sabato 11 gennaio 2014

L'IMPERIALISMO DELLE MULTINAZIONALI: SENZA IPOCRISIE, L’ATTUALITÀ DELL’ ANALISI CONTENUTA NELLA RISOLUZIONE STRATEGICA DELLE BRIGATE ROSSE, ELABORATA NEL 1978

Era il 1978. LA RISOLUZIONE DELLA DIREZIONE STRATEGICA
DELLE BRIGATE ROSSE conteneva un’analisi: “L’imperialismo delle multinazionali”, che ripropongo qui sotto.
Quell’analisi, se era corretta e lucida allora, lo è tanto più oggi che, a 36 anni di distanza, il fascismo finanziario sta portando a compimento il suo disegno, egemonico e criminale, di una società antidemocratica, iniqua, ineguale ed elitaria, all’interno della quale gli individui ed i popoli contano solo in quanto consumatori o merce, quando non siano addirittura ridotti in condizioni di vera e propria schiavitù, costretti in un gioco tra mercanti, avvilente e disumanizzante.
Dalla seconda metà degli anni ‘80, infatti, abbiamo assistito alla progressiva finanziarizzazione globale dell’economia capitalistica –la creazione delle banche d’affari assolve appunto a questo preciso compito- ad una sempre più schiacciante supremazia dei monopoli, all’interno degli andamenti del cosiddetto libero mercato, all’arretramento sostanziale, quando non ad un vero e proprio azzeramento –come in Italia- delle forze comuniste sul terreno del conflitto sociale, allo scellerato utilizzo della guerra, come strumento di tutela di interessi neocolonialistici, e ad un crescente, se non definitivo, assoggettamento della politica agli interessi delle lobby finanziarie e della borghesia imperialista. Vassallaggio che sta producendo, come logiche ed inesorabili conseguenze, lo smantellamento graduale del welfare, la cancellazione dei diritti dei lavoratori, la pratica della privatizzazione selvaggia, l’accrescimento delle già consistenti disuguaglianze tra ricchi e poveri e, in ultima istanza, la cessione di una cospicua fetta di sovranità nazionale, da parte degli stati, a favore di organismi di controllo -economico, monetario e politico- sovranazionali: FMI, Banca Mondiale, BCE, UE.
Inoltre, conseguentemente all’espansione del processo di globalizzazione, abbiamo visto estendersi il dominio delle multinazionali, dal più ampio rapporto di classe al più specifico, inquietante, subdolo e devastante rapporto inter e intrasoggettivo, principalmente attraverso la creazione, l’imposizione e la diffusione capillare di un pensiero unico e omologante, di matrice neoliberista e mercatista. Ciò si è reso possibile, con ogni evidenza, grazie ad un uso sapiente e pilotato della stampa e alla creazione di nuove corporation, operanti in settori strategici, come quelli appunto dell’informazione –specie televisiva- della cultura, svilita a ruolo di semplice intrattenimento, e dell’informatica, settore dove, negli ultimi anni, hanno trionfato multinazionali del calibro di Microsoft, IBM, Apple, Google, Yahoo, Facebook, capaci di porre in essere –malgrado i pur non sottovalutabili aspetti positivi dei nuovi strumenti di comunicazione- una vera e propria mutazione antropologica delle dinamiche relazionali, alterandone e deviandone il nucleo emozionale in un senso sempre più autoreferenziale, egoistico e si potrebbe dire spettacolarizzato, fino a sgretolare quella solidarietà, quel patto di mutua assistenza tra i membri di una società che, specie nei momenti di crisi, dovrebbe condurre un popolo ad unirsi contro la comune tirannia, fino all’estremo atto rivoluzionario: personalmente, infatti, credo poco alle rivoluzioni nate sul web. In buona sostanza, dunque, viviamo un’epoca in cui, per dirla con Debord: «Lo spettacolo è l’ideologia per eccellenza, perché espone e manifesta, nella sua pienezza, l’essenza di ogni sistema ideologico: l’impoverimento, l’asservimento e la negazione della vita reale».
Ancora in quel lontano 1978, solo il fragile scudo della rivoluzione separava una generazione dall’integrazione nello spettacolo. Quel feticcio, oggi, sembra invece irrevocabilmente caduto, cancellato dal potere della stessa società spettacolare. La rivoluzione è morta mentre lo spettacolo è diventato l’episteme del nostro tempo ed ha vinto perché è in grado di assorbire qualsiasi forma di opposizione, facendola propria: non possono esserci, in pratica, spettacoli contro.
Molti compagni –beninteso, non solo le B.R.- tra la fine degli anni ’60 e la prima metà degli anni ’80, adoperando diverse metodologie di lotta -giuste o sbagliate che fossero, non m’interessa fare qui una simile valutazione perché non m’ interessano, l’ho già detto altre volte, i giudizi ipocriti, moralisti, tipicamente conformisti, da benpensanti pacifisti, borghesi o piccolo borghesi, di destra e di sinistra- e intuendo quale angosciante scenario si preparasse, hanno provato a spezzarle, quelle catene che pretendono di vincolare la vita umana ai soli valori del denaro, del business e, insomma, dello spettacolo. Anche a prezzo della loro stessa vita. Di questo, dovremmo prendere semplicemente atto, oggi che, con ineguagliabile spietatezza, i padroni stanno conducendo un’offensiva di classe senza precedenti, a meno di non riferirsi a parametri ottocenteschi. E dovremmo prenderne atto perché solo a noi è affidato il compito di ridestare, nelle nostre coscienze, la convinzione che una società e un mondo diversi siano possibili, unicamente riappropriandoci del valore della nostra lotta, della nostra Lotta di Classe e, attraverso essa, tentare di scardinare, con ogni mezzo e a qualunque costo, un sistema che punta al nostro annichilimento morale e alla nostra disintegrazione, come soggetti e come comunità.
Diceva Che Guevara: «Il guerrigliero è un riformatore sociale, che prende le armi rispondendo alla protesta carica d'ira del popolo contro i suoi oppressori, e lotta per mutare il regime sociale che mantiene nell'umiliazione e nella miseria tutti i suoi fratelli disarmati». Un pensiero che, di questi tempi, potrebbe suonare come un appello per qualcuno ed un monito per altri!
VINCENZO MORVILLO

 

L'IMPERIALISMO DELLE MULTINAZIONALI

«Per IMPERIALISMO DELLE MULTINAZIONALI intendiamo la fase dell'imperialismo in cui domina il capitale monopolistico multinazionale.
Il monopolio multiproduttivo-multinazionale, cioè grandi trust, con aziende in vari paesi e investimenti in diversi settori, è ora l'elemento strutturale dominante; e la base fondamentale dei movimenti del capitale non è più, quindi, l'area nazionale, bensì l'area capitalistica nel suo complesso. Se l'elemento costitutivo fondamentale dell'imperialismo è stato, sin dal suo sorgere, il capitale monopolistico, è però solo con la seconda guerra mondiale che si ha il definitivo affermarsi, in tutta l'area capitalistica, del capitale monopolistico multinazionale. I grandi gruppi monopolistici possono ora superare definitivamente i loro confini nazionali per spaziare liberamente su tutta l'area e la struttura multinazionale diviene fattore necessario ed indispensabile per ogni ulteriore sviluppo. E' infatti grazie ad essa che si possono sfruttare pienamente i diversi saggi di profitto presenti nell'area e realizzare così quegli enormi sovraprofitti che sono il dato caratteristico dell'accumulazione nella fase imperialista.
La "multinazionalità" quindi non è semplicemente internazionalizzazione del mercato capitalistico, ma internazionalizzazione del capitale nella sua totalità: strutture produttive, mercato, rapporti di proprietà ecc. Questo processo di internazionalizzazione del capitale determina, all'interno del fronte borghese, la dominanza della BORGHESIA IMPERIALISTA, espressione di classe del capitale monopolistico multinazionale e parallelamente al suo affermarsi vanno consolidandosi anche i suoi strumenti istituzionali di mediazione e di dominio (Trilateral, Stato Imperialista delle Multinazionali, FMI, CEE, ...). Dominanza del capitale multinazionale e della borghesi a imperialista, non significa però che ogni capitale è in questa fase un capitale multinazionale, ma che ogni altra forma capitalistica, sia essa nazionale o non monopolistica, va ora analizzata nei suoi rapporti di dipendenza organica dal capitale multinazionale: sono i movimenti del capitale multinazionale che determinano in ultima istanza i movimenti di tutti gli altri capitali. Non si ha quindi il superamento delle contraddizioni all'interno del fronte borghese, ma il loro riproporsi sotto forme diverse: ora la contraddizione intercapitalistica principale non è più tra capitali nazionali (quindi tra aree nazionali e borghesie nazionali), ma tra grandi gruppi multinazionali (quindi percorrono verticalmente la borghesia imperialista). Con questo non si vuol negare l'esistenza anche di contraddizioni tra le varie "nazioni" capitalistiche o tra capitale monopolistico e capitale non monopolistico, ma pensiamo che queste contraddizioni siano essenzialmente il riflesso di contraddizioni ben più profonde tra gruppi multinazionali. Le varie aree nazionali infatti sopravvivono ora come retroterra delle multinazionali: per ogni multinazionale, l'area nazionale in cui è nata e si è sviluppata diventa il suo "punto di forza", la zona in cui essa gode di un monopolio quasi incontrastato. Quando parliamo di multinazionali infatti sottintendiamo sempre "multinazionali con polo nazionale", e per questo usiamo le espressioni, a prima vista contraddittorie, "multinazionali americane, tedesche, ecc.". Il capitale non monopolistico, dipendendo organicamente da quello monopolistico, vive certamente con esso in unità contraddittoria, ma non può avere ovviamente la possibilità e la forza materiale di dar luogo ad una espressione politica di queste contraddizioni sotto forma di rottura del fronte imperialista. L'imperialismo delle multinazionali si presenta perciò come un sistema di dominio globale in cui i vari "capitalismi nazionali" sono semplicemente sue articolazioni organiche, e le diverse "aree nazionali" sussistono come espressione geografica della divisione internazionale del lavoro da esso determinata. Possiamo quindi trarre una prima considerazione. In ogni area nazionale il proletariato non si trova a fare i conti con la sua "borghesia nazionale" ma con l'articolazione locale della borghesia imperialista. Questo conferisce, anche, nelle metropoli, alla lotta di classe del proletariato il carattere di lotta antimperialista e quindi, più in generale, di GUERRA DI CLASSE RIVOLUZIONARIA. Nelle metropoli è immediatamente anche GUERRA DI LIBERAZIONE ANTIMPERIALISTICA, GUERRA DI LUNGA DURATA.
La catena imperialista resta comunque caratterizzata, come abbiamo visto, dal suo sviluppo ineguale, che si manifesta in ogni suo anello attraverso la specificità della sua formazione economico sociale (rapporto tra capitale multinazionale dominante e capitale multinazionale del "polo", fra capitale monopolistico e non monopolistico, tra borghesia imperialista "interna" e proletariato) per cui la lotta di classe, pur in questa sua omogeneità strategica di contenuto e di prospettiva, si presenta ancora con forme benefiche e tempi propri a seconda delle diverse aree nazionali».

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