giovedì 5 dicembre 2013

GRILLO, LA CANCELLAZIONE DEI SINDACATI E IL SUPERAMENTO DEL SOCIALISMO.




«Voglio uno Stato con le palle. Eliminiamo i sindacati che sono una struttura vecchia come i partiti politici. Non c’è più bisogno dei sindacati. Le aziende devono essere di chi lavora». Questa, la brillante e non nuova idea di Beppe Grillo -una delle tante, sia ben chiaro- per risanare la disastrata condizione economica, politica, istituzionale, in cui versa il nostro paese. Ora, non sarò certo io a proporre una difesa d’ufficio della triplice CGIL-CISL-UIL, colpevole, negli ultimi anni, di vari scempi. Mi chiedo, però, quale sia l’obiettivo finale di Grillo e di buona parte dei suoi adepti che, evidentemente pervasi da un abissale e sconfortante vuoto culturale, gli vanno dietro, rinunciando -loro che sono sempre pronti a giudicare, disapprovare, censurare, stigmatizzare, demolire- a quel sano esercizio critico, che dovrebbe qualificare ogni intelligenza. Mi spiego. Una simile strategia, se attuata, non condurrebbe ad altro che all’affossamento definitivo della tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, nonché allo smembramento conclusivo dell’architrave costituzionale, in nome del quale gli stessi pentastellati pure dicono di battersi, non senza palesare, però, enormi contraddizioni. Non vanno dimenticate, infatti, solo per fare un esempio, le quantomeno ambigue dichiarazioni della portavoce alla camera, Roberta Lombardi, circa il fascismo buono e l’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, dalla stessa definito, senza mezzi termini, «un’aberrazione». Lo vadano a dire, Grillo ed i suoi, agli operai con famiglia mono reddito e figli a carico, licenziati senza giusta causa o per strumentali ragioni di profitto! L’aberrazione, invece, credo stia proprio in quelle dichiarazioni, irrispettose delle condizioni offensive dell’umana dignità, in cui la crisi e le politiche recessive ultraliberiste, imposte dalle istituzioni politico-finanziarie, dai mercati e dai padroni, hanno spinto la classe operaia e lavoratrice, di questo paese ma non solo. Altro che storie. I Cinque Stelle, su tali questioni dirimenti, da che parte stanno? Difficile capirlo. Ad ascoltarli o a leggere il loro approssimativo programma, regna, nel movimento, il disorientamento culturale e politico più totale. In pratica, specie in materia di politica economica, industriale e del lavoro, il movimento sembra volere tutto e il contrario di tutto.
Ma non è per puro gusto di polemica che scrivo. Veniamo, quindi, al merito della questione. Personalmente, ritengo che il sindacato, con le sue strategie, vada senz’altro ripensato, non certo dismesso nella sua essenza ideologica, politica, sociale. Cosa intenda invece Grillo, quando afferma: «Le aziende devono essere di chi lavora», anche questo non è dato saperlo. Intende forse eliminare, sbrigativamente, la stessa idea fondante del sindacato: il conflitto Capitale-Lavoro? Ciò, non solo è inaccettabile ma, vorrei rilevarlo, una simile dichiarazione, pronunciata dal capo di un movimento essenzialmente interclassista e demagogico –la distinzione tra popolo e classe è sostanziale- e da uno che sull’immigrazione fa dichiarazioni di matrice squisitamente razzista –ius sanguinis invece dello ius soli- acquista un vago sapore corporativista e dunque, anche se solo confusamente, fascista! Se a questo si aggiunge, poi, la fervente retorica post-ideologica, per cui al termine socialista si attribuisce una connotazione negativa –ricollegandolo forse, esclusivamente chissà, al vergognoso passato craxiano- e si propone di sostituirlo, in un emendamento presentato addirittura in commissione cultura –ahimè, dopo Sgarbi ci mancavano i grillini- con la locuzione “cultura sociale”, senza considerare la valenza storica, filosofica, economica di quello stesso termine, allora il quadro che si viene delineando è sempre più squallido e cupo.
In tal senso, vorrei qui ricordare alcuni proclami di Edmondo Rossoni, nominato nel 1922 Segretario Generale della neonata Confederazione Nazionale delle Corporazioni Sindacali Fasciste, come pure le parole dello stesso Mussolini, che le affermazioni del leader a cinque stelle mi hanno evocato: «Il sindacalismo deve essere nazionale ma non può essere nazionale per metà: esso deve comprendere capitale e lavoro e sostituire, al vecchio termine proletariato, quello di lavoratore, ed all’altro, di padrone, la parola dirigente, che è più alta, più intellettuale, più grande»; «Sindacato vuol dire: unione di interessi omogenei. Sindacalismo: azione che deve disciplinare e tutelare gli interessi omogenei»; «Sia il Capitale sia il Lavoro devono essere disciplinati. L’appetito all’infinito è malefico e assurdo. Per queste ragioni il sindacalismo fascista è per la collaborazione»; ed in fine, il duce stesso: «Chi dice lavoro dice borghesia produttiva e classi lavoratrici, della città e dei campi. Non privilegi alla prima, non privilegi alle ultime, ma tutela di tutti gli interessi che si armonizzano con quelli della produzione e della nazione».
Proprio questa concezione armonizzatrice, corporativista appunto, noi la rigettiamo: in nome del conflitto tra padronato e classe operaia e lavoratrice, del conflitto Capitale-Lavoro, in una parola, della Lotta di Classe.
Certo, è vero: specie negli ultimi anni, la CGIL –parlo essenzialmente del sindacato che qui più mi interessa- conducendo la sua linea sull’asse, inaccettabile e disastroso, della concertazione, ha finito col proporre, in più occasioni, una strategia compatibilista con le scelte ultraliberiste dei recenti governi, accodandosi, tra l’altro, a quel PD che più nulla ha di un partito di sinistra. Anni durante i quali, da una parte il sindacato acquisiva potere, mentre dall’altra i lavoratori peggioravano le loro condizioni materiali di vita, fino a giungere ad un presente che vede la riduzione drastica del potere d’acquisto dei salari e, nei casi più drammatici, com’è noto, la cancellazione padronale e arbitraria di posti di lavoro, anche per motivi di appartenenza politico-sindacale. Comportamenti inaccettabili, senza alcun dubbio, che si stanno traducendo in una progressiva e implacabile pietra tombale sui diritti delle classi lavoratrici, conquistati in anni di durissime battaglie, non prive di sangue versato per le strade. Con il padronato, con questo padronato che delocalizza in nome del puro profitto, che affama gli operai e che sta attuando una macelleria sociale, senza confini e globalizzata, non si tratta. Si va, si deve andare allo scontro diretto, alzando il livello del conflitto sociale e riproponendo, con coraggio, la nostra Lotta di Classe.
La soluzione pertanto, a mio modesto avviso, può, anzi deve essere, quella di ripensare le strategie del sindacato, di rifondarne la struttura, riorganizzandola, come dice ad esempio Cremaschi «attorno alla sofferenza delle persone in carne de ossa, riconquistando e comunicando voglia di conflitto, cambiando strategia e pratica dopo più di venti anni di accettazione del liberismo e delle compatibilità». Insomma, la soluzione deve essere il rilancio di un serio sindacato di classe; non può certo essere la dismissione, invocata dal demagogo di turno, di una delle più grandi conquiste democratiche nella storia delle lotte per la difesa dei diritti dei lavoratori: in una parola, delle lotte tra oppressori e oppressi. Lotte e conquiste che, diciamolo a chiare lettere, vanno ascritte principalmente a quel movimento operaio di matrice marxista, socialista prima e comunista poi, la cui storia e memoria, oggi, Grillo vorrebbe superare, se non addirittura cancellare. Allora vorrei ricordare, infine, al buon Beppe e ai suoi militanti e attivisti, sempre troppo solerti, come dicevo prima, nell’accogliere pedissequamente le parole del loro capo carismatico, quelle scritte, sul Popolo d’Italia, da un altro sindacalista fascista, Enrico Corradini, nella speranza che all’interno del M5S –cui hanno aderito e dato voti non pochi compagni- su certi temi si apra un franco dibattito: «Il superamento del socialismo, non la dispersione, non la distruzione dell’opera socialista. Questo è buono affermare, in occasione dello sciopero dei sindacati fascisti [...] Vi è fra socialismo e fascismo un nesso storico, oso dire una continuazione storica [...] Il fascismo supera il socialismo, ma raccoglie i buoni frutti dell’opera socialista e secondo la sua propria legge, quando occorra, tale opera continua». Asserzioni su un ipotetico superamento delle idee socialiste e comuniste che, purtroppo, sento spesso affiorare anche sulla bocca di numerosi grillini, temo digiuni di conoscenza storica e privi di una visione politica prospettica, riguardo ad un simile smantellamento sul piano culturale, ancor prima che su quello politico.
Io da Comunista, e con me tanti altri compagni, a questo scempio post-ideologico, che rischia di mescolare, come già accaduto in un fosco passato, istanze e principi, offendendo la nostra memoria e appropriandosi, per giunta, della nostra cultura e azione politica, diciamo no. La nostra è, lo abbiamo dimostrato in quasi due secoli –a prescindere da quanto si affanni a sostenere oggi la squallida propaganda, al soldo del grande capitale finanziario o della ricca borghesia radical chic- una storia gloriosa di lotte per la Libertà, la Giustizia sociale, la Pace tra i popoli; pur nell’ottica rivoluzionaria di liberazione dalla tirannia e dall’oppressione esercitata dal più forte sul più debole, dal ricco sul povero. Una storia che ha visto il sacrificio di migliaia vite umane, immolatesi per quegli ideali. Una storia che, perciò, siamo decisi a difendere con tutte le nostre forze. Gli altri –nel caso specifico Grillo- invece di evocare, facendo pericolosamente leva sulla rabbia e l’insofferenza della gente, uno «Stato con le palle», dalle vaghe eco fascistizzanti, pensino a costruirsene una di storia, di cui essere, se possibile, altrettanto fieri!

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