venerdì 12 aprile 2013
E ORA? QUALE FUTURO PER LA LOTTA DI CLASSE?
Da tempo, ormai, una domanda mi tormenta, sopra ogni altra. E ora? Ora che ne sarà di noi comunisti? Che ne sarà di una forza e di un pensiero che hanno, per più di un secolo, fatto tremare i padroni e i loro sporchi interessi, portando per la prima volta, sulla ribalta della Storia, gli ultimi, i poveri, l’infima plebe, insomma il quarto stato? Che ne sarà di quello spettro che si aggirava per l’Europa spezzando pesantissime catene, poste ai piedi e ai polsi di contadini, operai , proletari e sottoproletari, trattati come schiavi -o peggio come bestie- e capace di restituire loro dignità di uomini e l’orgoglio della soggettività politica? Che ne sarà di quel movimento che, nel corso del ‘900, ha conquistato, alla classe lavoratrice, diritti che fino ad allora sembravano impensabili, perché contavano solo l’egoistica volontà padronale e il saggio di profitto? Che ne sarà di quella cultura politica capace di liberare interi starti sociali dalla piaga dell’analfabetismo in cui chiesa, aristocrazia e borghesia avevano interesse a mantenerli, e che oggi sembra ritornare, grazie all’imperante e decerebrante culto televisivo, gestito da sacerdoti al servizio del dio mercato? Che ne sarà di quella spinta Rivoluzionaria, che infiammava i cuori e le menti dei giovani, facendo loro sognare una società diversa, nuova, più giusta, equa e felice?
In meno di trent’anni, la feroce corsa al consumismo, omologante e individualistico, sostenuto dal grande Capitale e da borghesie sempre più avide e corrotte, sta spazzando via, a poco a poco, in questa parte di occidente ma non solo –resta la bellissima esperienza sud americana e qualche altro sparuto e controverso laboratorio in giro per il mondo- anche l’ultimo brandello dell’ ideale Comunista, che si proponeva, in ultima istanza -è bene ricordarlo a chi oggi o ha memoria corta e opportunisticamente preferisce ignorarlo, o è troppo giovane ed è vissuto coi miti sbagliati, costruiti dalla propaganda borghese- di rovesciare uno stato di cose che pareva immutabile, coessenziale alla natura stessa dei rapporti sociali e umani: la classe dei padroni, i ricchi, le elite comandano e dettano legge, la classe operaia, quella lavoratrice, i poveri subiscono e obbediscono. Mondo è e mondo sarà, solevano dire i baroni del sud, proprietari terrieri!
Si badi bene, non si vuole negare qui che, nell’applicazione concreta, pragmatica, politica di quell’ideale, siano stati commessi errori e orrori, a volte anche disumani. Le rivoluzioni non sono un pranzo di gala e comportano sempre, quando sono vere e non civili, spargimenti di sangue e morti. E questo non lo trovo affatto eticamente sbagliato. Anzi! E’ anche vero però che, a volte, l’instaurazione dei governi che ne è scaturita, si è trasformata in morse burocratico/dirigiste, con vere e proprie derive di tipo bonapartista e, oserei dire, tirannico, anche se qualche compagno non condividerà. Personalmente, non ho difficoltà ad ammettere, per esempio, che lo stalinismo fu una bruttissima parentesi nel percorso di costruzione del socialismo in Urss -poi degenerato, alla fine, in burocratismo e dirigismo- e che, pur facendo delle differenze, lo stesso Mao non fu esente da comportamenti poco umani. Però, se qui ci mettiamo a fare le pulci, allora mi chiedo: a chi addebitiamo i morti delle due guerre mondiali, se non alle democrazie liberiste e alle borghesie capitaliste che, per difendere i loro interessi non esitarono a scatenare la prima guerra mondiale e poi, con la scusa dal pericolo rosso, finanziarono fascismo e nazismo, provocando quello che sappiamo? E i morti per le guerre neocolonialiste in Africa, ricca di miniere di diamanti e materie prime da sfruttare, o in medio oriente per il petrolio, a chi li vogliamo addebitare? Come pure, il finanziamento delle dittature fasciste e sanguinarie in Sud America, in cui fu coinvolto anche il vaticano (scandalo IOR)? E alcune delle più gravi sciagure che hanno colpito il nostro ecosistema, a chi le ascriviamo, se non ad uno sviluppo cieco e criminale che ha progressivamente deturpato il nostro habitat naturale, ma utile all’arricchimento esclusivo di tycoon e multinazionali? E la colpa della crisi attuale, con la sua macelleria sociale, i suoi morti, i suoi suicidi, a chi la diamo? Agli operai, ai lavoratori? O non a quelle politiche di austerità, volute dalla Troika, per rassicurare i mercati e permettere a chi ne controlla di fatto l’andamento, di continuare ad arricchirsi? Mi pare che dietro a tutti questi casi, poi, ci sia quasi sempre il baluardo della democrazia mondiale: gli USA! Tutto questo, però, mi sembra meschino e controproducente. Resta il fatto che il Comunismo, pensiero filosofico, prima, e poi politicamente esperito nella prassi, resta l'idea migliore, secondo me, concepita dall'uomo in merito alle cose della politica. Preferisco, insomma, per dirla tutta, la dittatura del proletariato, che garantisce il benessere di molti, alla finta libertà democratica concessa da una dittatura finanziario-mediatica che sta massacrando, nel nome degli interessi di mercato e delle elite, le classi lavoratrici e i popoli di mezzo mondo.
Insomma, per farla breve, il Comunismo è stato e rimane un ideale che voleva, nella sua essenza filosofica basata sulla lotta di classe, dare, per la prima volta a tutti gli uomini, la stessa dignità, gli stessi diritti, le stesse possibilità di partenza, senza differenze di classe, di casta, di razza, di genere. Eh, già, perché ricordiamo anche questo: l’Internazionalismo era la sua bandiera, non certo il piccolo borghese, mediocre, limitato orizzonte nazionalistico! Un internazionalismo basato sullo scambio di culture, sulla reciproca collaborazione tra i popoli, sulla solidarietà senza assurde differenze di colore e di razza appunto. Non certo la globalizzazione selvaggia, in cerca di nuovi mercati da sfruttare, e capace di mettere gli uni contro gli altri i lavoratori di diversi paesi –ma anche all’interno di una stessa nazione- a causa del disuguale costo della manodopera, stabilito sulla differente crescita del PIL, sull’andamento dello spread o, peggio ancora, sul ricatto fondato, a sua volta, sul bisogno della gente di lavorare.
Or dunque e ciò detto, nonostante le immense difficoltà che il movimento Comunista si trova a vivere in questo momento, non solo in Italia, non si può abdicare ad una storia gloriosa come la nostra. Abbiamo il dovere di ripartire e ricostruire, sulle macerie, i nostri valori, la nostra politica in senso alto, le nostre dure lotte contro un modello di società iniquo ed elitario, all’interno del quale la dittatura della finanza sta massacrando la classe lavoratrice, i pensionati, i giovani, oramai derubati dell’idea stessa di futuro . Questo va fatto, certo, sulla scorta di quegli errori e di quegli insegnamenti che la realtà e il divenire stesso della storia hanno posto davanti ai nostri occhi e alle nostre intelligenze. Ma va fatto e perseguito con quella forza morale, anche nelle avversità, che è sempre stata la nostra qualità più alta. E va fatto alzando il livello del conflitto sociale e tornando a scontrarsi, nelle piazze, nelle fabbriche, sui luoghi di lavoro, con i nostri tradizionali nemici: i padroni. Anche in maniera dura, se necessario.
Basta, perciò, con le mere esigenze elettoralistiche e democratiste; basta con i cartelli elettorali, messi su confidando in un tradizionale elettorato che, orami, ci ha voltato le spalle. E basta con le derive legalitarie! Non si possono mettere insieme culture politiche lontane anni luce, svendendo, tra l'altro, il nostro orgoglio. Io sono e voglio rimanere Comunista! Il che, mi sia consentito ribadirlo ancora una volta, significa abbattere il sistema capitalistico/finanziario, combattere lo stato borghese, imporre -si imporre- la visione di un mondo che tenga conto del benessere di tutti a scapito del privilegio oligarchico. Ma per fare tutto ciò, c’è bisogno di tempo, di nuovi entusiasmi, e soprattutto di voglia di lottare. C’è bisogno, senz’altro, di un linguaggio politico nuovo, di nuove forme di comunicazione e di approccio alla realtà contingente. Ma sia ben chiaro, questo non vuol dire smarrire la nostra identità. Il che, è bene intenderci, significa non abbracciare quella socialdemocrazia –oggi tanto di moda a sinistra, vedi PD e SEL- che rappresenta lo svilimento piccolo borghese dell’ideale comunista, della Lotta di Classe e dell’operaismo. Anzi, noi dobbiamo recuperare, pur nel rinnovamento, la nostra stessa essenza rivoluzionaria. E per far ciò c’è bisogno, innanzitutto, di ripartire dalla riunificazione di tutte le forze comuniste, facendola finita con quella frantumazione assurda e irresponsabile, dovuta prima a questioni dogmatiche, quasi teologiche, poi a questioni di prassi politica e, in ultimo, a becere questioni personalistiche. Certo, sarà un percorso lungo e tortuoso, che dovrà tener conto, come sempre quando si tratta di noi, di spinte centrifughe, ma non credo si possa fare altro. Al di là di questo percorso, infatti, secondo me, c'è solo la definitiva pietra tombale.
In conclusione, dunque, propongo di rileggere questa riflessione di Mao, che mi sembra quanto mai idonea al caso:
"Il dogmatismo e il revisionismo si contrappongono entrambi al marxismo. Il marxismo deve necessariamente andare avanti, svilupparsi in ragione dello sviluppo della pratica, non può segnare il tempo. Se si facesse stagnante e stereotipato, non avrebbe più vita. Tuttavia, non si possono infrangere i principi fondamentali del marxismo senza cadere nell'errore. Considerare il marxismo da un punto di vista metafisico, come qualcosa di rigido, è puro e semplice dogmatismo. Negare i principi fondamentali e la verità universale del marxismo è revisionismo cioè è una forma di ideologia borghese. I revisionisti cancellano la differenza tra il socialismo ed il capitalismo, tra la dittatura del proletariato e quella della borghesia. Ciò che essi auspicano è di fatto non l alinea socialista, bensì la linea capitalista. Nelle presenti circostanze il revisionismo è ancora più nocivo del dogmatismo. Sul fronte ideologico ci incombe un compito importante: quello di criticare il revisionismo".
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