Rothko Chapel
martedì 30 aprile 2013
LA GIUSTA CONTESTAZIONE DEI COMPAGNI CONTRO LA BLOGGER CUBANA YOANI SANCHEZ E LE MESCHINE IPOCRISIE DEL PD.
Da qualche parte, su fb, alcuni “sinceri democratici” del Pd hanno appellato la protesta -avvenuta durante il festival del giornalismo di Perugia- di un piccolo gruppo di compagni contro Yoani Sanchez, la blogger cubana, anticastrista e anticomunista, notoriamente al soldo della CIA, come fascista. Evidentemente, questi signori ignorano –o fingono di ignorare- la Baia dei Porci, i molteplici tentativi messi in atto dai nordamericani di uccidere Castro, e l'assurdo e scellerato embargo cinquantennale messo in atto dagli USA contro Cuba. E questo per fermarci all'isola caraibica! Vogliamo parlare, poi, delle dittature, quelle sì fasciste, instaurate in Americalatina da USA e impero britannico, con l'avallo silenzioso dei paesi satelliti della Nato, tra cui l'Italia? Vogliamo parlare delle violenze, degli omicidi, delle stragi, degli stupri commessi dai Contras in Nicaragua? O di quelli commessi dai militari fascisti, durante la dittatura di Pinochet, in Cile, sostenuta dalla politica economica liberista degli USA, che trovava la sua origine nella Scuola di Chicago? O di quelli messi in atto, durante la dittatura Argentina? O, ancora, negli anni di quella di Stroessner, in Paraguay? Tutto ciò, ritengo, basti a giustificare la rabbia contro chi, protetta dall'imperialismo americano e dalla compiacenza della stampa di mezzo mondo, al soldo delle lobby finanziarie, pensa di poter dire tutto il male possibile contro un paese, piccolo come Cuba e il suo Leader Maximo.
Ciò detto, mi chiedo e chiedo agli amici del PD: ma proprio loro danno del fascista ai contestatori? Ma un po' di dignità e di amor proprio, oltre che di pudore, non lo hanno questi signori?
Loro, che con i fascisti sono al governo. Loro, che dei metodi squadristi della polizia e dei carabinieri, che manganellano e sparano sugli operai, sono sostenitori, esplicitamente o implicitamente, viste le "strategiche" scelte politiche messe in atto. Loro, che oramai hanno svenduto l'Italia alla politica rigorista della Germania e della Troika, e alla politica guerrafondaia degli USA. Loro, che hanno minacciato di espellere dal partito, chi non avesse votato la fiducia al governo Letta, dimostrando "l'alto senso democratico" che li contraddistingue. Loro, che hanno tradito, per denaro e potere, tutti gli ideali su cui hanno costruito la loro infame storia degli ultimi vent'anni, giocando sulla pelle di quella classe lavoratrice, di cui sarebbero dovuti essere, per tradizione e naturale collocazione politica, i difensori. Loro, insomma, ergendosi su un pulpito che non gli compete, danno del fascista a chi, con orgoglio e coraggio, difende gli ideali Comunisti di giustizia, uguaglianza, pace, contro lo strapotere del pensiero neoliberista e neocolonialista, che domina, ormai, l'intero globo! E siffatti personaggi non li ho mai sentiti inveire, con la stessa acrimonia, contro quello che sta avvenendo in Grecia o in Ungheria. E lì sì, siamo realmente in presenza di fascismo e nazismo!
Le uniche eccezioni, in questo desolante scenario, che assomiglia sempre più ad una mondiale dittatura orwelliana, sono, appunto, quei paesi dell'Americalatina che, con coraggio, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, stanno tentando di costruire un'alternativa socialista a quel capitalismo finanziario e criminale che sta avvelenando e massacrando le economie dell’intero pianeta e, con esse, la maggioranza dei popoli. Forse, ai signori del Pd è sfuggito che, nel mondo, è in atto una guerra o, per meglio intenderci, una Lotta di Classe sanguinaria, perpetrata dalle classi e dai paesi dominanti, contro le classi e i paesi più poveri. Bene hanno fatto, dunque, i compagni a contestare, anche vivacemente, la Sanchez, propaggine del potere USA nella colonizzata e martoriata Italia. Mentre, ai democratici del dissolvendo PD consiglierei di riflettere a lungo, prima di parlare, e soprattutto di evitare quei falsi moralismi piccolo-borghesi che li connotano, tanto sul versante politico che su quello esistenziale. Piaccia o no a loro, sono complici di quel fascismo finanziario, che sta conducendo l’Italia sulla soglia del baratro e le famiglie, i giovani, le lavoratrici e i lavoratori di questo paese alla disperazione.
W CUBA SOCIALISTA. W FIDEL. W IL COMUNISMO.
giovedì 25 aprile 2013
IL 25 APRILE E IL GOVERNO NAPOLITANO-LETTA
Ernesto Che Guevara diceva: « Credo nella lotta armata, come unica soluzione per i popoli che lottano per liberarsi». In alcuni frangenti storici e in alcune situazioni politico-sociali, sono convinto che per un popolo oppresso non ci sia altra soluzione.
In questo giorno che, il 25 Aprile 1945, vedeva l'Italia liberarsi, attraverso la lotta armata, dal giogo nazifascista, non c'è molta voglia di festeggiare. Oggi, questo giorno, segna l'inizio, con il governo Letta -membro di Bilderberg, Vice presidente dell'Aspen Institute, che è una succursale del Bilderberg, e membro della Trilaterale, come il suo predecessore Monti- imposto da Napolitano, del definitivo commissariamento della Repubblica Italiana, nata dalla Resistenza, da parte di quegli stessi poteri finanziari che, negli anni 20/40, prima sostennero economicamente i fascismi europei e poi condussero il mondo alla II Guerra Mondiale. Il tutto, per meri fini affaristici e di potere!
Inoltre, mi giunge notizia che Alessandra Mussolini farebbe parte del governo insieme al PD. Insomma, la nipotina del duce, da cu circa 70 anni fa l'Italia si liberò, pagando un altissimo tributo di sangue -sangue partigiano e soprattutto sangue Comunista- viene chiamata a reggere le redini di questo paese da coloro che si dichiarerebbero i discendenti dell'ex P.C.I. e che io, personalmente, definisco, invece, traditori della classe operaia e lavoratrice. Oltre che di quell'ideale altissimo che è il Comunismo. Che la vergogna accompagni la vita di questa gente per sempre.
In un simile giorno, però, una sola notizia mi rallegra, anche se in parte. E' morto ieri Teodoro Buontempo, El Pecora, per intenderci. Un fascista, dunque una merda. Un sostenitore di quelle idee elitarie, razziste, omofobe, insomma folli e criminali che, quel 25 Aprile, si sperava aver sconfitto per sempre. Inoltre, questo "signore", nel 1991, quando era segretario provinciale dell’Msi-Dn, aiutato da altri missini, staccò nottetempo la targa stradale di Palmiro Togliatti a Cinecittà, sostituendola con una con su scritto “viale vittime del comunismo”. Più di 60 milioni di morti, forni crematori, eccidi nel corso del conflitto mondiale; e poi, bombe e stragi compiute dai fascisti durante gli anni '70/80, e costui aveva anche il coraggio di parlare di vittime del Comunismo! Che il custode della tua eternità possa essere il Minotauro, cara Pecora, e tu possa sprofondare nel Flegetonte, insieme agli altri assassini –per esser tale, non si deve per forza aver commesso omicidi, basta sostenere idee sostanzialmente omicide- come te!
A proposito, Buon 25 Aprile a tutti...
W LA RESISTENZA. W IL COMUNISMO
venerdì 19 aprile 2013
CASTELLI IN ARIA…NOTA CRITICA ALLA MOSTRA DI GIUSEPPE MASCOLO
Uno dei più grandi architetti della nostra epoca, il brasiliano Oscar Niemeyer, affermava «Non è l’angolo retto che mi attrae, né la linea retta, dura, inflessibile, creata dall’uomo. Quello che mi attrae è la libera curva sensuale, la curva che trovo nelle montagne del mio paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nelle onde del mare, tra le nuvole del cielo, nel corpo della donna preferita. Di curve è fatto tutto l’universo».
Ecco, i disegni di Giuseppe Mascolo, giovane architetto napoletano, appena visti mi hanno suscitato più o meno la stessa impressione, riportandomi alla memoria questa idea di Niemeyer.
Linee, sinuosità, femminile sensualità, ma anche, attraverso esse, solitudine, dolore, turbamento. Tracce di un mondo interiore, che arriva su foglio di getto, quasi come se la mano procedesse costretta dal furore di un bisogno, che sale dalle profonde e oscure pieghe di un’anima in tumulto.
In lui, sembrano combinarsi il segno di una geometrica dissonanza e la traslazione simbolica di una malinconica riflessione sulla struttura architettonica di città in dismissione.
La sensazione più immediata è quella di trovarsi al cospetto di paesaggi colpiti da qualche disastro nucleare, immersi in una solitudine primordiale, in cui è la natura, ormai scarna, a sorreggere l’impalcatura di costruzioni che si reggono appena sul terreno, in taluni casi pericolanti come scheletri incendiati, o che addirittura fluttuano nell’aria.
In molti dei suoi arabeschi, tracciati con penna e acquerello, ci troviamo di fronte a paesaggi malinconicamente inquietanti, nella loro scomposizione ecologica, riadattati in forma architettonica e cementificata. Tutto: il cielo, uno specchio d’acqua che spesso compare, quasi a rimandare l’immagine sbiadita di un mondo delle idee architettoniche in decomposizione, le costruzioni simili ad alberi in ferro -grazie anche all'utilizzo cromaticamente simbolico di un viola che sfuma nel grigio- sembrano piangere la perdita di un'ancestrale verginità naturale, ormai smarrita per sempre, fagocitata dal delirio consumistico di una società artificiale e inautentica.
Nei suoi disegni, Giuseppe Mascolo mette in gioco, dunque, la weltanschauung di un mondo futuribile e tragico, nel destino segnato dalla smania tecnologica e dominatrice dell’uomo, nei confronti del suo habitat naturale: un ecosistema sfregiato da un’urbanizzazione forzata, che ha prodotto lo scempio di megalopoli soffocanti e lontane dalla dimensione umana. Sembra quasi aspirare ad un sovvertimento, ad una disintegrazione palingenetica di un simile scenario, da cui ripartire per dare spazio ad un’idea dell’uomo, a una concezione paesaggistica e, di conseguenza architettonica, di segno completamente opposto.
Nell’addentrarmi nella visione di quelle figurazioni, così scarne eppure così potenti, nell’evocazione di una solitudine, che è poi metafora della condizione umana e “terrena”, sempre più riemergevano, dalle sbiadite trame della memoria, le parole profetiche che Williaam Blake scriveva nel suo poema “Quattro Zoas”, e che Elèmire Zolla riporta all’interno del suo “Eclisse dell’intellettuale”: «Le città mandarono a dirsi: i nostri figli sono pazzi di vino e crudeltà. Intrecciano le sciagure, sorelle! I figli sono nutriti per la strage, un tempo erano cibati di latte, perché mai ora di sangue? Il cavallo ha più valore dell’uomo; la tigre feroce deride la forma umana; il leone dileggia e vuole sangue. Gridano: o ragno spargi la tua tela! Ingrossa le tue ossa e pieno di midollo, di carne, sii esaltato! Abbi una tua voce! Chiama i tuoi ospiti tetri, perché i figli degli uomini si congregano a disfare le loro città. L’uomo non sarà più!».
Siamo, insomma, mi pare di poter affermare senza tema di smentita, a quella che Benjamin definiva, a proposito del dramma tedesco, Trauerspiel, “rappresentazione luttuosa”, quel concetto cioè che, a differenza della tragedia, ha per oggetto la storia e non il mito. E si, perché è la Storia, nel suo costante divenire fenomenico, a determinare escatologicamente il destino umano. Un destino che, agli occhi di Giuseppe Mascolo, appare avvolto dalla nube scura del pessimismo.
Or dunque, il termine di paragone più prossimo che mi sovviene, quando cerco di indagare l’origine stessa di quegli schizzi, e la loro profonda essenza, è, mi si passi l’azzardo, quello con le statue di Alberto Giacometti. Come nel caso del grande artista svizzero, le forme tracciate da Mascolo sembrano emergere, come relitti, dagli abissi del tempo o da un universo in cui uno squarcio si è prodotto, improvviso, nella sua dimensione spazio/temporale, precipitandolo in un non-luogo pre-storico, quasi a rappresentare l’abisso umano dell’ inconscio, con tutti suoi fantasmi, le sue paure, le sue angosce, le sue immagini orrorifiche, eppure seducenti.
Molte delle sue rappresentazioni –come nel caso delle sculture di Giacometti- mi appaiono come scheletri corrosi e alteri, che sembrano usciti da un inferno dantesco. Esse comunicano tutta l’incomunicabilità del dolore, la nostalgia, la solitudine, la paura, lo smarrimento e il dramma di un’esistenza costantemente precaria, fragile, in eterna lotta con un mondo così vuoto e, oramai, così altro da noi. Un mondo, diciamolo chiaro, oramai schiavo della sua stessa frenesia produttivistica e finanziaria, dominata da quella filosofia economica, ultraliberista e disumanizzante, il cui unico obiettivo è il predominio dell’uomo sull’uomo, attraverso lo sfruttamento del lavoro, e dell’uomo sulla natura, mediante lo sfruttamento delle sue risorse. Come nel caso delle statue di Giacometti, dunque, nelle raffigurazioni tracciate da Mascolo, possiamo scorgere quello smarrimento e quell’angoscia che sono si condizione coessenziale della vita umana, ma anche una solitudine intellettualmente ricercata e voluta, che si muta in sentimento di rivolta, mi verrebbe da dire quasi ricerca metafisica di una nuova ontologia, di fronte alla dissipazione e alla disgregazione di un’epoca, in cui l’uomo e il suo ambiente sembrano essere stati soppiantati da artifici illusionistici e/o informatici. Dinanzi a tutto ciò, però, non resta, almeno per il momento, che afferrare la fragilità e la sospensione tra Essere e Nulla e, per dirla appunto con Sartre: «la grazia indicibile di essere perituri».
Insomma, per concludere, i disegni di Giuseppe Mascolo sono gli ultimi riflessi di un universo interiore, di un mondo nato martire e ribelle, sulle sottili linee di un architetto privo di senso. Sono l’iperbolica blasfemia gridata ad un cielo vellutato e livido, sotto al quale, l’infernale specchio della dimenticanza avvolge il tutto, scaraventandoci nell’ultimo vagito di una maciullata eternità. Sono sogni astrali; punti e linee. Simboli materni e paterni di una primordiale glossolalia, oscura e alienante. Attraverso essi, ci sembra di fluttuare in labirinti di segni e di parole, significanti puri di cui ci sfugge la semantica e il cui gioco è l’inganno stesso di un dio beffardo, che ha tirato una volta di troppo i suoi dadi. Davanti ad essi, possiamo sentirci assaliti da improvviso sbigottimento, come davanti alle immagini più cupe del nostro inconscio o come dinanzi al fulgore impossibile di una legge kafkiana.
Ecco, per farla breve, la architetture di Giuseppe Mascolo sono affascinanti, kafkiani castelli in aria.
venerdì 12 aprile 2013
E ORA? QUALE FUTURO PER LA LOTTA DI CLASSE?
Da tempo, ormai, una domanda mi tormenta, sopra ogni altra. E ora? Ora che ne sarà di noi comunisti? Che ne sarà di una forza e di un pensiero che hanno, per più di un secolo, fatto tremare i padroni e i loro sporchi interessi, portando per la prima volta, sulla ribalta della Storia, gli ultimi, i poveri, l’infima plebe, insomma il quarto stato? Che ne sarà di quello spettro che si aggirava per l’Europa spezzando pesantissime catene, poste ai piedi e ai polsi di contadini, operai , proletari e sottoproletari, trattati come schiavi -o peggio come bestie- e capace di restituire loro dignità di uomini e l’orgoglio della soggettività politica? Che ne sarà di quel movimento che, nel corso del ‘900, ha conquistato, alla classe lavoratrice, diritti che fino ad allora sembravano impensabili, perché contavano solo l’egoistica volontà padronale e il saggio di profitto? Che ne sarà di quella cultura politica capace di liberare interi starti sociali dalla piaga dell’analfabetismo in cui chiesa, aristocrazia e borghesia avevano interesse a mantenerli, e che oggi sembra ritornare, grazie all’imperante e decerebrante culto televisivo, gestito da sacerdoti al servizio del dio mercato? Che ne sarà di quella spinta Rivoluzionaria, che infiammava i cuori e le menti dei giovani, facendo loro sognare una società diversa, nuova, più giusta, equa e felice?
In meno di trent’anni, la feroce corsa al consumismo, omologante e individualistico, sostenuto dal grande Capitale e da borghesie sempre più avide e corrotte, sta spazzando via, a poco a poco, in questa parte di occidente ma non solo –resta la bellissima esperienza sud americana e qualche altro sparuto e controverso laboratorio in giro per il mondo- anche l’ultimo brandello dell’ ideale Comunista, che si proponeva, in ultima istanza -è bene ricordarlo a chi oggi o ha memoria corta e opportunisticamente preferisce ignorarlo, o è troppo giovane ed è vissuto coi miti sbagliati, costruiti dalla propaganda borghese- di rovesciare uno stato di cose che pareva immutabile, coessenziale alla natura stessa dei rapporti sociali e umani: la classe dei padroni, i ricchi, le elite comandano e dettano legge, la classe operaia, quella lavoratrice, i poveri subiscono e obbediscono. Mondo è e mondo sarà, solevano dire i baroni del sud, proprietari terrieri!
Si badi bene, non si vuole negare qui che, nell’applicazione concreta, pragmatica, politica di quell’ideale, siano stati commessi errori e orrori, a volte anche disumani. Le rivoluzioni non sono un pranzo di gala e comportano sempre, quando sono vere e non civili, spargimenti di sangue e morti. E questo non lo trovo affatto eticamente sbagliato. Anzi! E’ anche vero però che, a volte, l’instaurazione dei governi che ne è scaturita, si è trasformata in morse burocratico/dirigiste, con vere e proprie derive di tipo bonapartista e, oserei dire, tirannico, anche se qualche compagno non condividerà. Personalmente, non ho difficoltà ad ammettere, per esempio, che lo stalinismo fu una bruttissima parentesi nel percorso di costruzione del socialismo in Urss -poi degenerato, alla fine, in burocratismo e dirigismo- e che, pur facendo delle differenze, lo stesso Mao non fu esente da comportamenti poco umani. Però, se qui ci mettiamo a fare le pulci, allora mi chiedo: a chi addebitiamo i morti delle due guerre mondiali, se non alle democrazie liberiste e alle borghesie capitaliste che, per difendere i loro interessi non esitarono a scatenare la prima guerra mondiale e poi, con la scusa dal pericolo rosso, finanziarono fascismo e nazismo, provocando quello che sappiamo? E i morti per le guerre neocolonialiste in Africa, ricca di miniere di diamanti e materie prime da sfruttare, o in medio oriente per il petrolio, a chi li vogliamo addebitare? Come pure, il finanziamento delle dittature fasciste e sanguinarie in Sud America, in cui fu coinvolto anche il vaticano (scandalo IOR)? E alcune delle più gravi sciagure che hanno colpito il nostro ecosistema, a chi le ascriviamo, se non ad uno sviluppo cieco e criminale che ha progressivamente deturpato il nostro habitat naturale, ma utile all’arricchimento esclusivo di tycoon e multinazionali? E la colpa della crisi attuale, con la sua macelleria sociale, i suoi morti, i suoi suicidi, a chi la diamo? Agli operai, ai lavoratori? O non a quelle politiche di austerità, volute dalla Troika, per rassicurare i mercati e permettere a chi ne controlla di fatto l’andamento, di continuare ad arricchirsi? Mi pare che dietro a tutti questi casi, poi, ci sia quasi sempre il baluardo della democrazia mondiale: gli USA! Tutto questo, però, mi sembra meschino e controproducente. Resta il fatto che il Comunismo, pensiero filosofico, prima, e poi politicamente esperito nella prassi, resta l'idea migliore, secondo me, concepita dall'uomo in merito alle cose della politica. Preferisco, insomma, per dirla tutta, la dittatura del proletariato, che garantisce il benessere di molti, alla finta libertà democratica concessa da una dittatura finanziario-mediatica che sta massacrando, nel nome degli interessi di mercato e delle elite, le classi lavoratrici e i popoli di mezzo mondo.
Insomma, per farla breve, il Comunismo è stato e rimane un ideale che voleva, nella sua essenza filosofica basata sulla lotta di classe, dare, per la prima volta a tutti gli uomini, la stessa dignità, gli stessi diritti, le stesse possibilità di partenza, senza differenze di classe, di casta, di razza, di genere. Eh, già, perché ricordiamo anche questo: l’Internazionalismo era la sua bandiera, non certo il piccolo borghese, mediocre, limitato orizzonte nazionalistico! Un internazionalismo basato sullo scambio di culture, sulla reciproca collaborazione tra i popoli, sulla solidarietà senza assurde differenze di colore e di razza appunto. Non certo la globalizzazione selvaggia, in cerca di nuovi mercati da sfruttare, e capace di mettere gli uni contro gli altri i lavoratori di diversi paesi –ma anche all’interno di una stessa nazione- a causa del disuguale costo della manodopera, stabilito sulla differente crescita del PIL, sull’andamento dello spread o, peggio ancora, sul ricatto fondato, a sua volta, sul bisogno della gente di lavorare.
Or dunque e ciò detto, nonostante le immense difficoltà che il movimento Comunista si trova a vivere in questo momento, non solo in Italia, non si può abdicare ad una storia gloriosa come la nostra. Abbiamo il dovere di ripartire e ricostruire, sulle macerie, i nostri valori, la nostra politica in senso alto, le nostre dure lotte contro un modello di società iniquo ed elitario, all’interno del quale la dittatura della finanza sta massacrando la classe lavoratrice, i pensionati, i giovani, oramai derubati dell’idea stessa di futuro . Questo va fatto, certo, sulla scorta di quegli errori e di quegli insegnamenti che la realtà e il divenire stesso della storia hanno posto davanti ai nostri occhi e alle nostre intelligenze. Ma va fatto e perseguito con quella forza morale, anche nelle avversità, che è sempre stata la nostra qualità più alta. E va fatto alzando il livello del conflitto sociale e tornando a scontrarsi, nelle piazze, nelle fabbriche, sui luoghi di lavoro, con i nostri tradizionali nemici: i padroni. Anche in maniera dura, se necessario.
Basta, perciò, con le mere esigenze elettoralistiche e democratiste; basta con i cartelli elettorali, messi su confidando in un tradizionale elettorato che, orami, ci ha voltato le spalle. E basta con le derive legalitarie! Non si possono mettere insieme culture politiche lontane anni luce, svendendo, tra l'altro, il nostro orgoglio. Io sono e voglio rimanere Comunista! Il che, mi sia consentito ribadirlo ancora una volta, significa abbattere il sistema capitalistico/finanziario, combattere lo stato borghese, imporre -si imporre- la visione di un mondo che tenga conto del benessere di tutti a scapito del privilegio oligarchico. Ma per fare tutto ciò, c’è bisogno di tempo, di nuovi entusiasmi, e soprattutto di voglia di lottare. C’è bisogno, senz’altro, di un linguaggio politico nuovo, di nuove forme di comunicazione e di approccio alla realtà contingente. Ma sia ben chiaro, questo non vuol dire smarrire la nostra identità. Il che, è bene intenderci, significa non abbracciare quella socialdemocrazia –oggi tanto di moda a sinistra, vedi PD e SEL- che rappresenta lo svilimento piccolo borghese dell’ideale comunista, della Lotta di Classe e dell’operaismo. Anzi, noi dobbiamo recuperare, pur nel rinnovamento, la nostra stessa essenza rivoluzionaria. E per far ciò c’è bisogno, innanzitutto, di ripartire dalla riunificazione di tutte le forze comuniste, facendola finita con quella frantumazione assurda e irresponsabile, dovuta prima a questioni dogmatiche, quasi teologiche, poi a questioni di prassi politica e, in ultimo, a becere questioni personalistiche. Certo, sarà un percorso lungo e tortuoso, che dovrà tener conto, come sempre quando si tratta di noi, di spinte centrifughe, ma non credo si possa fare altro. Al di là di questo percorso, infatti, secondo me, c'è solo la definitiva pietra tombale.
In conclusione, dunque, propongo di rileggere questa riflessione di Mao, che mi sembra quanto mai idonea al caso:
"Il dogmatismo e il revisionismo si contrappongono entrambi al marxismo. Il marxismo deve necessariamente andare avanti, svilupparsi in ragione dello sviluppo della pratica, non può segnare il tempo. Se si facesse stagnante e stereotipato, non avrebbe più vita. Tuttavia, non si possono infrangere i principi fondamentali del marxismo senza cadere nell'errore. Considerare il marxismo da un punto di vista metafisico, come qualcosa di rigido, è puro e semplice dogmatismo. Negare i principi fondamentali e la verità universale del marxismo è revisionismo cioè è una forma di ideologia borghese. I revisionisti cancellano la differenza tra il socialismo ed il capitalismo, tra la dittatura del proletariato e quella della borghesia. Ciò che essi auspicano è di fatto non l alinea socialista, bensì la linea capitalista. Nelle presenti circostanze il revisionismo è ancora più nocivo del dogmatismo. Sul fronte ideologico ci incombe un compito importante: quello di criticare il revisionismo".
martedì 9 aprile 2013
IN ITALIA, UNA FAMIGLIA SU SEI VIVE CON 8.000 EURO ALL’ANNO. SOTTO LA SOGLIA DI POVERTA’
In Italia, ottava potenza mondiale -secondo i parametri dell'economia capitalista e mercatista- una famiglia su sei vive con circa otto mila euro all'anno. Questo, mi si consenta, vuol dire essere sotto la soglia di povertà. Significa che la società occidentale è tornata ad uno schema tipicamente ottocentesco, quando la forbice tra ricchi e poveri era insanabile. Da tempo, non siamo tutti uguali ai nastri di partenza, e questo si traduce, in campo scolastico e lavorativo, in una semplice equazione di carattere squisitamente elitario: se hai i soldi studi e puoi aspirare ad un lavoro decente, altrimenti il tuo sarà un destino da schiavo, per tutta la vita!
In questo quadro, poi, le conquiste della classe operaia e lavoratrice, sul versante dei diritti e dell'adeguamento dei salari al costo della vita, ottenute, nel corso del ‘900, con lotte dure e sanguinose, sono andate a farsi benedire, sotto la spinta incessante, aggressiva, autoritaria del modello di sviluppo ultraliberista. Un modello impostosi, oramai, da più di un trentennio nel mondo e che, negli ultimi dieci anni, ha prodotto un massacro sociale di dimensioni planetarie, non destinato ad arrestarsi e perpetrato, con violenza, dai governi e dalle istituzioni europee e statunitensi -Bce, Ue, Fmi, Banca Mondiale- che, ben lungi dal tutelare i popoli e gli strati sociali più bisognosi, salvaguardano, invece, gli interessi delle elite finanziarie, di cui sono servi.
Il tutto, mentre qui da noi –con Grillo- come in quasi tutta Europa con movimenti simili -degli States non parlo, visto che li la situazione è normalizzata da tempo immemore e considero la società americana un esempio acclarato di fascismo- l'unica cosa che si sa fare è prendersela con i politici e, peggio ancora, con la politica. Quasi fosse un’entità astratta ed estranea a noi cittadini. Ora, gli uni e l’altra saranno pure corrotti, incapaci, insensibili alle istanze del popolo, ma lo si vuole capire o no che sono la risultante inevitabile di un paradigma economico-sociale che ha messo al primo posto l'arricchimento personale, l'individualismo, il denaro come unica discriminante? Non si può uscire da una simile situazione di stallo, senza sovvertire completamente il sistema capitalistico. Non ci si può adeguare ad esso, senza esserne fagocitati. Il pericolo, sempre più imminente, come la Grecia e soprattutto l’Ungheria ci dimostrano, è l’instaurazione di regimi autoritari e fascisti, al solo scopo di garantire i mercati e la loro avidità speculativa. La bestia mercatista va abbattuta, non ridimensionata. E questo, come la storia ci ha insegnato, lo si può ottenere solo con una Lotta di Classe senza quartiere e, se necessario, cruenta, per l'instaurazione di una società Comunista. Diceva Che Guevara: «Adesso sapevo... sapevo che nel momento in cui il grande spirito che governa ogni cosa darà un taglio netto, dividendo l'umanità intera in due sole parti antagoniste, io starò con il popolo. E lo so, perché lo vedo impresso nella notte, che io, eclettico sezionatore di dottrine e psicoanalista di dogmi, urlando come un ossesso, assalterò barricate o trincee, tingerò di sangue la mia arma e, come impazzito, sgozzerò ogni nemico mi si parerà davanti». Ecco, si può e si deve stare solo con il popolo, a qualunque costo. A costo anche della propria vita!
W IL COMUNISMO. W LA LOTTA DI CLASSE!
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