martedì 29 ottobre 2013

IL PERICOLO NEGAZIONISTA


Nei giorni scorsi, quelli che hanno seguito la morte del boia delle Fosse Ardeatine, Erich Priebke, e la questione della sua sepoltura –cui è stato opposto, giustamente ritengo, un veto simbolico- con mio grande rammarico e angoscia, mi è toccato leggere ed ascoltare le più assurde teorie, volte a mettere in discussione la veridicità storica delle camere gas e, più in generale, dell’Olocausto. Non si tratta, lo dico subito, di veri e propri postulati di matrice negazionista –i corifei di questo movimento sono “storici” come David Irving, Robert Faurisson, Ernst Zundel, tutti associati all' Institute for Historical Review, fondato nel 1978 negli Stati Uniti- ma di una sorta di tendenza culturale, riduttiva e pericolosissima, che, alla luce di alcune considerazioni, prendenti le mosse dalla sbriciolata attualità politica, sociale ed economica che ci troviamo a vivere, tende a mettere in discussione qualunque punto di riferimento e certezza, come se fossero diretta emanazione di un Potere occulto, quasi metafisico direi, capace non solo di predeterminare e di indirizzare, teleologicamente e per interessi ben precisi, il futuro e, con esso, l’intimo sentimento delle nostre coscienze, ma addirittura di aver, preventivamente, alterato la realtà storica, scrivendo pagine atroci di orrori, al solo scopo di un’autoassoluzione in prospettiva, qualora quello stesso Potere avesse in seguito, come è poi effettivamente accaduto, compiuto altrettante nefandezze. Ora, soprattutto da comunista, non sarò certo io a negare l’esistenza dei cosiddetti poteri forti o occulti, come non sarò certo io a negare la manipolazione che, del passato, il Potere ha sempre compiuto. Del resto, scriveva Orwell nel vaticinante 1984: «Chi controlla il passato controlla il futuro; chi controlla il presente controlla il passato». Qui, però, la questione va ben oltre, mi sembra, ed il rischio, nient’ affatto peregrino, è quello di accettare e sostenere –nel nome di un pur giusto sentimento antagonista nei confronti del pensiero e del sapere dominante- derive culturali di carattere nazista. Quel nazismo –o fascismo- che poi fu, ed è ancora, emanazione diretta proprio di quei poteri occulti, che ad esso hanno fatto e fanno ricorso nei momenti di crisi, cui non sanno dare una risposta se non di tipo autoritario. Insomma, per chiarirci, il mostruoso paradosso potrebbe essere quello di finire col fare letteralmente il gioco di quello stesso Potere che si pretende di avversare, abbracciando la sua faccia più sinistra e feroce. Viviamo in un momento storico di tale caos entropico, informativo e culturale, che un simile pericolo è implicito e per nulla illogico. Ecco perché ci sono alcune questioni che non possono e non devono essere messe in discussione, in primo luogo in quanto appartenenti alla dimensione etica dell’umanità. E negare la tragedia della Shoah, quale aberrante prodotto del nazifascismo, significherebbe aprire una ferita, difficilmente rimarginabile, proprio nella carne viva del nostro sentimento etico. 
Dunque, a chi nega o afferma di dubitare dell’esistenza delle camere a gas -in cui, ricordiamolo, non furono uccisi soltanto ebrei, ma rom, sinti, slavi, negri, omosessuali, persone con handicap, comunisti, cattolici, oppositori in genere: insomma, chiunque non corrispondesse, umanamente e politicamente, al farneticante ideale di società, vagheggiato dal nazionalsocialismo- consiglio di dare una scorsa al Mein Kampf.
In quel libro, un indigesto pot-pourri –com’è noto a chi lo abbia letto- di pensiero filosofico corrotto e decontestualizzato (Nietzsche in primis), razzismo, slogan, pervertimento etico, ribaltamento delle teorie darwiniste -noto come darwinismo sociale o spencerismo- degenerazione radicale della morale luterana e dell’intimo antisemitismo che la plasma –interessante, a tal proposito, la visione del film di Michael Haneke “Il Nastro bianco”- concezioni economiche elaborate su base rigidamente nazionalistica e razziale, falsificazione storica, esoterismo ecc, Hitler gettava le basi di quello che sarebbe stato, poi, il pensiero “politico/filosofico” che avrebbe permeato l’intera vita del III Reich. Un vangelo aberrante, di cui vorrei ricordare solo alcuni illuminanti passaggi: «Dobbiamo essere crudeli, dobbiamo esserlo con la coscienza pulita, dobbiamo distruggere in maniera tecnico-scientifica[…] Gli ebrei non furono mai nomadi, ma sempre e soltanto parassiti[…] I negri sono delle mezze scimmie[…] In creature fornite di un forte istinto di razza, la parte rimasta pura tenderà sempre all’accoppiamento fra eguali, impedendo un’ulteriore mescolanza. E con ciò, gli elementi imbastarditi passano in secondo piano, a meno che essi non si siano così tanto moltiplicati da impedire la riaffermazione della razza pura[…] La Francia, in misura sempre maggiore, integra il suo esercito con gli elementi di colore del suo gigantesco impero e, dal punto di vista della razza, si va così rapidamente “negrizzando”, che in verità si può parlare della nascita di uno stato africano sul suolo europeo. Se questa mescolanza continuasse per altri trecento anni, sparirebbero gli ultimi resti di sangue franco e si formerebbe un compatto stato africano-europeo, che va dal Reno al Congo, popolato da una razza inferiore, figlia di un costante imbastardimento[…] L’ariano rinunciò alla purezza del sangue: e così perse il proprio posto nel paradiso che si era creato […] L’individuo di razza mista diventa incerto e prende decisioni non completamente valide. Già la stessa Natura compie delle selezioni... le razze bastarde sono destinate alla sconfitta». Soltanto una persona in malafede, un indottrinato, un esaltato nazista –qual era, ad esempio, il boia delle Fosse Ardeatine, Erich Priebke, che fino all’ultimo ha avuto tutto l’interesse a negare i crimini commessi da lui stesso e dai suoi camerati- non ravviserebbe, dunque, in tali proposizioni, il seme ideologico di quanto poi verrà attuato nei campi di sterminio.
Ecco, allora, perché mi ferisce e mi offende, come Uomo prima ancora che come comunista, sentire e leggere intellettuali, Piergiorgio Odifreddi su tutti, o addirittura amici e persone, che si sono dichiarati più volte di “sinistra”, i quali, seppur giustamente confusi, nel caos caratterizzante il nostro presente -dall’informazione, alla politica, all’etica- possano pensare di negare, o anche solo di dubitare delle agghiaccianti atrocità naziste, adducendo la strumentale argomentazione secondo cui la Storia la scrivono i vincitori. Affermazione, questa, senz’altro veritiera, ma alla quale andrebbe applicato, con l’ausilio dell’intelligenza, un giusto criterio di discernimento. O peggio, che dichiarano, con un certo sprezzo del ridicolo aggiungerei, che, non essendo stati testimoni degli eventi, non possono sapere cosa sia accaduto in Europa, a partire dagli anni ’30 e fino al 1945. In pratica, adducendo la stessa vile giustificazione addotta dal popolo tedesco all’epoca: non sapevamo nulla!
Di testimonianze, ne abbiamo ascoltate tante , in questi 70 anni successivi alla II guerra mondiale. E, rimarcherei, non solo di parte ebraica. Questo lo dico perché un’altra delle argomentazioni portate, e che da sempre leggo e ascolto, a sostegno di teorie più o meno negazioniste, sarebbe quella della speculazione, da parte dello stato di Israele, sulla tragedia dell’Olocausto. Una speculazione indiscutibile che, come il professor Norman Finkelstein, ebreo, autore del volume “L’industria dell’Olocausto”, afferma, è divenuta un vero e proprio affare, scadendo addirittura, in taluni casi, nel ridicolo o nel cattivo gusto; nonché, una strumentalizzazione della tragedia della Shoah che, meschinamente, viene brandita –principalmente in chiave sionista e antipalestinese- soprattutto dalla destra israeliana oggi al potere, e fatta pesare, come un indelebile senso di colpa, sulla coscienza, certamente sporca, dell’ Occidente. Quell’ Occidente che, a partire dal Regno Unito e dagli USA, all’epoca si voltò dall’altra parte e fece finta di non accorgersi di quanto stesse accadendo nell’Europa, finita sotto al giogo nazista. Quello stesso Occidente, inoltre, su cui grava il peso della tragedia israelo-palestinese, la cui origine è da rintracciarsi ancor prima della fine della II guerra Mondiale e dell’occupazione della terra palestinese da parte ebraica, e al cui attuale prosieguo sovrintendono, com’è noto, biechi interessi finanziari e petroliferi. 
Quella speculazione e quella strumentalizzazione, però, non possono e non devono giustificare lo scetticismo o la deviante tesi negazionista sulle camere a gas. Questo perché negare valore di autenticità ai testimoni di quegli orrori, vuol dire negarlo a tutti coloro che sono stati e sono ancor oggi –a partire proprio dal popolo palestinese- martiri di crimini di guerra o, allargando questa sconsiderata prospettiva, di qualunque altra brutalità. E, ciò che pare non si voglia mettere in conto, potrebbe voler dire negarlo anche a sé stessi, ove mai, malauguratamente, si dovesse rimanere vittime di eventi simili. Razionalmente e filosoficamente, ricordiamolo, la verità è sempre confutabile: sono le persone e i contesti reali, in cui si verificano i fatti, a darci la prova di una sua eventuale affermazione o negazione.    
Purtroppo però, come dicevo precedentemente, sembra che tutto ciò abbia progressivamente perso valore, mentre si va affermando, di contro, una certa tendenza culturale, frutto di un evidente conformismo populistico e piccolo borghese, equivocamente libertario e contraddittoriamente democratico, che comincia lentamente a sdoganare –dopo aver insozzato la Resistenza ed i suoi caduti con l’irricevibile e offensiva mozione della memoria storica condivisa- anche la più pericolosa tesi negazionista. Una minaccia, a mio modesto avviso, contro cui non si può e non si deve rimanere inerti, e contro la quale è un dovere schierarsi ed essere partigiani, specie in questo delicatissimo passaggio storico. Il rischio di un collettivo smarrimento della memoria storica, e con esso di un isterilimento della nostra umanità, mi sembra troppo evidente e presente, per non suscitare un giustificato allarme, specie in chi ha fatto e fa dell’antifascismo un dovere civile, politico, morale. E allora, chiuderei queste brevi e, dato l’argomento, sicuramente insufficienti considerazioni, con un pensiero di Gramsci, che reputo adatto al contesto:
« Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i “solamente uomini”, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. [...] Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti».

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