sabato 23 novembre 2013

RAI3 DISINFORMA SULL’OMICIDIO KENNEDY, TRA GOSSIP E COMMISSIONE WARREN.




"Cosa avrà mai fatto di grande Che Guevara?" Alla dichiarazione di Oliviero Toscani, sobbalzo sulla sedia. Secondo questo signore, trasgressore tartufesco e sincero furfante –avrei voluto vedere lui sulla Sierra Maestra, almeno a fare fotografie- Ernesto Guevara de la Serna sarebbe diventato famoso semplicemente come icona mediatica, grazie allo scatto di Korda.
Un film, Parkland, sull’assassinio di Kennedy –prodotto nientedimeno che da Tom Hanks- ed un dibattito, ieri sera su Rai3, che hanno evidenziato, ammesso che ce ne sia ancora bisogno, lo stato di dismissione e di abdicazione culturale in atto, ormai da anni, nel giornalismo e nel mondo intellettuale italiani, e non solo. La redazione giornalistica del terzo canale Rai, ieri, ha superato sé stessa, mettendo in atto un vero e proprio protocollo disinformativo al fine di manipolare e narcotizzare le coscienze dei cittadini -specie dei più giovani e di quelli meno preparati- in merito alle connivenze tra politica, lobby finanziarie –armi e petrolio- mafia, FBI, CIA, servizi segreti USA addetti alla persona del presidente, ed anticastristi –anticomunisti, in parole più chiare- che agirono dietro le quinte nella preparazione e nell’esecuzione dell’attentato al presidente John Fitzgerald Kennedy, avvenuto a Dallas cinquant’anni orsono. In pratica, invece di ricercare la verità –deontologica missione che dovrebbe permeare il mestiere del giornalista- si è tenuto un dibattito-farsa che ha trattato l'omicidio Kennedy alla stregua di un becero gossip. E quando non lo ha fatto, ha dato ampio e quasi esclusivo rilievo alla tesi ufficiale, ratificata dalla commissione Warren, limitandosi solo ad accennare ai dubbi e alle incongruenze che ne mettono in discussione l’impianto.
Per intenderci, secondo gli atti di quella commissione: ad uccidere Kennedy fu il solitario folle -marxista e filo castrista, ovviamente- Lee Harvey Oswald; non esistono prove di un complotto; furono sparati solo tre proiettili –sulla base di indagini e studi, invece, ne sarebbero stati sparati cinque- ed il secondo sparo, quello che colpì il Presidente Kennedy nella parte alta della schiena, uscì dalla gola, continuando la sua corsa e causando tutte e cinque le ferite del Governatore John Connally. Sostanzialmente, in spregio alla razionalità e all’umana intelligenza, la commissione concluse che quel proiettile era entrato nella spalla di Connally, era uscito dal petto, aveva attraversato il suo polso ed era finito nella sua coscia destra, cadendo, successivamente, fuori dalla lettiga all'ospedale, dove fu trovato addirittura intatto. E’ quella che Jim Garrison, il procuratore di New Orleans che tentò di provare l’esistenza di un complotto, chiamò la pallottola magica! Basta vedere il film di Oliver Stone “JFK, un caso ancora aperto” per avere almeno una visione un po’ più ampia e critica circa quegli avvenimenti, se non si avesse voglia di leggere il libro, comunque sempre più istruttivo. Ora, parliamoci chiaro, io non dico che bisogna abbracciare per forza la tesi di Garrison e di Stone, ma certo, quella che è diventata la “verità ufficiale”, risulta, alla prova dei fatti e ancora dopo cinquant’anni, piuttosto sbilenca e facilmente confutabile.  
Ciò detto, dunque, il conduttore de L’Agorà, Gerardo Greco –che, per inciso, all’affermazione fatta da Toscani su Che Guevara non trattiene una risata- ieri sera ha superato Vespa di due spanne!
Oramai, ed è questo il problema che mi preme sottolineare qui più di ogni altra cosa, le dinamiche e gli equilibri sono così consolidati, anche e soprattutto per quel che concerne il ganglio cruciale dell'informazione, come essenziale strumento in mano al potere borghese, che il pensiero critico è stato quasi definitivamente soppiantato. E lo sarà di certo ancor di più, se si proseguirà nella scellerata politica dei tagli indiscriminati all’editoria e nel progetto di privatizzazione di una RAI il cui livello culturale è già da tempo, comunque, schiacciato dagli interessi di mercato. E’ di pochi giorni fa, tra l’altro, l’annuncio della cancellazione dai palinsesti di un programma come “C’era una volta”, di Silvestro Montanaro. Un programma di documentari e reportages –realizzato per altro a costi bassissimi- per molti versi unico nel suo genere nel panorama televisivo italiano, che ha mantenuto aperta una finestra informativa di qualità sulle pagine più oscure dei processi di globalizzazione, sullo stato dei diritti umani nel mondo, su tante crisi e conflitti volutamente ignorati e che ha sempre denunciato, con rabbia e forza, l'azione criminale del capitalismo neocolonialista. Ad una simile situazione non ci si può e non ci si deve rassegnare, specie pensando all’eredità che trasmetteremo alle generazioni future. Generazioni per le quali il rischio, già abbondantemente in atto, è quello di vivere in un mondo in cui l’unica “verità” sarà quella che verrà ammannita loro, asettica e preconfezionata, dalle classi dominanti. E chiuderei, quindi, con un pensiero di Antonio Gramsci, imprescindibile e al quale bisognerebbe tornare più spesso: «La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri».

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