martedì 11 dicembre 2012

LE COMUNI ORIGINI DEL NEOLIBERISMO GLOBALIZZATO E DELLA CRISI




L’architrave delle politiche neoliberiste poggia su un fortunato slogan elettorale: “ridurre le tasse”! Se ci fosse il tempo per verificare empiricamente chi ha usufruito di questa imponente campagna propagandistica -apparentemente popolare- scopriremmo che l’obiettivo a lungo tempo della politica di riduzione del peso fiscale ha avuto principalmente due effetti: 1) Ridurre strutturalmente la capacità di azione politica degli stati; 2) Ridurre le tasse per i redditi alti



Furono, ai primi anni ’80, Ronald Reagan e Margaret Thatcher ad enfatizzare questo aspetto: da allora tutti i governi conservatori – ma non solo – hanno inserito l’abbassamento delle tasse ai primi posti dell’agenda politica.



David Stockman, responsabile del bilancio di Reagan, coniò una terminologia che spiega molto del senso politico di questa nuova ideologia: “affama la bestia”. La “bestia” sarebbe lo stato, finalmente obbligato ad una riduzione di spese dalle minori entrate fiscali. In regime di abbassamento di tasse le opzioni sono solo due: 1. si mantengono, più o meno, gli stessi servizi, sperando in una crescita miracolosa oppure, più probabilmente, facendo debito. Questa opzione viene detta anche “politica dell’offerta”, poiché teoricamente pagando meno tasse c’è maggiore “offerta” di reddito e si è più incentivati a lavorare; 2. si tagliano anche le spese.



Le due opzioni sono state entrambe utili alla causa dei neoliberisti. La prima infatti si è rilevata molto utile per “vendere” lo slogan “meno tasse per tutti” e celare pertanto la vera natura del provvedimento. La seconda è invece la linea guida nelle politiche economiche mondiali.



Così fece Ronald Reagan per implementare il liberismo nella già molto liberista società statunitense.



Alcuni economisti criticarono i provvedimenti di Reagan: senza adeguati tagli di spesa – sostenevano - la riduzione di entrate fiscali avrebbe fatto crescere il deficit, rallentando la crescita. Però molti altri trovarono occupazioni ben retribuite come consulenti di politici conservatori o come opinionisti in riviste di destra o come membri di associazioni e fondazioni legati ai poteri economici di tycoon conservatori.



Si stava creando, e si è creata in pochi anni, una specie di lobby con l’obiettivo di ridimensionare l’azione del governo. La riduzione delle tasse era il mezzo per raggiungere lo scopo. I teorici dell’offerta servono per la parte propagandistica; i teorici della riduzione di spesa rappresentano invece il pensiero forte della nuova politica. “L’economia dell’offerta è la faccia rassicurante – scrive il premio nobel Paul Krugman – di un movimento politico che ha un programma molto più duro”.



La decisione di ordine economico ha, in realtà, una matrice esclusivamente politica. E’ il progetto per spostare gli Stati Uniti strutturalmente a destra.



Nel 1981 Reagan varò una prima tranche di tagli fiscali. Modesti risparmi per la classe media, ma enormi per i redditi alti. L’aliquota –che nei paesi avanzati è progressiva– è stata abbassata per la minuscola quota dell’1 per cento dei super-ricchi americani dal 37 al 27.7 per cento.



Gli economisti neoliberisti e di destra, che sostengono queste politiche, ci dicono che la conseguenza è un aumento della crescita. Basta controllare i dati per verificare non solo che non è vero, ma che queste politiche economiche, non disgiunte da quelle monetariste, hanno condotto allo sfacelo che stiamo vivendo oggi, e di cui a pagare il prezzo salatissimo sono solo la classe operaia, la classe lavoratrice, i pensionati, i giovani, insomma gli strati sociali meno agiati.



La globalizzazione e i mutamenti politici e sociali ad essa legata, verificatisi negli ultimi trent’anni, sono appunto l’insieme di fenomeni che derivano o si legano al neoliberismo guidato da Washington: preminenza della sfera economica su quella politica; peso della finanza internazionale nello stato di salute delle economie nazionali; cultura di massa globale consumista e individualista; precarizzazione dei rapporti sociali e di lavoro; degrado ambientale; flussi migratori di massa; distruzione della biodiversità; espansione delle multinazionali; esplosione della disuguaglianza nord-sud; sviluppo di reti mafiose; proliferazione di paradisi fiscali; moltiplicazione delle guerre e del terrorismo; controllo dei canali informativi tramite pubblicità, tv, internet, telefonia.



E la vera alternativa a tutto ciò, sia ben chiaro, non è l’applicazione indolore, a mio modesto avviso, di politiche di stampo keynesiano, quindi riformiste, e quindi atte a mantenere in vita l’attuale sistema capitalista, ma proprio il totale sovvertimento, in senso comunista, di questo sistema che genera ingiustizia, disuguaglianza, sperequazione, competizione esasperata e, dunque, sopraffazione; e, in ultima analisi, guerra come risoluzione di conflitti di interessi e come chance per creare profitto in tempo di crisi recessiva.



Del resto, come dice Don Delillo in Cosmopolis –e sono anche le parole del protagonista dell’omonimo film diretto da Cronenberg- “La logica estensione del buisiness è l’omicidio”!





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