A Cremona, sindaco e cittadini s'indignano per qualche vetrina rotta di banca -quelle stesse banche che li affamano e li ricattano e contro cui, di solito, protestano- e perché gli antagonisti hanno assaltato il locale comando di Polizia. Nessuna indignazione, invece, per la vile aggressione contro il Centro Sociale Dordoni, portata a termine, alcuni giorni or sono, dalla teppaglia fascista di Casa Pound. Un'aggressione che ha avuto, come conseguenza estrema, il ferimento, con emorragia cerebrale e susseguente coma, del compagno Emilio Visigalli, preso a calci, pugni e sprangate dai casapoundini. Evidentemente, per i cremonesi, sono più importanti le banche che la vita di un essere umano. Se poi è comunista, allora, quella vita sembra non avere alcun valore.
Il sindaco Gianluca Garimberti, pertanto, non solo ha minacciato una risposta durissima, contro gli appartenenti ai centri sociali e gli antagonisti -che basta chiamare Black Block per giustificare qualunque repressione- scesi in piazza per protestare contro l’infame attacco squadristico; ma avrebbe voluto anche vietare il concerto della napoletana 99 Posse, a causa di un post, uscito su Fb, con cui gli amici Luca Persico, Marco Messina, Sacha Ricci e Massimo Jovine hanno risposto, e giustamente, all'inquietante episodio di matrice fascista. Il post così recitava: "Più bastoni meno tastiere". Un invito aperto alla violenza, ha dichiarato il sindaco. E non già, come effettivamente è, un appello all’antifascismo militante che, di una società democratica, la cui costituzione è nata proprio dalla Resistenza al nazifascismo, dovrebbe essere la pietra fondante. Una società che, ipocritamente, festeggia la giornata della memoria e, dunque, la fine dell’incubo, in cui Hitler e Mussolini avevano sprofondato il mondo, ma che lascia rientrare, dalla porta principale, i degni eredi di quella storia e di quella dottrina, folle e scellerata; mentre perseguita, reprime, arresta e criminalizza chi ad essa si oppone.
Da qualche anno in qua, infatti, la violenza sembra essere solo quella dei centri sociali, dei movimenti, dei gruppi anarchici o dei comunisti extraparlamentari. è di oggi, tra l’altro, la notizia della vergognosa sentenza con cui si è chiuso il processo, a carico di 47 appartenenti al movimento No Tav, che ha visto comminare la bellezza di 150 anni di carcere, per gli scontri in Val di Susa. Un’enormità, che la dice lunga sull’atteggiamento repressivo che lo stato sta adottando nei confronti di chi dissente dalle politiche neoliberiste, imposte dalla Troika. In pratica, stiamo assistendo ad un ritorno al passato degli anni ‘60/ '70 quando, tra lo stato borghese, i suoi apparati di difesa –polizia, carabinieri, servizi- e i fascisti, si era realizzata una chiara saldatura ed un rapporto di contiguità, con i primi che si servivano dei secondi per la realizzazione di attentati , per mettere bombe e per gettare nel caos la società italiana, al fine di preparare un’ eventuale svolta autoritaria o l’avvento di una nuova dittatura parafascista. Chiaramente, addossando la responsabilità di tutto ciò alle forze marxiste e rivoluzionarie, impegnate, ieri come oggi, nella lotta per i diritti e la libertà della classe operaia e lavoratrice e per difendersi dall’offensiva reazionaria, il cui obiettivo era –ed è- annientarne la soggettività politica.
Or dunque, se lo mettano bene in testa, questure, istituzioni e gruppi di estrema destra. IL fascismo, in questa nazione, non lo vogliamo e non ha cittadinanza politica. Perciò, gli antifascisti risponderanno sempre, all’ infame ritorno dello squadrismo. Colpo su colpo.
martedì 27 gennaio 2015
mercoledì 14 gennaio 2015
RE GIORGIO, BERLINGUER, GRILLO E LA SUPREMA IPOCRISIA DEI DEMOCRATICI.
Re Giorgio si è finalmente dimesso. Uno dei peggiori presidenti della storia repubblicana italiana - e, considerati i predecessori, non era facile meritarsi un simile appellativo- il fautore delle larghe intese in stile tedesco; colui che ha avallato, non certo da giudice super partes, tutte le controriforme sul lavoro, imposte dalla Trojka, e la macelleria sociale che da esse è scaturita; colui che ha fatto scempio della costituzione, pur di fare gli interessi di banche e di mercati; l'umile servo del capitale internazionale; il cavallo di troia degli americani, da sempre in sospetto di essere uomo CIA, con la sua corrente migliorista, all'interno del PCI, da oggi, lascia il Quirinale. Non dubitiamo che, al suo posto, sarà eletto un altro burattino, al quale FMI, UE e BCE, con la supervisione delle multinazionali, tireranno i fili. Renzi e tutti i democratici, insieme alla destra neoliberista, lo ringraziano E allora, a Renzi e a quelli del PD, che, ieri come oggi, hanno tessuto e tessono le lodi di questo vecchio furfante della politica italica, maestro dell'inciucio e del compromesso, leader del consociativismo più volgare, e che, appena pochi mesi fa, si indignavano perché Grillo -ma guarda se, a causa di Napolitano, devo anche prendere le parti dei 5 Stelle- faceva il nome di Berlinguer, che il primo ministro ascriveva alla sua, alla loro storia, vorrei rinfrescare la memoria. Io, che picciista non sono mai stato. Anzi, a quel PCI e a Berlinguer, come è noto, non ho mai risparmiato, per storia e cultura politica, critiche durissime. Dunque, ciò precisato, veniamo al fatto.
Durante una drammatica Direzione Nazionale del PCI, che si tenne, nel 1981, all'indomani di un'enorme crisi che si era aperta all'interno del partito, proprio tra l'ala migliorista di Napolitano e la segreteria di Berlinguer, quest'ultimo così si esprimeva: "Io ho capito molto bene che c'è qui una parte di voi che vuole trasformare il Pci in un partito socialdemocratico. Sappiate che io a questa cosa non ci sto e che io non sarò mai il segretario di un tale partito. Se voi volete fare una cosa del genere lo farete senza di me e contro di me”. Poco più tardi, Berlinguer morì. Ognuno sa come le cose siano andate, sino a quale punto si sia spinta l'abiura e quale approdo abbia conosciuto il Pci, nella sua impressionante metamorfosi, dopo la svolta della Bolognina. Oggi, un partito che già aveva abbandonato a sè stessa la classe operaia durante gli anni '70 e '80 -e che di errori ne aveva già commessi non pochi, anni prima- ha abbracciato in pieno la sua deriva liberista. Non sorprende, dunque, che Giorgio Napolitano sia stato, di questa svolta, mentore e interprete. Come non sorprende che gente come Mario Monti, uomo della Trilateral, abbia potuto trovare in lui il più convinto sostenitore. Come, d'altronde, l'autoritario e narcisista Renzi. Dunque, cari democratici, mettetevi d'accordo. Siete con Napolitano o con Berlinguer? Il vostro pantheon mi sembra un po' troppo vasto. Non si può andare da Papa Francesco a Che Guevara. Passando pure per la Thatcher. Un minimo di coerenza e serietà, Non chiedo altro. E che cazzo!
Durante una drammatica Direzione Nazionale del PCI, che si tenne, nel 1981, all'indomani di un'enorme crisi che si era aperta all'interno del partito, proprio tra l'ala migliorista di Napolitano e la segreteria di Berlinguer, quest'ultimo così si esprimeva: "Io ho capito molto bene che c'è qui una parte di voi che vuole trasformare il Pci in un partito socialdemocratico. Sappiate che io a questa cosa non ci sto e che io non sarò mai il segretario di un tale partito. Se voi volete fare una cosa del genere lo farete senza di me e contro di me”. Poco più tardi, Berlinguer morì. Ognuno sa come le cose siano andate, sino a quale punto si sia spinta l'abiura e quale approdo abbia conosciuto il Pci, nella sua impressionante metamorfosi, dopo la svolta della Bolognina. Oggi, un partito che già aveva abbandonato a sè stessa la classe operaia durante gli anni '70 e '80 -e che di errori ne aveva già commessi non pochi, anni prima- ha abbracciato in pieno la sua deriva liberista. Non sorprende, dunque, che Giorgio Napolitano sia stato, di questa svolta, mentore e interprete. Come non sorprende che gente come Mario Monti, uomo della Trilateral, abbia potuto trovare in lui il più convinto sostenitore. Come, d'altronde, l'autoritario e narcisista Renzi. Dunque, cari democratici, mettetevi d'accordo. Siete con Napolitano o con Berlinguer? Il vostro pantheon mi sembra un po' troppo vasto. Non si può andare da Papa Francesco a Che Guevara. Passando pure per la Thatcher. Un minimo di coerenza e serietà, Non chiedo altro. E che cazzo!
giovedì 8 gennaio 2015
VECCHI E NUOVI MEDIO EVI
Cui prodest haec turpis lis? direbbe Seneca. Ed
intendo tutta la vicenda dell'eccidio parigino. Stamattina, ad esempio, la Le
Pen ha lanciato l'idea di un sondaggio sul ripristino della pena di morte. Ma
questo è solo l'effetto più immediato e visibile, dell’attentato contro la
redazione del giornale satirico, Charlie Hebdo. Sento parlare, ovunque, di
difesa dei valori occidentali. Di conflitto culturale. Di problema
inter-religioso. Di contrapposizione tra Occidente progressista, libero e
democratico ed Islam retrogrado, oppressivo e teocratico. Ovviamente, tutti
immersi nel fiume dell’oblio storico e, quindi, dimentichi del fatto che, al
mondo arabo ed all'Islam, sono settecento anni che gli stiamo saccheggiando
cultura e terre, con la pretesa pure di civilizzarli. Prima con le crociate,
poi con il colonialismo delle grandi potenze europee, oggi con l'imposizione
capitalistica dell'economia di mercato e del nostro pseudo modello democratico,
esportato con guerre e bombe.
Sulla libertà della democrazia borghese, poi,
sinceramente, glisserei. Per pudore. A parte la pena di morte vigente ancora in
USA, vogliamo parlare di Guantanamo? Di Abu Ghraib? Del Patriot Act? Delle
torture che vengono perpetrate nelle nostre patrie galere? Delle violenze
impunite della polizia, alle nostre democratiche latitudini? Si eccepirà: ma tu
qui puoi criticare chi vuoi e hai libertà di parola. Certo, e come no! Fermo
restando che le conseguenze che puoi pagare, se veramente la eserciti la
libertà di pensiero e di parola, sono praticamente equiparabili alla morte
civile. E se te la prendi col Papa o con dio, un qualche sospetto di
schizofrenia paranoide o di invasamento demoniaco pure lo desti. Per non dire
della questione femminile. Nell'islam, le donne sono costrette a portare il velo
e vengono punite con la lapidazione, se non filano dritto: il che vuol dire se
non si sottomettono alla volontà fallocratica. Certo, da noi non è così. Noi le
ammazziamo nella loro completa libertà di azione. O le facciamo diventare
oggetto di piacere per miliardari. Colpa loro? Forse, ma quando la cultura che
domina è quella del denaro, qualche domanda me la porrei. O le ricattiamo sessualmente per farle lavorare: e meglio se sono straniere. Non dimentichiamoci, inoltre, che, fino al 1981, praticamente fino a trentacinque anni fa, in Italia, vigeva
il delitto d'onore. Per non parlare della linea di difesa assunta, nel 1976,
dall'avvocato dei tre macellai del Circeo, Gianni Guido, Angelo Izzo ed Andrea
Ghira, il quale affermò, molto andreottianamente, bisogna dire, che le due
donne, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, stuprate ripetutamente e poi massacrate con l’intenzione di ucciderle –la
Lopez morì per gli abusi e le violenze, mentre la Colasanti si salvò, fingendosi
morta- se l’erano cercata, perché erano salite nella macchina dei tre
ragazzi.
Quindi, per favore, non azzardiamoci a dare lezioni
di libertà, progresso e democrazia a nessuno. L’Occidente intero non può
permetterselo. E men che meno l’Italia. Da sempre paese intriso di cultura
cattofascista!
mercoledì 7 gennaio 2015
CARO GAD LERNER, ALMENO SU NAPOLI SI TACCIA!
In un tweet, comparso ieri sera, il maitre a penser repubblichino, Gad Lerner, così si esprimeva: “La napoletanità tracima spesso in una retorica da cui una persona intelligente come Pino Daniele non a caso ha scelto di prender le distanze”.
Caro Gad, che cosa rispondere a cotanta dimostrazione di insulsaggine umana, intrisa di pontificante narcisismo, classismo borghese, razzismo antimeridionale e snobismo intelletualistico? Provo a farlo, attraversato, sia ben chiaro, da un moto di disgusto altrettanto intriso di presunzione, snobismo intellettuale, disprezzo di classe e poca simpatia –badi, non razzismo, a differenza sua- per chi, da nordista, non perde occasione per offendere il mio, il nostro mezzogiorno. Delle sue ambiguità sionistiche, invece, non parlo, soltanto perché questa non mi sembra la sede adeguata.
Or dunque, vediamo. Personalmente, non amo le celebrazioni pubbliche dei grandi personaggi , intrise spesso, è vero, di intollerabile retorica. Non amo l'ostentazione, autoreferenziale e un po' volgare, dei moti dell’animo e del cuore. Credo che, in tutti i casi, ma specie in quelli di lutto, silenzio e ed intimo cordoglio sarebbero atteggiamenti più consoni e, forse, anche rispettosi di un sentimento, tanto personale, come la morte. D’altronde, s’immagini, io non tollero neanche i funerali. Da quando c'è facebook, poi, qui è un eterno profluvio di atti ostensivi e riti commemorativi, ai limiti della pornomania necrofila. è, dunque, per questi motivi, che non sono andato, ieri sera, al flash mob, organizzato in Piazza Plebiscito, per salutare Pino.
Ciò detto, caro e poco stimabile Gad, non solo capisco chi, invece, si è recato lì per un ultimo saluto, ma comprendo la valenza simbolica di quel rituale pubblico, pervaso dal desiderio collettivo di condividere un lutto. Ieri sera, infatti, in Piazza, non si è celebrata la morte di un qualunque personaggio famoso; non si è dato sfogo al sentimentalismo retorico di un sud e di una Napoli tracimanti e rozzi -questo lei, in fondo, voleva dire- nell’espressione delle loro emozioni più profonde; non è andata in scena una fiction televisiva. No, caro Gad! Ieri, a Napoli, è andato in scena il teatro, nella sua forma ancestrale, di τραγῳδία – τράγος ᾠδή: canto del capro- di tragedia, dunque. Si è celebrato, in pratica, un rituale collettivo pagano e plebeo, nella sua accezione più aristocratica. Si è festeggiato Dioniso, nella città più dionisiaca del mondo. La morte, dunque, in tal senso, non è distacco ma resurrezione immediata. Resurrezione, perciò, non in senso moralistico e cattolico, ma nel senso di rinnovamento della vita fisica, di una presenza viva ed eterna tra gli uomini. Di ritorno al vino ed all’ebbrezza. Ieri sera, a Napoli, non si è tenuta, pertanto, una messa funebre. Si sono glorificate, nella loro coincidenza, la Vita e la Morte. La Poesia e la Musica.
Pino Daniele non era, non è stato, non è un uomo qualunque. Era, è stato ed è il nostro Dioniso. Era, è stato ed è la carne, le viscere, il cuore, il sangue, lo sperma e la merda di Napoli. Il suo poeta, il suo cantore, il suo pittore. Insomma, un uomo ed un dio insieme. Non capire questo, significa non aver capito nulla di Napoli e della sua profondissima cultura pagana. E significa non aver capito nulla di Pino Daniele. Che, forse, per motivi personali e per tranquillità –Napoli è città difficilissima da vivere, su questo non vi è dubbio- avrà anche preferito vivere altrove, ma che non sarebbe stato l’artista che è stato, ed è, se non si fosse nutrito della sua città. Pino e Napoli sono stati e sono un corpo solo. Napoli lo ha partorito e plasmato. Lui a Napoli si è offerto in pasto. Dunque, caro Gad Larner, almeno su Napoli, abbia la compiacenza di tacere!
Caro Gad, che cosa rispondere a cotanta dimostrazione di insulsaggine umana, intrisa di pontificante narcisismo, classismo borghese, razzismo antimeridionale e snobismo intelletualistico? Provo a farlo, attraversato, sia ben chiaro, da un moto di disgusto altrettanto intriso di presunzione, snobismo intellettuale, disprezzo di classe e poca simpatia –badi, non razzismo, a differenza sua- per chi, da nordista, non perde occasione per offendere il mio, il nostro mezzogiorno. Delle sue ambiguità sionistiche, invece, non parlo, soltanto perché questa non mi sembra la sede adeguata.
Or dunque, vediamo. Personalmente, non amo le celebrazioni pubbliche dei grandi personaggi , intrise spesso, è vero, di intollerabile retorica. Non amo l'ostentazione, autoreferenziale e un po' volgare, dei moti dell’animo e del cuore. Credo che, in tutti i casi, ma specie in quelli di lutto, silenzio e ed intimo cordoglio sarebbero atteggiamenti più consoni e, forse, anche rispettosi di un sentimento, tanto personale, come la morte. D’altronde, s’immagini, io non tollero neanche i funerali. Da quando c'è facebook, poi, qui è un eterno profluvio di atti ostensivi e riti commemorativi, ai limiti della pornomania necrofila. è, dunque, per questi motivi, che non sono andato, ieri sera, al flash mob, organizzato in Piazza Plebiscito, per salutare Pino.
Ciò detto, caro e poco stimabile Gad, non solo capisco chi, invece, si è recato lì per un ultimo saluto, ma comprendo la valenza simbolica di quel rituale pubblico, pervaso dal desiderio collettivo di condividere un lutto. Ieri sera, infatti, in Piazza, non si è celebrata la morte di un qualunque personaggio famoso; non si è dato sfogo al sentimentalismo retorico di un sud e di una Napoli tracimanti e rozzi -questo lei, in fondo, voleva dire- nell’espressione delle loro emozioni più profonde; non è andata in scena una fiction televisiva. No, caro Gad! Ieri, a Napoli, è andato in scena il teatro, nella sua forma ancestrale, di τραγῳδία – τράγος ᾠδή: canto del capro- di tragedia, dunque. Si è celebrato, in pratica, un rituale collettivo pagano e plebeo, nella sua accezione più aristocratica. Si è festeggiato Dioniso, nella città più dionisiaca del mondo. La morte, dunque, in tal senso, non è distacco ma resurrezione immediata. Resurrezione, perciò, non in senso moralistico e cattolico, ma nel senso di rinnovamento della vita fisica, di una presenza viva ed eterna tra gli uomini. Di ritorno al vino ed all’ebbrezza. Ieri sera, a Napoli, non si è tenuta, pertanto, una messa funebre. Si sono glorificate, nella loro coincidenza, la Vita e la Morte. La Poesia e la Musica.
Pino Daniele non era, non è stato, non è un uomo qualunque. Era, è stato ed è il nostro Dioniso. Era, è stato ed è la carne, le viscere, il cuore, il sangue, lo sperma e la merda di Napoli. Il suo poeta, il suo cantore, il suo pittore. Insomma, un uomo ed un dio insieme. Non capire questo, significa non aver capito nulla di Napoli e della sua profondissima cultura pagana. E significa non aver capito nulla di Pino Daniele. Che, forse, per motivi personali e per tranquillità –Napoli è città difficilissima da vivere, su questo non vi è dubbio- avrà anche preferito vivere altrove, ma che non sarebbe stato l’artista che è stato, ed è, se non si fosse nutrito della sua città. Pino e Napoli sono stati e sono un corpo solo. Napoli lo ha partorito e plasmato. Lui a Napoli si è offerto in pasto. Dunque, caro Gad Larner, almeno su Napoli, abbia la compiacenza di tacere!
sabato 3 gennaio 2015
MAGISTRATURA A CINQUE STELLE E FASCI LITTORI
Scrivevo ieri, a proposito della candidatura a Presidente della Repubblica, avanzata dai Cinque Stelle, dell'ex magistrato Ferdinando Imposimato, uno che ha edificato la sua carriera, giudiziaria e politica, di ex PCI, costruendo teoremi sulle Brigate Rosse, mandando in galera compagni e pubblicando libri-rivelazione sul caso Moro, rivelatisi poi, alla prova dei fatti, delle gran fandonie, che meglio sarebbe candidare Pinocchio. Poi, però, stamane, leggendo la lista dei nomi scelti dai pentastellati nel 2012, per la più alta carica dello stato, mi accorgo che figuravano, oltre ad Imposimato, ben altri due togati: Gustavo Zagrebelsky e, niente popo di meno che, Giancarlo Caselli. Ora, mentre sul primo mi limiterei a dire che, in quanto giudice, Presidente della Corte Costituzionale, ed editorialista della Stampa e di Repubblica, lo considero un membro dell'establishment borghese, vicino a quel PD, insulso e neoliberista, contro cui i grillini pure si scagliano; su Caselli, invece, c'è proprio da incazzarsi. L'inquisitore torinese, infatti, oltre ad avere, anch'egli, fatto carriera, in magistratura democratica, mandando in galera, nel corso degli anni '70, con l'ausilio delle vergognose leggi speciali, decine di compagni, tra cui Renato Curcio, e ad aver architettato, come Imposimato, castelli accusatori quantomeno ai limiti del surreale, pur di veder trionfare “l'ideale di giustizia” borghese e di classe, è anche colui che, negli ultimi anni, ha deciso di perseguire gli attivisti No Tav, accusandoli di terrorismo, per due molotov ed un compressore rotto. Ed è lo stesso che, quando la Corte d’Assise di Torino ha assolto, da quella ridicola accusa, Claudio, Niccolò, Mattia e Chiara, non ha esitato a parlare di errore e, riferendosi al movimento valsusino, di "ondata di violenza che si pone al di fuori della democrazia". Insomma, l’ex procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli è praticamente il boia di quello stesso movimento che, i cinque stelle, dicono di sostenere. Dunque, si mettano d'accordo, una buona volta, con loro stessi, gli apostoli del novello Savonarola. O sostengono la rivoluzione o la reazione. Con entrambi non si può stare.
Infine, un brevissimo cenno storico, tanto per chiarire. Nell'antica Roma, i dictatores erano magistrati, titolari di un grado di potere, chiamato "maggior potere" (maior potestas) ed il loro simbolo erano i fasci littori. Ora, considerando il rinascente fascismo, in Europa ed in Italia, e la non certo chiara collocazione politica dei pentastellati, non vorrei che, a furia di eleggere magistrati e di affidare loro la normalizzazione di questo paese, con manette e galere, si finisca dritti dritti in una nuova celebrazione dei fasti di Roma Imperiale.
Infine, un brevissimo cenno storico, tanto per chiarire. Nell'antica Roma, i dictatores erano magistrati, titolari di un grado di potere, chiamato "maggior potere" (maior potestas) ed il loro simbolo erano i fasci littori. Ora, considerando il rinascente fascismo, in Europa ed in Italia, e la non certo chiara collocazione politica dei pentastellati, non vorrei che, a furia di eleggere magistrati e di affidare loro la normalizzazione di questo paese, con manette e galere, si finisca dritti dritti in una nuova celebrazione dei fasti di Roma Imperiale.
MAGISTRATURA A CINQUE STELLE E FASCI LITTORI
Scrivevo ieri, a proposito della candidatura a Presidente della Repubblica, da parte dei Cinque Stelle, dell'ex magistrato Ferdinando Imposimato, uno che ha edificato la sua carriera, giudiziaria e politica, di ex PCI, costruendo teoremi sulle Brigate Rosse, mandando in galera compagni e pubblicando libri-rivelazione sul caso Moro, rivelatisi poi, alla prova dei fatti, delle gran fandonie, che meglio sarebbe candidare Pinocchio. Poi, però, stamane, leggendo la lista dei nomi scelti dai pentastellati nel 2012, per la più alta carica dello stato, mi accorgo che figuravano, oltre ad Imposimato, ben altri due togati: Gustavo Zagrebelsky e, niente popo di meno che, Giancarlo Caselli. Ora, mentre sul primo mi limiterei a dire che, in quanto giudice, Presidente della Corte Costituzionale, ed editorialista della Stampa e di Repubblica, lo considero un membro dell'establishment borghese, vicino a quel PD, insulso e neoliberista, contro cui i grillini pure si scagliano; su Caselli, invece, c'è proprio da incazzarsi. L'inquisitore torinese, infatti, oltre ad avere, anch'egli, fatto carriera, in magistratura democratica, mandando in galera, nel corso degli anni '70, con l'ausilio delle vergognose leggi speciali, decine di compagni, tra cui Renato Curcio, e ad aver architettato, come Imposimato, castelli accusatori quantomeno ai limiti del surreale, pur di veder trionfare “l'ideale di giustizia” borghese e di classe, è anche colui che, negli ultimi anni, ha deciso di perseguire gli attivisti No Tav, accusandoli di terrorismo, per due molotov ed un compressore rotto. Ed è lo stesso che, quando la Corte d’Assise di Torino ha assolto, da quella ridicola accusa, Claudio, Niccolò, Mattia e Chiara, non ha esitato a parlare di errore e, riferendosi al movimento valsusino, di "ondata di violenza che si pone al di fuori della democrazia". Insomma, l’ex procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli è praticamente il boia di quello stesso movimento che, i cinque stelle, dicono di sostenere. Dunque, si mettano d'accordo, una buona volta, con loro stessi, gli apostoli del novello Savonarola. O sostengono la rivoluzione o la reazione. Con entrambi non si può stare.
Infine, un brevissimo cenno storico, tanto per chiarire. Nell'antica Roma, i dictatores erano magistrati, titolari di un grado di potere, chiamato "maggior potere" (maior potestas) ed il loro simbolo erano i fasci littori. Ora, considerando il rinascente fascismo, in Europa ed in Italia, e la non certo chiara collocazione politica dei pentastellati, non vorrei che, a furia di eleggere magistrati e di affidare loro la normalizzazione di questo paese, con manette e galere, si finisca dritti dritti in una nuova celebrazione dei fasti di Roma Imperiale.
Infine, un brevissimo cenno storico, tanto per chiarire. Nell'antica Roma, i dictatores erano magistrati, titolari di un grado di potere, chiamato "maggior potere" (maior potestas) ed il loro simbolo erano i fasci littori. Ora, considerando il rinascente fascismo, in Europa ed in Italia, e la non certo chiara collocazione politica dei pentastellati, non vorrei che, a furia di eleggere magistrati e di affidare loro la normalizzazione di questo paese, con manette e galere, si finisca dritti dritti in una nuova celebrazione dei fasti di Roma Imperiale.