più diversi soggetti criminali. Perché, questa è l’idea che mi sono fatto nel corso degli anni, l’obiettivo era ed è quello di mettere, sullo stesso piano, l’estremismo di matrice neofascista, bombarolo e stragista, e che grazie a quelle complicità esisteva e proliferava –anche al momento della nascita del cosiddetto spontaneismo armato, predicato dai NAR- in funzione golpista o stabilizzatrice-conservatrice, volta a spostare l’asse politico-istituzionale a destra, e le spinte rivoluzionarie, di estrazione marxista, che miravano ad un sovvertimento dello Stato e del sistema, in chiave comunista.
Dunque, ecco che dopo le balle dell’ex finanziere, Giovanni Ludu –incriminato per calunnia dalla magistratura- sul covo di via Montalcini e sulla liberazione di Moro, riprese immediatamente da uno dei corifei del complottismo, l’ex giudice istruttore, Ferdinando Imposimato; dopo le mendaci dichiarazioni dell’artificiere, Vitantonio Raso –anch’egli sotto inchiesta per calunnia- circa il ritrovamento del corpo del presidente democristiano; dopo tutte le fantasmagoriche ricostruzioni su chi ci fosse o non ci fosse, quel giorno, in Via Fani, sempre smentite dai brigatisti; dopo la storia della moto Honda, una sorta di oggetto volante non meglio identificato, montata -stando alle più seducenti interpretazioni della dietrologia nostrana- da agenti dei servizi, da esponenti della ‘ndrangeta o da chissà quali altre proiezioni fantasmatiche: in realtà, in sella a quella motocicletta, c’erano Giuseppe Biancucci, di 23 anni, e Roberta Angelotti, di 20, abitanti in Via Stresa e militanti del “Comitato proletario di Primavalle Mario Salvi”; ora, ci tocca assistere all’ennesima puntata di quella fiction, che potremmo chiamare “Via Fani: l’infinita storia delle false ricostruzioni e delle bugie di stato ”.
Raffaele Fiore, operaio, ex dirigente della colonna torinese delle B.R., che era tra i nove che quella mattina neutralizzarono la scorta e rapirono il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, dopo aver rilasciato un’intervista alla giornalista di Oggi, Raffella Fanelli, si vede costretto a smentirne alcuni passaggi, rielaborati ad arte dall’articolista. In pratica, stando a quanto scrive la reporter, Fiore avrebbe dichiarato che, al momento dell’attentato, sarebbero state presenti, in Via Fani, persone che non conosceva: «persone che non dipendevano da noi […] Che erano altri a gestire». Una rivelazione clamorosa, visto che nessuno dei brigatisti presenti quella mattina ha mai rilasciato una simile dichiarazione. Il problema, però, è che Fiore, quelle parole, non le ha mai pronunciate. Contattato telefonicamente, ha dichiarato: «In via Fani, quella mattina, eravamo in nove [Fiore non prende in considerazione la staffetta indicata nelle sentenze processuali nella persona di Rita Algranati, condannata all’ergastolo e attualmente in carcere]. Di questi ne conoscevo sei, i regolari: Mario Moretti, Barbara Balzerani, Valerio Morucci, Baffino (Franco Bonisoli), Prospero Gallinari e Bruno Seghetti . Gli altri, due irregolari romani, non li conoscevo ed ancora oggi farei fatica ad identificarli. La giornalista mi ha chiesto se i due situati nella parte superiore di via Fani fossero Lojacono e Casimirri. Ho risposto che non li conoscevo. Che i due che stavano sulla parte alta della via erano della colonna romana e dunque erano altri a gestirli». Insomma, l’immancabile informazione spazzatura, come tanta se n’è vista, sul caso Moro.
La verità è che dare un riconoscimento politico alle BR, ancora oggi, fa paura allo stato borghese e ai suoi sponsor finanziari . Hai visto mai che qualcuno possa trarne esempio, in un passaggio storico tanto delicato e profondamente segnato da una crisi che sta evidenziando, sempre più, le iniquità del trionfante modello liberista occidentale?! Quindi, tutto ciò che possa screditarne la storia, è ben accetto. E allora, ecco pronta anche la costituzione di una nuova, l’ennesima, Commissione Moro.
venerdì 20 giugno 2014
19 GIUGNO 1985: TRENT’ANNI DOPO L’ARRESTO DI BARBARA BALZERANI. I SOGNI NON SI PROCESSANO
Il 19 Giugno 1985, veniva catturata e messa in galera Barbara Balzerani, capo storico delle Brigate Rosse e fondatrice delle B.R. Partito Comunista Combattente. Barbara, lo dico subito, è una donna che sono fiero di considerare una mia amica. Ebbene, ognuno è libero di pensare ciò che vuole, in merito all'esperienza della lotta armata e a chi vi prese parte. Per quanto mi riguarda, dico che, se per lo Stato borghese, per la morale su cui si regge e per i tanti benpensanti, che di essa si nutrono, Barbara -e altri compagni come lei- è stata e continua ad essere una pericolosa terrorista, benché abbia pagato con 30 anni di carcere duro le sue idee e le sue azioni, ed oggi sia una donna libera ed una scrittrice, capace di regalarci pagine di letteratura autobiografica toccanti e sofferte, commosse ed umanissime, per me, ed altri come me, è stata ed è una compagna che, credendo fino in fondo nei propri ideali, ha avuto il coraggio, e forse anche l'avventatezza, di prendere le armi, in anni in cui la Rivoluzione era un sogno, la repressione spietata ed il fascismo sembrava alle porte. Anni difficili, di scontri sociali durissimi e spesso sanguinosi; ma anche anni esaltanti, per la carica di cambiamento radicale che sembrava accompagnarli. Che un altro mondo fosse possibile, a quel tempo, lo si credeva in tanti e per davvero. Pertanto, se Barbara –ed altri con lei- ha preso le armi, lo ha fatto in nome della Libertà, della Giustizia, dell'Uguaglianza e del Comunismo; e per ribellarsi ad un capitalismo sempre più ingiusto, oppressivo, criminale ed omologante, nella sua perversa logica di mercificazione delle vite. Ricordiamo, tra l'altro, che allora –come già prima si accennava- le forze reazionarie e conservatrici tentavano di imporre il loro dispotico dominio di classe, di cui quella perversa logica era la perfetta incarnazione, attraverso il terrorismo di stato. Un terrorismo che colpiva, come sempre accade, alla cieca, "sparando" nel mucchio, senza obiettivi strategici e mietendo centinaia di vittime innocenti. Tra gli anni '60 e la prima metà degli '80, il pericolo di un possibile ritorno della dittatura fascista non era solo un'ipotesi, ma lo si respirava nell'aria. Si considerino, ad esempio, i tentativi di golpe avvenuti dal '62 in poi -il tintinnio di sciabole del generale Di Lorenzo- le bombe -da Piazza Fontana in poi- e le complicità e collusioni tra organi dello Stato, i servizi segreti, le massonerie, le organizzazioni neofasciste e la mafia.
Barbara Balzerani, insieme a molti altri di quella generazione, imbracciò le armi contro questa pericolosa deriva. Sbagliarono? Io posso solo dire che, probabilmente, commisero un errore di valutazione politica. L'ipocrisia della condanna morale la lascio, appunto, ai censori e ai preti, di cui l'Italia è piena. Io sono, comunque, dalla parte di Barbara e di quei compagni che, come lei, hanno messo a rischio le proprie vite, solo per un ideale. Nell'ignavia, vile e crassa, che domina il nostro contemporaneo, quelle donne e quegli uomini si stagliano come giganti!
Oggi però, a trent’anni da quella vicenda, Barbara è una donna che ha pagato la sua pena, secondo le leggi di questo stato, ed è, dunque, una cittadina libera. Libera di vivere, libera di scrivere, libera di parlare. E, nonostante il fatto che, come ha dichiarato lei stessa in un’intervista, qualche tempo fa, venga, nella sostanza, ignorata dalla critica letteraria e messa ai margini del mercato editoriale, quando non direttamente sanzionata per la sua presunzione di esistenza in vita, ossia con facoltà di parola, noi quella facoltà di parola e di scrittura gliela riconosciamo tutta. Vogliamo, anzi pretendiamo, che continui a parlare, a raccontare e a denunciare questo mondo, in cui tutto è ridotto a pura merce. il vile tentativo di annichilimento totale, messo in atto dal potere “democratico” del liberale stato italiano, dai suoi intellettuali e dai suoi gendarmi del decoro, nei confronti suoi e di chi, come lei, ha preso parte all’esperienza della lotta armata, noi lo rifiutiamo categoricamente. E con noi, lo rifiutano i tanti giovani che la seguono e l’ascoltano, perché intuiscono che ha qualcosa da dire e da insegnare, in un mondo in cui a dominare sono solo il denaro ed il mercato. In cui, come detto, noi stessi siamo ridotti a pura merce di scambio. La Purezza, i Sogni, la Bellezza non si processano. E nulla, men che meno la galera dei padroni, può reprimerne la passione e l'impeto che li genera, li culla e li trasforma in forza rivoluzionaria.
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