Rothko Chapel

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"L'estensione logica del business è l'omicidio!" (D. Cronenberg)

venerdì 23 maggio 2014

L’IPOCRITA INDIGNAZIONE DEL PD



Nel PD, si sono molto risentiti perché Grillo, paragonandosi a Berlinguer, si è fatto portare in braccio sul palco, da Di Battista, dichiarando, poi, che il M5S è l'erede di quel PCI e della questione morale. "Grillo si sciacqui la bocca prima di parlare di Berlinguer", ha detto in tono accorato e sprezzante Renzi. Beh, io non sono certo tra quelli che amavano Berlinguer, per tanti, troppi motivi ma, proprio per questo, ritengo che una cosa possa dirla, in estrema franchezza. Se Grillo deve sciacquarsi la bocca, prima di pronunciare il nome di Berlinguer -la cui politica, per inciso, non si ridusse alla sola questione morale: questo dovrebbero tenerlo presente un po’ tutti- allora il PD dovrebbe, nella maggioranza dei suoi esponenti, sottoporsi ad un rogo purificatorio. Vediamo: hanno votato per l'abrogazione dell'articolo 18; hanno votato per l'inserimento del fiscal compact in costituzione: la misura più criminale che dei politici di sinistra potessero avallare in questo momento di crisi; hanno votato la riforma delle pensioni Fornero; quando c'è da prendere decisioni cruciali sui temi del lavoro, sono sempre dalla parte dei padroni e dell'impresa; ritengono la rappresentanza sindacale un intralcio: come Grillo, del resto; sono per le privatizzazioni; votano i decreti e le misure salva banche; sono a favore della TAV; e, ciliegina sulla torta, si fanno arrestare per corruzione. Altro che questione morale! Potrei continuare, ma mi fermo.
Berlinguer, che di errori ne ha commessi tanti, a partire dal compromesso storico, era contrario alla trasformazione del PCI in forza socialdemocratica. Lo dichiarò, durante una famosa direzione del partito, attaccando proprio l'attuale presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, capo della corrente migliorista e noto agente al soldo della CIA. Ora, potremmo star qui a discutere sul significato di quella affermazione a lungo. In molti, all'epoca, ritenevano che il PCI fosse già su quelle posizioni e, a mio parere, avevano molta ragione. Ma una cosa va detta: Berlinguer aveva dei valori ben radicati nella tradizione e nella storia comunista. Oggi, dunque, credo che, nell'ascoltare i parlamentari del PD e nel considerarne i comportamenti, chiederebbe innanzitutto a loro di "sciacquarsi la bocca", prima di pronunciare il suo nome. Questi sono oltre la socialdemocrazia. Oltre il liberal-liberismo. Oltre lo stesso Capitale. Hanno abbracciato in pieno la dittatura del mercato!!!
Chiudo con una postilla. Stamattina, ho avuto modo di vedere un militante del PD vestire una maglia con su l'effige di Lenin. No dico, Lenin?! Lenin, il rivoluzionario. Lenin, che guidò la rivoluzione d'ottobre; Lenin, che instaurò quel comunismo dei cui principi il PDS-DS-PD ha fatto piazza pulita, tradendoli senza vergogna. E allora, per cortesia, amici della base PD. Se Grillo deve "sciacquarsi la bocca" prima di pronunciare il nome di Berlinguer, voi tenete giù le mani da Lenin. Non vi appartiene e mai vi apparterrà!

LETTERA IMMAGINARIA ALL’AMATO PASOLINI. CARO PIER PAOLO, SU VALLE GIULIA SCRIVESTI UNA CAZZATA

Caro, amato Pier Paolo,
all’indomani della cosidetta Battaglia di Valle Giulia, del 1° Marzo 1968, in cui studenti e Forze dell’Ordine si trovarono faccia a faccia e si scontrarono con una durezza fino ad allora impensabile, tu scrivesti, ne “Il PCI ai giovani”, queste parole: «Avete facce di figli di papà. Vi odio come odio i vostri papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete pavidi, incerti, disperati (benissimo!) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati: prerogative piccolo-borghesi, cari. Quando ieri, a Valle Giulia, avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti. Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da sub utopie, contadine o urbane che siano. Quanto a me, conosco assai bene il loro modo di esser stati bambini e ragazzi, le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui, a causa della miseria, che non dà autorità. La madre, incallita come un facchino, o tenera per qualche malattia, come un uccellino; i tanti fratelli; la casupola tra gli orti con la salvia rossa (in terreni altrui, lottizzati); i bassi sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi caseggiati popolari, ecc. ecc. E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida, che puzza di rancio, furerie e popolo. […]Peggio di tutto, naturalmente, è lo stato psicologico cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più sorriso, senza più amicizia col mondo, separati, esclusi (in un tipo d’esclusione che non ha uguali); umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare) Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia. Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete![…]». E più avanti: «Blandamente, i tempi di Hitler ritornano: la borghesia ama punirsi con le sue proprie mani.[…]Occupate le università ma dite che la stessa idea venga a dei giovani operai. E allora: Corriere della Sera e Stampa, Newsweek e Monde avranno tanta sollecitudine nel cercar di comprendere i loro problemi? La polizia si limiterà a prendere un po’ di botte dentro una fabbrica occupata? Ma, soprattutto, come potrebbe concedersi un giovane operaio di occupare una fabbrica senza morire di fame dopo tre giorni? E andate ad occupare le università, cari figli. Ma date metà dei vostri emolumenti paterni, sia pur scarsi, a dei giovani operai perché possano occupare, insieme a voi, le loro fabbriche. Mi dispiace. È un suggerimento banale; e ricattatorio. Ma soprattutto inutile: perché voi siete borghesi e quindi anticomunisti. Gli operai, loro, sono rimasti al 1950 e più indietro. Un’idea archeologica come quella della Resistenza[…]». Ed infine: «Abbandonando il linguaggio rivoluzionario del povero, vecchio, togliattiano, ufficiale Partito Comunista, ne avete adottato una variante ereticale ma sulla base del più basso idioma referenziale dei sociologi senza ideologia. Così parlando, chiedete tutto a parole, mentre, coi fatti, chiedete solo ciò a cui avete diritto (da bravi figli borghesi): una serie di improrogabili riforme, l’applicazione di nuovi metodi pedagogici e il rinnovamento di un organismo statale. I Bravi! Santi sentimenti! Che la buona stella della borghesia vi assista! Inebriati dalla vittoria contro i giovanotti della polizia, costretti dalla povertà a essere servi, e ubriacati dell’interesse dell’opinione pubblica borghese (con cui voi vi comportate come donne non innamorate, che ignorano e maltrattano lo spasimante ricco) mettete da parte l’unico strumento davvero pericoloso per combattere contro i vostri padri: ossia il comunismo».
Dunque, sono trent’anni che litigo per questa tua poesia, mio adorato Pier Paolo. E devo dirtelo. Sbagliasti a dirle, certe cose. Sbagliasti a pensarle. E sbagliasti a scriverle. Proprio sul Corriere della Sera, poi: il giornale simbolo di quella cultura borghese, dalla quale accusavi i contestatori di essere plasmati. Insomma, caro Pier Paolo: scrivesti una cazzata. E la tua analisi, ancor prima che quella sugli studenti quella sulla classe operaia, si rivelò errata. Le fabbriche, gli operai le occuparono, mettendo a rischio non solo lo stipendio ma il posto di lavoro. Molti di loro, la Lotta di Classe e la Rivoluzione, in quel momento, la volevano, la sognavano e la cercarono, accanto agli studenti. Quel movimento, pertanto, si rivelò tutt’altro che anticomunista ma profondamente in linea con i principi rivoluzionari del marxismo. Molti di quei giovani, qualche anno dopo, l’avrebbero attaccata la magistratura, e addirittura avrebbero fatto tremare lo Stato; pagando poi, anche con la vita e la galera, le proprie scelte. Scelte che non possiamo proprio classificare come borghesi, caro Pier Paolo. Non ti pare?
Certo, qualcuno di quelli che avevano preso parte al movimento, in un secondo momento –quando il sogno rivoluzionario sembrò svanire- si fece travolgere, e ben volentieri, dall’ondata di riflusso degli anni ’80, ritirandosi nella sfera privata e nel disimpegno. E qualcuno, oggi, occupa anche posti di notevole prestigio, dichiarandosi, impunemente e vigliaccamente, anticomunista della prima ora. Ma l’anima e la coscienza più intime e più reali, di quel movimento, furono senz’altro marxiste e sinceramente rivoluzionarie. Insomma, il fatto che, a quella stagione, abbiano preso parte i Ferrara, i Liguori, i Cacciari, i Galli della Loggia, i Mieli, i Mughini, e tanti altri che, oggi, ci ritroviamo dalla parte del potere borghese, anche quello più reazionario, non toglie nulla ad un movimento che, nella gran parte, era composto da figli di operai, di contadini e da coloro, insomma, che sono ascrivibili tra quegli ultimi, che anche tu, da comunista, difendevi. Chi mostrò, invece, tutta la sua debolezza e la sua essenza antirivoluzionaria, fu proprio il PCI, cui pure tu non risparmiavi critiche. La Resistenza, lungi dall’essere un’idea archeologica, era un sentimento ancora vivo nei cuori del proletariato, del bracciantato e della classe operaia, costretti, come sempre, ad elemosinare diritti ed a lottare contro i padroni. Essi si sentirono traditi, dopo il ’45. Possiamo biasimarli? Alla luce degli eventi e della Storia, non possiamo. Quel riformismo di cui parli, difatti, finì con l’abbracciarlo il PCI. Il pensiero borghese, di cui accusavi il movimento di essere il frutto, finì con l’assumerlo il PCI. Cosa avrebbero dovuto fare studenti di scuole ed università prede di una cultura vecchia, moralista, disciplinare, classista, e operai e braccianti senza diritti? Presero esempio dalle lotte del passato e dai racconti sulla Resistenza, che ascoltavano in famiglia, e si scagliarono contro lo Stato ed il conformismo benpensante della società dell’epoca. Uno Stato ed una società, tra l’altro, in cui tornava a serpeggiare, pericolosamente, l’idea della svolta autoritaria e perfino fascista. I tentativi di golpe, in Italia, furono tanti, in quel periodo. Chi meglio di te può saperlo?! Scusa, dunque, se mi permetto di contraddirti, mio amato Pier Paolo!
Tu dipingesti, inoltre, i poliziotti come vittime del sistema. Ammettiamolo: su questo ti sbagliavi ugualmente e, anzi, fu il tuo errore più grave. Certo, anche tra polizia e carabinieri c’erano e ci sono, oggi come ieri, i figli degli strati sociali più poveri, della classe operaia e lavoratrice. E allora? Non è che essere figli del popolo ed essere vissuti nelle condizioni tipiche del sottoproletariato urbano possa rappresentare, di per sé, una scusante per tutto. Capisco la tua compassione –dettata anche dal tuo controverso ed intimamente lacerante sentimento cattolico- ma non la condivido. Nella vita, si compiono delle scelte. Il sistema è certamente invasivo, oppressivo e manipolatorio, e spesso di scelte ne lascia poche; ma ognuno di noi ha –o dovrebbe avere- un’intelligenza, una coscienza e una propria morale. C’è chi decide, per sfamarsi, di fare lo sbirro e chi di fare l’operaio, l’imbianchino o il netturbino. A me, ad esempio, che pure ho grandi difficoltà lavorative e ho qualche parente nelle fila dell’ordine costituito –sono di estrazione borghese e il padre di mia madre era addirittura un fascista, compensato però dall’altro nonno, responsabile della camera del lavoro di Napoli- non verrebbe mai in mente di vestire la divisa. Anzi, con coloro che la indossano ho avuto ed ho qualche problema. Ma queste, caro Pier Paolo, sono amene divagazioni personali. Torniamo al punto. 
Tu definisti poliziotti e carabinieri vittime, quasi innocenti, del sistema. Vessati ed in condizioni psicologiche drammatiche e quasi al limite. Avendoli visti e vedendoli in azione, sinceramente non posso condividere. Viceversa, io li definirei volontari al servizio della repressione. Questione di punti di vista, caro Pier Paolo. Permettimi di ricordarti, però, che la deresponsabilizzazione è pericolosissima. Nella Germania nazista, fu la prassi; e a Norimbrega, i gerarchi, a propria difesa, invocarono il dovere dell’obbedienza agli ordini. La polizia italiana -quella degli Scelba, dei Tambroni, dei Rumor, dei Restivo, dei Cossiga- in quegli anni, sparava ad altezza d’uomo. Tante furono le stragi ed i morti lasciati, nel dopoguerra, sulle strade: operai, contadini e studenti. Vogliamo ricordare, un esempio su tutti, l’eccidio di Avola? A Valle Giulia –come in altre parti d’Italia- ci si ribellò anche a questa infamia. C’era chi giocava a fare la rivoluzione, forse, non discuto. Ma c’era anche chi sentiva quelle morti come un fatto personale, un’intima ferita, e decise di ribellarsi alla violenza del regime. D’altronde, erano i loro padri e i loro fratelli a versare sangue sul selciato. 
Infine, non devo certo essere io a ricordarti, mio amato Pier Paolo, che, a quel tempo, la saldatura tra le forze dell’ordine, l’MSI e la galassia neofascista e neonazista era completa. E ciò, malgrado che agli scontri di Valle Giulia avessero preso parte anche Primula Goliardica ed un tal Stefano Delle Chiaie, capo di Avanguardia Nazionale, poi implicato in tanti fatti legati alle cosiddette “trame nere”, tra cui il Golpe Borghese. Quella saldatura, tra forze dell’ordine e neofascismo, c’era e continuò per tutti gli anni a venire. Basti pensare alla Strage di Piazza Fontana, dove troviamo invischiati Freda, Ventura, Giannettini, accanto a capi del SID, come Maletti e La Bruna: delle responsabilità di quest’ultimo, parlò addirittura Andreotti, in un’intervista a Massimo Caprara, nel 1974. Oppure –per fare solo un esempio- al comportamento, ignobile e criminale, tenuto dalla polizia, la sera in cui Walter Rossi, militante di Lotta Continua, venne ucciso fuori la sede del MSI, di Viale Medaglie d’Oro, a Roma, da Alibrandi e Cristiano Fioravanti. Non solo un loro gippone fu visto praticamente fare da scorta ai fascisti ma, quando Walter fu colpito, alla richiesta dei compagni, che chiedevano di chiamare un’ambulanza via radio, opposero uno sprezzante “non abbiamo la radio”. Queste non sono vittime innocenti. Sono assassini al soldo dei padroni e lieti di esserlo.
Oggi come allora, restano servi del sistema, la cui azione repressiva esercitano spesso con piacere. Non mi pare sia cambiato molto. Le morti di Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Carlo Giuliani ed altri, stanno lì a testimoniarlo. Ma tu, questo, mio amato e compianto Pier Paolo, non puoi saperlo. Di una cosa sono però certo. Se non fossi morto, vittima di quella società moralistica, borghese e cattofascista, che non ti amava ed era costretta a tollerarti per la grandezza del tuo genio, oggi avresti rivisto criticamente quella posizione e saresti d’accordo con me.
Un abbraccio pieno d’amore. E che la terra ti sia lieve per l’eternità, caro, adorato, compagno Pier Paolo.

giovedì 15 maggio 2014

AL DI LÀ DEL BENE E DEL MALE: LA PERVERSA MORALE DEL POTERE E LA PUREZZA DELL’ATTO RIVOLUZIONARIO



«Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato». GEORGE ORWELL (1984)

In un’intervista, rilasciata alcuni giorni fa al Corriere di Romagna, in occasione della presentazione del suo ultimo romanzo “Lascia che il mare entri”, Barbara Balzerani, scrittrice, ex militante delle Brigate Rosse, che ha pagato le sue scelte con 30 anni di carcere duro e senza mai pentirsi, dice: «Il vincitore, oltre alla resa, pretende tutte le ragioni e fa della ricostruzione storica un’arma per l’esercizio del suo potere. Infatti, la nostra vicenda è stata talmente trasfigurata e decontestualizzata che viene usata come deterrente per il presente. Come se l’ipotesi stessa del conflitto sociale abbia esaurito la sua legittimità una volta e per sempre. La mia scrittura non può che partire da qui perché la storia dell’insorgenza degli anni ’60 e ’70 è il prodotto di violenza, illibertà e ingiustizie di antica memoria. Le responsabilità politiche di chi ha governato questo paese, anche con le stragi, e di chi se ne è fatto alleato, ne hanno costituito le ragioni. Io non intendo cercare giustificazioni per le mie scelte ma neanche darne a nessuno». E poi, di seguito: «Nella sostanza, sono ignorata dalla critica letteraria e ai margini del mercato editoriale, quando non direttamente sanzionata per la mia presunzione di esistenza in vita, ossia con facoltà di parola. Ma non mi lamento, voglio solo scrivere per chi, come me, soffre la povertà dei valori oggi dominanti, che fanno del mercato di tutto e di tutti la misura del bene e del male». Dunque, prendo spunto da queste parole per proporre delle brevi riflessioni sul Potere, le sue logiche, i suoi strumenti di controllo, la sua implicita morale e sull’imprescindibilità, dolorosa ma necessaria, dell’atto rivoluzionario, essenzialmente di matrice marxista e finalizzato proprio al sovvertimento del potere in questione. Ma procediamo con ordine.
Come ho più volte ribadito, non tollero i moralismi e ho sempre considerato Il Bene e il Male categorie, morali appunto, mai assolute ma sempre cangianti e, soprattutto, il prodotto di un’epoca, di un periodo storico, di una cultura dominante e della società da essa plasmata. Scriveva Foucault in “Sorvegliare e Punire”: «L’individuo è senza dubbio l’atomo fittizio di una rappresentazione “ideologica” della società, ma è anche una realtà fabbricata da quella tecnologia specifica del potere, che si chiama “la disciplina”. Bisogna smettere di descrivere sempre gli effetti del potere in termini negativi: il potere produce; produce il reale; produce campi di oggetti e rituali di verità. L’individuo e la conoscenza che possiamo assumerne derivano da questa produzione». Stando, dunque, a quanto dice Foucault, il potere produce innanzitutto sovrastrutture, morali e culturali, codici di comportamento, simboli, linguaggio e, di conseguenza, senso. Ecco, il potere produce senso e quindi, com’è facile comprendere, determina la differenza –storica e culturale- tra il Bene e il Male, tra ciò che è legale e ciò che non lo è, tra lecito e illecito, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. In una parola, stabilisce e precisa l’ethos all’interno di una società e di un particolare momento storico. Ne deriva che una delle principali peculiarità e finalità del potere –e specifichiamo che, quando Foucault parla del potere, si riferisce a quello dello stato borghese e liberale- risiede in ciò che egli definisce governamentalità, concetto che racchiude in sé quelli di sovranità e disciplina, affermatosi in Occidente proprio con la nascita del liberalismo e che, inequivocabilmente, conduce ad una gestione analitica, economica e disciplinare appunto delle masse. Con l’avvento dello stato liberale, insomma, siamo entrati nell’era della biopolitica e del biopotere. Del resto, secondo il filosofo e psicologo francese, tra la nascita del capitalismo e l’instaurazione del potere disciplinare esiste una causalità irriducibile e biunivoca: ciascuno dei due fenomeni ha alimentato l’altro e nessuno dei due avrebbe potuto mai assumere le proporzioni che ha assunto se non si fosse potuto poggiare sulle acquisizioni e sugli effetti dell’altro.
Ci sono momenti, però, in cui i codici morali, prodotti dal potere vigente, possono e anzi devono essere sovvertiti, nel nome di una più intima morale, di una più complessa , particolare e meno conformista idea di Bene e di Male. Sono i momenti rivoluzionari, di ribellione alle regole, così come ci vengono dettate dall’autorità, sia essa paterna o statale; i momenti di sovvertimento dell’ ordine personale, familiare, politico e sociale; quei momenti che determinano un salutare slittamento, proprio di quel senso morale, su terreni di valutazione, al tempo stesso, più ampi, poiché ci permettono di considerare la nostra soggettività all’interno della dimensione sociale e della scala valoriale in cui ci troviamo a vivere e ad agire, e più individuali, giacché ci consentono di comprendere quanto quella stessa dimensione, sociale e morale, ci stia cambiando o ci abbia già cambiato, snaturandoci e alienando la nostra essenza ed umanità . è ciò che Nietzsche -filosofo controverso e spesso frainteso, a destra come a sinistra- chiamava trasvalutazione dei valori.
Ora, assumiamo questo concetto e trasferiamolo su un terreno prettamente politico. Mi spiego. Il singolo individuo o il gruppo sociale –come viene giustamente evidenziato da Deleuze e Guattari ne “L’Anti Edipo. Capitalismo e Schizofrenia- non sono altro che la risultante di quei rapporti di forza, di quella struttura economica e di quella cultura/morale dominante all’interno del sistema di produzione “capitalistico”, il cui potere si fonda, sostanzialmente, sulla fabbricazione della paura e sul controllo del soggetto desiderante e del desiderio stesso; per giungere fino alla repressione dei desideri inconsci a scopi di normalizzazione sociale. Il desiderio però, afferma Deleuze, è una rivendicazione di libertà assoluta e, dunque, lo si può interpretare nel senso di istanza rivoluzionaria. Se ciò è vero, cosa c’è di più rivoluzionario, allora, del desiderio di cambiare il mondo? Di sovvertire quell’ordine costituito e repressivo che, da sempre, nell’incessante dialettica dei fenomeni storici, ha visto gli oppressi soccombere ai loro oppressori e alle forme di potere da questi instaurate? Siano essi monarchi, imperatori, aristocratici, oligarchi, dittatori o borghesi. Tutto è politico, dicono ancora Deleuze e Guattari e pertanto lo è, a maggior ragione considerando ciò che si è detto finora, il desiderio. Ma una rivoluzione che voglia essere veramente tale –dunque, fondamentalmente politica, nel significato etimologico del termine- non può certo limitarsi ad un singolo soggetto e ad una trasformazione personale, ancorché profonda. Ha bisogno di interconnettere soggettività pervase dagli stessi desideri rivoluzionari.“Cambia te stesso e cambierai il mondo”, mi è sempre suonato come un bellissimo concetto, ma essenzialmente banale, venato di misticismo ed imbevuto di quell’individualismo che finisce, poi, per fare sempre il gioco del potere. Una Rivoluzione, quindi, così come la si vuole intendere in questa sede, quand’anche guidata da un’avanguardia, deve necessariamente coinvolgere le masse, consapevoli del loro ruolo di forza rivoluzionaria, ed aggredire radicalmente, sovvertendole, le strutture del potere e dell’ordine costituito, contro cui si scaglia e lotta. E questo può implicare, e spesso anzi ha implicato, nel corso della Storia, l’utilizzo di mezzi non certo pacifici.
Ebbene, pur senza voler fare qui un’apologia della violenza fine a sé stessa, è un dato di fatto che essa sia stata e sia una presenza costante nello svolgersi dinamico della storia: nel duplice significato di fattore genetico della società classista, in particolare di quella borghese, e come forza generatrice di nuove società. Ed è quest’ultimo passaggio che c’ interessa, in tale contesto. Negarlo, significherebbe negare il dato stesso dell’esperienza che la storia ci fornisce. Scriveva Marx: «La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe». In queste parole del Manifesto è già ravvisabile la concezione marx-engelsiana di violenza, che parte dalla constatazione della sua esistenza nella società e nella storia, e più precisamente nel rapporto economico. Essa non dipende da una scelta soggettiva o politica, ma dal fatto che la società divisa in classi, e soprattutto la società borghese, è fondata sull'antagonismo tra forze e mezzi di produzione, tra proprietà privata e produzione sociale. La violenza, insomma, come «levatrice della storia». Ecco quindi che il marxismo, pur ponendosi, come obiettivo finale da conseguire, la pace, non espelle, ipocritamente direi, l’utilizzo della violenza come strumento di realizzazione di quei valori di Libertà, Giustizia Sociale ed Uguaglianza, in opposizione all’autocrazia, al servaggio della gleba o, in tempi più recenti, all’oppressione, al dominio di una classe su un’altra, all’elitarismo sociale impliciti, come si accennava già in precedenza, al regime capitalistico. Fintantoché, quindi, la società sarà divisa in classi ed il capitale, finanziario e monopolistico, imporrà le sue regole per permettere sempre più la concentrazione, nelle mani di pochi, di grandi ricchezze, sussisteranno l’imperialismo -cioè il capitalismo al suo più alto grado di sviluppo, per citare Lenin- e lo sfruttamento, più o meno violento ed autoritario, di quello che, oggi, viene ignobilmente definito “il capitale umano” –formula che sintetizza alla perfezione il concetto mercantile di reificazione, esteso all’uomo- e delle risorse naturali, mediante guerre colonialistiche. Accentramento delle ricchezze, sfruttamento del lavoro e dominio coloniale che le borghesie imperialiste –prime fra tutte quelle USA ed europee- si sono garantite e continuano a garantirsi grazie alla complicità delle cosiddette democrazie liberali e dei loro governi, di cui, tra l’altro, sono i maggiori azionisti; alla repressione feroce del dissenso, specie se di indirizzo marxista, fino a giungere alla criminalizzazione terroristica delle frange più radicali e per loro più pericolose; all’attuazione di politiche economiche, di modello liberista e neoliberista, manipolate da lobby, comitati d’affari e banche; grazie alla correità di quegli organismi politico-economici, creati d’altronde dalle stesse borghesie, aventi dimensione internazionale: FMI, Banca Mondiale, BCE, UE, agenzie di rating ecc; ed infine, con l’utilizzo mirato di guerre di stampo coloniale, ignobilmente mascherate, oramai, da missioni di pace o da benefici processi di esportazione democratica. Mistificazioni volte a celare il vero ed unico obiettivo: la globalizzazione dei mercati e delle forze lavoro da mungere. Fintantoché saranno questi i principi regolatori delle nostre esistenze non si potrà parlare, dunque, di pace, né in un’ottica internazionale né in seno ai singoli paesi, ed il conflitto sociale, esteso o circoscritto, non soltanto sarà ineluttabile, ma necessario ed imprescindibile. E’ questo che, prima Marx e, in un secondo momento, Lenin -con “Il socialismo e la guerra”- intendevano circa l’utilizzo della violenza. Essa può e deve essere esclusivo strumento rivoluzionario di difesa contro l’aggressione e l’oppressione, classista ed imperialista, di quella borghesia che, per mantenere i propri privilegi, il potere di controllo ed accumulare sempre maggiori ricchezze, non disdegna qualunque mezzo: dallo sfruttamento generico al più vessatorio schiavismo –ormai tornato di attualità- dalla semplice repressione, entro i patri confini, all’allargamento, su scala mondiale, dei conflitti regionali o della guerra. Di fronte ad una situazione siffatta, appare evidente che parlare di pacifismo o di pacificazione sociale risulta quanto meno illusorio, quando non voglia dire perfino tollerare ed assecondare la pratica della violenza classista e padronale. Il pacifismo –meglio sarebbe definirlo moda o epifenomeno culturale, dettato dall’omologante pensiero dominante- ha assunto, oggi come non mai, connotazioni chiaramente borghesi e funzionali al sistema. Viviamo in “regimi democratici” in cui si invoca il pacifismo ad ogni manifestazione, ma in cui si accetta e si pratica volentieri, viceversa, l'uso della violenza statuale da parte delle Forze dell'Ordine. Pertanto se, come si diceva più sopra, il fine ultimo del marxismo e di una società comunista deve essere la pace, non si può invocare, di contro, il pacifismo quando la violenza delle classi dominanti si manifesta in tutta la sua spietatezza e non lascia, il più delle volte, altra soluzione che una risposta altrettanto violenta. è doloroso ammetterlo, ma è così. Cos’è, d’altronde, la Lotta di Classe se non il punto cruciale di un conflitto sociale, con cui la classe lavoratrice tenta di conquistare o riconquistare, attraverso ogni mezzo e spesso a prezzo della vita, quei diritti che lo stato liberale e il padronato mirano a sottrargli, o quanto meno a limitare, con strumenti legislativi o mediante la repressione violenta delle lotte per l’acquisizione di quei diritti?
Fatte tali premesse, si comprenderà perciò che se non uccidere è, o dovrebbe essere, prima ancora che una prescrizione giuridica, un imperativo etico e non scritto, risiedente nel nostro sentimento di umanità, uccidere un oppressore, un aguzzino, un tiranno, un criminale affamatore e sfruttatore del popolo, può essere, anzi è senz’altro, in una prospettiva rivoluzionaria, giusto. Se rapinare una banca è, secondo la legge, sbagliato, rapinare una banca, responsabile del disastro economico in cui ci troviamo ad arrancare e del massacro sociale in atto, di cui pagano il prezzo i più poveri, può diventare, inquadrato nell’ottica rivoluzionaria, giusto. Il nazismo era legale e legali erano il suo razzismo, i suoi massacri, le sue camere a gas, in base alle leggi vigenti nel III Reich. Ma ciò non vuol dire che fossero giuste e coincidessero con l’idea di Bene, non dico assoluta o ontologica ma neanche con quella empirica e comunemente avvertita. Quindi, era giusto sovvertirlo, quel potere, e ucciderne il Fuhrer. Si tratta, in tutti questi casi, come può essere facile intuire, di gesti rivoluzionari che trascendono la mera categoria politica e affondano le loro radici in qualcosa di ben più profondo, come l’istinto di sopravvivenza e la dignità della propria stessa esistenza. è il sogno, necessario e vitale, di un mondo diverso, di una società diversa, di un diverso modo di intendere i rapporti umani, che s’impone in questi casi.
In tal senso, l’“Atto” rivoluzionario -per riprendere il concetto di atto elaborato da Carmelo Bene- è un momento sublime, di sospensione del tempo storico a favore di un presente “eterno” che si condensa nella Bellezza, seppur terribile, e nella Purezza, oserei dire quasi fanciullesca, del gesto rivoluzionario. La Storia e la linearità del tempo si annullano nel compiersi di quel gesto, lasciando il posto all’ebbrezza del godimento immediato del desiderio sovversivo. Si badi bene: qui non si parla di una qualunque forma rivoluzionaria, ma di quella di matrice marxista. Ci troviamo in una dimensione simile a quella che Bataille definisce, nella postfazione di “Lettera al padre”: «L’universo gioioso di Kafka». In un tale universo, l’innocenza del desiderio ed il sogno fanciullesco della Rivoluzione –la borghesia lo definirebbe romantico- coincidono, fatalmente, con il desiderio di morte. E già, perché chi intraprende quel cammino finisce per assecondare, consapevolmente o meno, quell’intimo desiderio di morte che pervade ogni essere umano. Ma lo fa, a differenza di Kafka, ponendosi un duplice obiettivo: la distruzione del potere, borghese ed oppressivo, e la liberazione personale e di altri esseri umani. Diceva Che Guevara: «Il guerrigliero è un riformatore sociale, che prende le armi rispondendo alla protesta carica d'ira del popolo contro i suoi oppressori, e lotta per mutare il regime sociale che mantiene nell'umiliazione e nella miseria tutti i suoi fratelli disarmati»; e ancora: «Lasciami dire, a rischio di sembrare ridicolo, che il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d'amore». Negli anni ’70, un gruppo di compagne e di compagni, giovani donne e giovani uomini, tra cui Barbara Balzerani, assunse su di sé questo arduo compito e questo sogno rivoluzionario. Lottarono, come altri in altri paesi, nello stesso periodo, per la liberazione di un popolo –nel loro caso, quello italiano- dalle avvilenti catene del capitalismo, dalle sue logiche mercantili, dallo sfruttamento e dalla riduzione a merce degli stessi esseri umani. Furono sconfitti, probabilmente prima ancora che dallo stato borghese, da un loro stesso errore di valutazione politica –non certo di analisi- e dalla mancanza di prospettiva di chi avrebbe dovuto seguirli, e che loro speravano li seguissero: il proletariato, la classe operaia e, perché no, quel gruppo dirigente del PCI che intendevano ridestare dal torpore in cui era piombato. Non ci riuscirono e allora la giustizia “democratica” e borghese li prese e li gettò in galera, bollandoli come terroristi. Termine ambiguo, se pronunciato da governi e uomini politici che del terrorismo e della paura hanno fatto la prassi per il loro dominio. L’obiettivo era annientarne la forza e cancellarne addirittura la memoria, strumentalizzando quegli eventi per controllare il presente e per destituire di fondamento l’idea stessa di conflitto sociale, di lotta di classe, di opposizione e di dissenso. Bisognava sradicarli, una volta e per sempre, facendo passare l’equazione dissenso-conflitto uguale terrorismo; comunismo uguale barbarie. è la stessa Barbara Balzerani a dichiararlo, più o meno esplicitamente, nell’intervista citata all’inizio. E noi, ne abbiamo un esempio quasi tutti i giorni, oramai, con la repressione di ogni contestazione, messa in atto dallo stato, oggi come allora, attraverso l’utilizzo delle forze dell’ordine. Oppure, basta considerare cosa sta accadendo in Val di Susa, con le inchieste della magistratura che accusano alcuni attivisti del Movimento NO TAV –e persino lo scrittore Erri De Luca- di terrorismo.
Ma Barbara Balzerani va oltre, denunciando addirittura quello che è il tentativo di annichilimento totale, messo in atto dal potere “democratico” del liberale stato italiano, dai suoi intellettuali e dai suoi gendarmi del decoro, nei confronti suoi e di chi, come lei, ha preso parte all’esperienza della lotta armata. Una volta scontata la pena, il peso del passato deve incombere come un macigno morale su di loro e, quindi, bisogna ridurli al silenzio. «Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato», affermava George Orwell in 1984. Ma Barbara non ci sta e scrive. Scrive della sua vita e delle sue esperienze; della lotta armata e del carcere. E i giovani l’ascoltano, perché intuiscono che ha qualcosa da dire e da insegnare, in un mondo in cui a dominare sono solo il denaro ed il mercato; in cui, come detto, noi stessi siamo ridotti a pura merce di scambio. Questo diritto di parola non può esserle negato e noi glielo riconosciamo tutto. Per l’ordine costituito, la Balzerani è stata e resta una terrorista rossa. Per noi, compagni e comunisti, Barbara è stata una combattente per il comunismo e per gli ideali di libertà. Prima di tutto, però, Barbara è una cittadina, una donna che ha pagato la sua pena, secondo le leggi di questo stato, ed ora è libera. Libera di vivere, libera di scrivere, libera di parlare. E come dice Majakovskij: «Nostra arma sono le nostre canzoni. Nostro oro sono le voci squillanti». 

sabato 10 maggio 2014

LETTERA APERTA AD UN SOSTENITORE DELLA CAUSA A 5 STELLE

Caro amico, mi dici che non ti viene da ridere quando leggi la mia ironia rivolta ai 5Stelle. E allora ti rispondo.
Sapessi quanto viene da ridere a me quando sento alcuni grillini gridare slogan come "Boia chi molla"; "Vinciamonoi" -che mi riporta alla mente il "Vincere e vinceremo" mussoliniano; oppure quell' "In alto i cuori", che prende le mosse dell'inno delle SA naziste di Rhom, poi adottato dlla X MAS di Junio Valerio Borghese, durante la Repubblica Sociale di Salò. Il testo recita: "In alto i cuori, in alto i gagliardetti, serriamo i ranghi è l'ora di marciar". Oppure quando sento la Lombardi parlare di fascismo buono; Grillo fare discorsi razzisti, o perlomeno ambigui, a scopi elettoralistici, sull'immigrazione; o qualcun altro affermare che l'articolo 18 sia un'aberrazione; o, peggio, che i sindacati andrebbero aboliti. Io sono, com’è noto, per un sindacato di classe, capace cioè di alzare il livello del conflitto sociale e quello dello scontro con il padronato, all’interno dei rapporti e delle dinamiche Capitale-Lavoro; non sono certo, quindi, favorevole ad un sindacato concertativo, come si è venuto configurando a partire dagli anni ’90. Se ne dedurrà che la triplice e la CGIL, così come sono, non godono affatto del mio favore. Grillo, però, vorrebbe un sindacato all'americana. Un sindacato che conciliasse gli interessi padronali con quelli degli operai. Che annullasse -ma del resto ci ha già pensato, sul terreno della prassi politica, la CGIL in questi anni- la Lotta di Classe, anche sul piano teorico e culturale. Al mio paese, questo, si chiama corporativismo. E sappiamo tutti, se abbiamo studiato un po’ di storia, che matrice ha il corporativismo. Ma tu, egregio amico, mi parli di rivoluzione possibile. Mi paragoni Grillo a Mao. Siamo all'eresia, mi verrebbe da dire, per attestarmi anch'io su una visione religiosa, come quella da voi assunta rispetto al capo. E via su, un po' di senso della realtà e di umiltà. Mao, seppur con i suoi errori –ma poi, chi non li commette?- è stato e resta un gigante, del pensiero marxista e della politica. Grillo è un demagogo, che trova agibilità politica in un momento storico delicatissimo e particolare, in cui sono saltati tutti i riferimenti culturali. E lui, del resto, con il suo interclassismo, la sua trasversalità, il suo furore post ideologico non solo ne incarna perfettamente il senso ma ne è addirittura il portabandiera. Questa, d’altronde, è una delle grandi ambiguità di cui ho sempre parlato, in merito alla cultura di fondo del movimento. Mi spiego. Tutto questo fa comodo al potere borghese, soprattutto in chiave anticomunista, l'unico vero spettro che lor signori continuano a temere, considerando che, vista la difficoltosa gestione della crisi, un risveglio di quelle forze potrebbe pur esserci. Basta considerare, del resto, ciò che sta accadendo in Sud America, con la CIA -e faccio solo un esempio, altrimenti dovrei parlare di Cuba, Bolivia, Ecuador ecc.- di nuovo impegnata, come ai tempi della Baia dei Porci, a sovvertire un "pericoloso" governo Socialista –termine che Grillo vorrebbe tanto abolire, confondendone la Storia e la provenienza marxiana con Craxi: figurasi- cioè quello chavista-bolivariano, regolarmente eletto in Venezuela. E il M5S con chi si è schierato? Proprio con quei manifestanti filo USA, finanziati dalla CIA, che vorrebbero ristabilire l'ordine e la finta democrazia borghese, tanto necessari a quelle multinazionali che i penta stellati dicono, poi, di voler combattere.
Ma torniamo al discorso sul potere borghese e la democrazia liberal-liberista. A costoro, il M5S è utilissimo. Serve per coagulare una rabbia pulsionale, indistinta, facendole assumere tinte qualunquiste, anziché di classe. Un potere che, proprio per questo, finge di avversarlo ma poi gli da ampio spazio. Anche su quei media che Grillo tanto critica e ai quali non risparmia accuse di servilismo e di corriva parzialità. Che, tra l’altro, sono pure largamente condivisibili. La presenza di Beppe sui tg, però, è quotidiana; deputati e senatori imperversano, oramai, in programmi di approfondimento. E questo me lo chiamate ostracismo? Ma poi, non era stato deciso di non andarci in televisione? In tal senso, voglio portare un esempio. Personalmente, non considero certo Tsipras il rimedio di tutti i nostri mali o un soggetto politico tanto radicale -men che meno poi in Italia, dove hanno combinato un papocchio di dimensioni abissali- ma se proprio si vuol parlare di censura e ostracismo, si consideri come hanno trattato il povero Alexis su Ballarò e si capirà dove si annidano realmente le paure del Capitale, del Mercato e della Troika!
In conclusione, per tornare a quanto dicevo all’inizio, personalmente non ho mai considerato il M5S di stampo fascista -come pure sento fare in giro- seppure lo ritenga attraversato da istanze di quel genere, in alcune sue componenti. Lo ripeto per l'ennesima: non ce l'ho tanto con la base o con i militanti del M5S, ma con la premiata ditta Grillo&Casaleggio. E' la dicotomia antinomica tra le due componenti del movimento che è, per me marxista, assolutamente nefasta. Mi spiego. Da un lato abbiamo dei giovani, degli attivisti, dei cittadini eletti che, pieni di buona volontà, di impeto e di illusioni, si battono per cambiare le cose; dall'altro c’è un capo carismatico, a due teste, il cui verbo è praticamente incontestabile. Non essendoci un sistema filosofico di riferimento, una cultura politica di fondo, un orizzonte di valori ideali -ma soltanto pragmatici- cui guardare, diventa inevitabile che l'unica parola che conti sia quella del capo. Non sono io a dirlo, è la Storia che ce lo dimostra e la realtà ce ne da conferma. Grillo incarna, sempre secondo me ben inteso, il concetto non di guida ma di condottiero, la cui unica evoluzione possibile è il cesarismo. Del resto, anche il movimento comunista ha avuto le sue derive bonapartiste. Ma noi lo ammettiamo e ne discutiamo. Anche troppo, direi. I pentastellati si piegano ai voleri del Capo. Pena l’espulsione e la gogna.



martedì 6 maggio 2014

QUANDO LA SOCIETÀ DELLO SPETTACOLO INGOIA TUTTO…ANCHE CHI SI DEFENISCE COMUNISTA


Allora, la compagna Paola Bacchiddu, bella ragazza e responsabile comunicazione della Lista Tsipras, ha deciso di postare, sulla sua pagina facebook, una sua foto in bikini bianco, delle vacanze pare, in cui il lato B è in discreta evidenza. Motivazione: dopo aver passato due mesi a incazzarsi con i media, mendicando inutilmente un trafiletto su un giornale, e chiedendo un minimo di par condicio, avrebbe detto: “Basta, in questo Paese e con questo sistema mediatico, l’unico modo per finire sui giornali è mostrare le tette o il culo. Di tette sono scarsa, domani mostro il culo”. Detto fatto! Ovviamente, i giornali e i media, da destra a sinistra, si sono lanciati sulla notizia, strumentalizzandola a piacere. Mentre, tra i compagni sostenitori della lista Tsipras, ci si divide. Alcuni ne sostengono la scelta, altri la criticano, anche duramente.
Or dunque, ai sostenitori della Bacchiddu, a questo punto, vorrei dire: cari compagni della Lista Tsipras, illuminatemi. Se il corpo delle donne viene mercificato come veicolo pubblicitario è un turpe svilimento del Capitale; se, viceversa, serve per attirare voti alla sinistra "comunista" -le virgolette mi sembrano d'obbligo, visto che si sono anche fatti imporre la censura professorale sul significante sinistra- va benissimo? Mi si perdoni: non è comunque un simbolico che va ad inscriversi all'interno del recinto culturale di quel capitalismo, che dovremmo combattere e sovvertire? Di quella società dello spettacolo in cui, come diceva Debord, il capitale, al suo massimo grado di accumulazione, diventa visione? Per non parlare delle levate di scudi ipermoralistiche, che le compagne hanno messo in campo, ogni qualvolta le varie Minetti o Brambilla o Carfagna hanno mostrato tette, culi, autoreggenti e altro. Ne faccio, come s’intuirà, un discorso politico, non di carattere morale. Per come la penso io, la gente potrebbe anche uscire nuda e scopare per strada. Figurarsi. Ma voglio spingermi oltre. Se la Bacchiddu avesse avuto almeno il coraggio di andare fino in fondo, provocatoriamente, mostrando il suo corpo completamente nudo, si sarebbe potuto parlare, come si faceva nel ’68 e negli anni ’70, di liberazione del corpo stesso dai vincoli borghesi di una cultura oppressiva, asfissiante e censurante. Insomma, se avesse avuto il coraggio dell’ dell'ob-sceno, del fuori scena -per citare Carmelo Bene- avremmo potuto parlare di privato che diventa politico e la trovata della bella giornalista si sarebbe, appunto, collocata in una dimensione altra, rispetto alla squallida e piccolo borghese ribalta politica nazionale. In più, avrebbe rotto, effettivamente, quei codici comunicativi che definirei, oramai, conformisti e volti solo a solleticare, ipocritamente, l’italica pruderie, borghese e cattolica. Ma così, sinceramente, il conformismo lo si abbraccia tutto.
E l’argomentazione, che pure ho sentito ripetere da più parti: «è stata un'iniziativa personale», francamente non regge. Non voglio arrivare al centralismo democratico, per carità, ma un minimo di coordinamento? Sono stato responsabile cultura regionale del PRC per 3 anni e mi ricordo che, una volta, scrissi qualcosa su fb, che si distaccava dalle posizioni consuete del partito, apponendovi sotto la carica. La mia responsabile nazionale mi richiamò, dicendomi, giustamente secondo me, che, se volevo scrivere certe cose, avrei dovuto prima concordarle, almeno con lei.
Ebbene, molti compagni, sostenitori della lista, oggi poi si lamentano del fatto che, alla notizia, venga data ampia eco su tutti i media nazionali, distorcendone il senso. Mi chiedo e vi chiedo: in che posto e in che società si pensa di vivere? Da decenni -molto prima di Grillo, of course- noi comunisti sosteniamo che la stampa è gestita dalle lobby finanziarie, dalle borghesie padronali, ed è genuflessa agli interessi del capitale; dunque, i primi avversari di questo sistema sono, evidentemente, tutte quelle forze e movimenti che si richiamano al marxismo, al comunismo e all’anticapitalismo. E ci si meraviglia, poi, che, se gli si offre il destro, questi ti prendono a fucilate? Con un po’ di lungimiranza e d’intelligenza, era largamente prevedibile. Soprattutto, considerando il contesto politico-culturale in cui ci troviamo a vivere. Contesto che, in Italia, è stato plasmato dalla volgarità berlusconiana per vent'anni, dai suoi squallidi rapporti con il femminile, e a cui la “sinistra” e i comunisti si sono strenuamente opposti, spesso incamminandosi anche su derive giustizialiste, manettare e moralistiche appunto, che, francamente, non ho mai condiviso. In un contesto siffatto, quindi, al tirar delle somme, che fanno i comunisti della Lista Tsipras? Utilizzano gli stessi mezzucci! Si abbia il coraggio di dirlo sinceramente: è un auto goal pazzesco. Bisognava aspettarsela quella reazione. Forse, e dico forse, un po’ di quell'analisi scientifica della realtà, delle sue dinamiche, dei suoi rapporti di forza, che Marx tanto predicava, la si dovrebbe rispolverare, di tanto in tanto.
Purtroppo però, lo vado predicando da tempo, il problema vero delle forze comuniste, oramai, è proprio di carattere culturale. O ci si rifugia, caparbiamente, in un’ ortodossia, spesso solo di facciata, o si diventa allegramente, o per ragioni di opportunismo politico ed elettoralistico, riformisti e socialdemocratici. «Il dogmatismo e il revisionismo si contrappongono entrambi al marxismo» diceva Mao.
Vorrei chiudere, tuttavia, con una riflessione tratta da Guy Debord. E proprio da quella “Società dello Spettacolo” che, visto l’argomento, mi sembra quanto mai pertinente: «Lo spettacolo è l’ideologia per eccellenza, perché espone e manifesta, nella sua pienezza, l’essenza di ogni sistema ideologico: l’impoverimento, l’asservimento e la negazione della vita reale[…]Solo il fragile scudo della rivoluzione separava una generazione dall’integrazione nello spettacolo. Quel feticcio è caduto, cancellato dal potere della stessa società spettacolare[…]La rivoluzione è morta mentre lo spettacolo è diventato l’episteme del nostro tempo. Lo spettacolo ha vinto perché è in grado di assorbire qualsiasi forma di opposizione facendola propria. Non possono esserci spettacoli contro».

domenica 4 maggio 2014

IL BURATTINAIO: BREVE DIVERTISSEMENT CALCISTICO-POLITICO



Ora ho capito cosa intendesse Renzi quando ha stabilito la desecretazione degli atti nascosti negli archivi dei servizi segreti. Ieri sera, l’Italia, dopo anni di misteri, ha infatti finalmente scoperto, in diretta, il burattinaio che tira le fila della politica nazionale e si cela dietro tutte le trame nere, le bombe, le stragi, i depistaggi, gli intrighi massonici, le trattative stato-mafia, che hanno attraversato ed attraversano questo paese. E sembra che ci fosse sempre lui, quella mattina, in Via Fani, durante il rapimento Moro, alla guida della moto Honda, che poi forse era Gilera.
Ebbene sì, è lui, proprio lui: Genny ‘a Carogna. Napoletano, all’apparenza solo un ultrà, in realtà è un uomo potentissimo. Una leggenda. Di più, un mito. All’Olimpico, ad assistere alla finale di Coppa Italia, ieri sera c’era lo Stato: il presidente del consiglio, il presidente del senato –seconda carica istituzionale- la presidentessa della Commissione Parlamentare Antimafia, Rosy Bindi; e c'erano il presidente della lega calcio, quello del CONI, il presidente De Laurentis, il presidente Della Valle. Mai visti tanti presidenti tutti assieme. In contatto c’erano, poi, il questore, il sindaco ed il prefetto di Roma. E c’erano tante, tante forze dell’ordine: quelle che, in genere, davanti agli indifesi, ai lavoratori, agli studenti e ai pensionati che protestano, sanno sempre cosa fare. Ma, al momento di decidere se giocare o meno, ci si è rivolti a lui: a Genny ‘a carogna. Il quale, come un papa assiso sul suo trono –le strutture divisorie degli spalti- ha rassicurato tutte le istituzioni presenti: «Se po’ jucà!» , ha sentenziato con voce calma e profonda. 
Stando ad alcune indiscrezioni, pare poi che il Divo Genny (il vero Divo è lui, non Giulio Andreotti, che ne era solo la faccia pubblica: chiedetelo a Servillo) a fine partita, avvicinato da un giornalista che gli domandava cosa ne pensasse di Renzi, Grillo&Casaleggio, Berlusconi e Napolitano, abbia risposto: «Ma chi è sta gente ‘e merda? M’hanna fa sul nu…». A questo punto, la solita censura della stampa italica non permette di comprendere il resto della dichiarazione. Analisti politici ed editorialisti si stanno sbizzarrendo in interpretazioni, le più svariate, alcune anche fantasiose.
Nella notte, comunque, Genny è stato ricevuto da Francesco, in Vaticano. Mantenuto il più assoluto riserbo sul colloquio. Voci di corridoio, fatte trapelare ad arte, sostengono però che Bergoglio, colto da sconforto, gli abbia chiesto come mai a lui la gente dia ascolto mentre al papa, che pure aveva fatto appelli alla calma, nessuno abbia dato retta. Le stesse voci di corridoio, poi, affermano che i due abbiano giocato, in evidente stato di alterazione alcolica, a sottomuro, fino all’alba, con i santini. Bestemmiando! Con loro, è stata vista anche la Minetti: vestita ovviamente da monaca ed in autoreggenti.
Grazie, grazie a tutti davvero, per quest’emozione bellissima. Grazie Stato italiano. Non lo dimenticheremo mai. E con noi, suppongo, non lo dimenticherà il mondo intero, considerando che il calcio è un veicolo d’immagine planetario.
E comunque, detto tra noi: Gennarì sì ‘o meglio. E parlo seriamente. L’unico che abbia rispettato il suo ruolo, ieri sera, sei STATO tu!!!









sabato 3 maggio 2014

LA FACCIA SPORCA DELLA BORGHESIA EUROPEA



Stamattina, ad Omnibus, su La7, sentivo il vicepresidente della corte costituzionale, Luigi Mazzella, fare la solita, infamante equazione, nazifascismo uguale comunismo, parlare delle democrazie anglosassoni come sogno da raggiungere ed insistere sul necessario percorso di deideologizzazione da portare avanti, in Europa, proprio affinché una dittatura, come quella comunista, non sia più possibile e, finalmente, possano regnare il pragmatismo e la democrazia compiuta. Inoltre, aggiungeva: le larghe intese sono necessarie, a tal fine. In pratica, a ben guardare, Mazzella ha sposato in pieno le tesi ed il dettato della JP Morgan, secondo cui le costituzioni, specie quelle delle nazioni del sud Europa –Italia, Spagna, Grecia, Portogallo: gli stessi paesi dove, guarda caso, fu creata, nel corso del secolo breve, la cintura protettiva delle dittature fasciste- sarebbero troppo socialiste e, dunque, andrebbero cambiate, perché renderebbero gli stati centrali troppo deboli, garantirebbero troppi diritti e tutele ai lavoratori e, chiaramente, frenerebbero la crescita.
Gli faceva eco l’ex ministro Giovannini, il quale, evidentemente, parlando di un’Europa posta su un’altra galassia, o vaneggiando in preda a suoi deliri allucinatori –vallo a capire- ha avuto la faccia tosta di affermare che, oggi, nel vecchio continente, si sta cercando di attuare una cosa mai attuata nel corso della storia. Sosteneva cioè costui che, attraverso l’euro, si starebbe costruendo, in Europa, un processo di pace come non si è mai riuscito ad ottenere in precedenza. Valutazioni di politica monetarista, finanziaria ed economica a parte, una considerazione appare lampante, a questo punto: che poi in Ungheria ci sia al potere il fascista, razzista Orban, che in Grecia siano, di nuovo, sull’orlo di un colpo di stato militare e di una guerra civile, che in Francia vinca l’armata nera della Le Pen e che, appunto, in Ucraina ci siano i nazisti al governo, che stanno scatenando una guerra, finanziata proprio dall’imperialismo USA ed europeo, per questioni economiche ed energetiche, evidentemente, per quest’emerito farabutto, si tratta di semplici inconvenienti o quisquilie. Per non parlare della macelleria sociale che il capitale sta attuando nel resto del continente. Sono queste le facce sporche, ma eleganti, della borghesia e del capitalismo europeo e mondiale!

LA SINISTRA? QUELLA DI PD E SEL. DI ICHINO E DI BIAGI


Quando qualcuno, riferendosi alla mia collocazione politica, mi dice che sono di sinistra, il più delle volte, oramai, m'incazzo e preciso: sono marxista o, se preferisce, comunista.
La discriminante, parliamoci chiaro, sta proprio nel valore semantico, che quel significante “sinistra” ha assunto, contestualmente al momento storico che ci troviamo a vivere. La sinistra, oggi, è -non solo in Italia, ben inteso- socialdemocratica e liberale. Insomma, una sinistra all'americana. Per me, dunque, marxista e comunista, un'aberrazione linguistico-concettuale.
Una volta, a sinistra, nel parlamento italiano, sedevano PCI, DP, PDUP. E poi, per venire ad anni più recenti, Rifondazione e PDCI. Potevi certamente criticarli e non essere d'accordo con loro, sulla conduzione strategica della lotta al capitale, ma almeno sapevi, in larga parte, cosa fossero. Questi, oggi, quando va tutto bene, sono dei socialdemocratici spuri, dei keynesiani a metà. Altrimenti, sono dei veri e propri liberal-liberisti. Cos'è il PD? Cos'è Ichino? E cos'era –sceverando da inutili e falsi moralismi- il vero affossatore della classe operaia e lavoratrice italiana: quel Marco Biagi, cui dobbiamo la più reazionaria riforma del lavoro e che viene, anche per questo, celebrato come eroe dalla classe borghese?
Tempo fa, Alberto Franceschini, uno dei primi capi storici delle B.R. disse: «Quando scendevamo in piazza, il nostro nemico principale era il PCI ed il suo servizio d'ordine, non i fascisti. Oggi, però, devo riconoscere che, se non ci fosse stato quel PCI, noi non avremmo potuto fare quello che abbiamo fatto». Al netto delle valutazioni storiche e morali, che qui non interessano e non intendo fare, credo che Alberto volesse dire che il PCI aveva creato quel brodo di coltura che permise, poi, a gruppi extraparlamentari come AUT.OP, Potere Operaio, Avanguardia Operaia, Lotta Continua ed, infine, ai gruppi della Lotta Armata, Brigate Rosse in testa, di nascere, svilupparsi, raccogliere consenso e aggregare soggettività intorno all'idea e al sogno della Rivoluzione. Sogno rivoluzionario che, per la verità e sempre per parlar chiaro, all’indomani del secondo conflitto mondiale, i partigiani comunisti, che avevano combattuto contro il nazifascismo, si aspettavano sarebbe iniziato, ma che poi, proprio il PCI di Togliatti -dipendente dalle scelte strategiche e geopolitiche di Mosca ed in virtù degli accordi di Yalta- non consentì di realizzare, finendo per tradire le aspettative di tanti contadini, operai e proletari che erano andati in montagna a combattere, non solo contro la belva nazifascista, ma con l’illusione, tale si rivelò, di costruire una società comunista.
Ciò precisato, riconosco tuttavia che, quanto dichiarato da Franceschini in merito al ruolo, quantomeno culturale, giocato dal PCI, è sicuramente corretto: se non altro dal mio modestissimo punto di vista. Del resto, Rossana Rossanda, in pieno sequestro Moro, riferendosi proprio alle B.R., parlò giustamente di «album di famiglia della sinistra italiana», attirandosi le ire, ingiustificate e, per me, ingiustificabili, della classe dirigente di Botteghe Oscure. Classe dirigente che, come ha dichiarato la stessa Rossanda, temeva, a partire da Berlinguer: «che quando li avessero presi, qualcuno di questi brigatisti si sarebbe rivelato davvero uno del Pci, che so io, segretario di sezione di chissà dove. Ed era un timore assurdo, perché io conoscevo bene quel partito e sapevo che qualsiasi velleità insurrezionale era stata sepolta da Togliatti praticamente subito. Mai presa in considerazione alcuna ipotesi rivoluzionaria nel Pci del dopoguerra».
Tutto questo, però, accadeva più di trent’anni fa, quando ancora, a sinistra, ci si poteva dividere su questioni fondamentali come, ad esempio, la strada da seguire per giungere all’instaurazione del comunismo e di una società in cui Libertà, Giustizia sociale ed Uguaglianza fossero i valori fondamentali. In sostanza: strada democratica e parlamentare o rivoluzione?
Oggi, invece, abbiamo il PD e SEL. Il riformatore del mercato del lavoro, Pietro Ichino, e il commemorato e celebrato Marco Biagi. Insomma, la fine delle illusioni. Il deserto culturale della sinistra. Altro che Lotta Armata e Rivoluzione. Il paradiso dei padroni ha sbattuto, da tempo, le sue porte in faccia alla classe operaia!

ACCIAIO A CINQUE STELLE



Ieri sera -da quanto ho potuto capire, rivedendo alcuni spezzoni della trasmissione- è andata in onda, su LA7, una puntata di Servizio Pubblico -programma che, ormai da tempo, guardo raramente, come sempre meno guardo i programmi di approfondimento politico- in cui si è parlato del lavoro -ovviamente, essendo il Primo Maggio- e delle acciaierie Lucchini. Per discutere su quest'ultimo punto, in studio, Santoro aveva invitato alcuni operai, tra cui Mirko Lamia, delegato FIOM e, come ho potuto leggere sul blog di Grillo -ebbene sì, lo leggo e lo consulto anch'io- ex candidato PD al senato. Sono poi andato sulla pagina FB di Servizio Pubblico, per leggere i commenti postati all'intervento dell'operaio succitato. E lì, mi sono letteralmente cadute le braccia per lo sconforto.
Dunque, chiariamo. Santoro –come d’altronde gli accade spesso- ha senz'altro sbagliato a non dire che si trattava di un operaio vicino al PD: questo è evidente e non è corretta informazione. Lungi da me, inoltre, difendere a spada tratta la FIOM o Landini, che di errori ne hanno commessi tanti -a partire dalla firma sull'accordo per la rappresentanza- o qualcuno che si candida con quel PD che, della classe lavoratrice, ritengo il principale traditore e becchino; o peggio ancora, quella CGIL che, negli ultimi 20 anni, ha svenduto gli operai stessi a padroni e padrini. Ma leggere i commenti di quattro borghesucci, esaltati e fanatici grillini, che, con il loro culo al coperto, hanno l'arroganza di sparare addosso, con offese ed insulti -tanto per non cambiare- ad un operaio che rischia di perdere il lavoro, solo perché questi ha osato criticare il loro capo/dio, non so se sia più tragico o ridicolo. Roba da non credere. Fondamentalisti allo stato puro –prima o poi dovranno inventarsi il corpo eucaristico di Grillo- che vivono la loro vita azzeccati alla rete. Una massa d'ignoranti beceri -che inneggiano, di contro, al destrorso, forcaiolo e manettaro Travaglio- cui consiglierei, prima di mostrare tanto pecoreccio livore e belante integralismo -che, non ho dubbi, svanirà non appena il M5S comincerà a perdere colpi: del resto, in Italia, un tempo, non erano tutti fascisti?- di andare a lavorare qualche mese in fabbrica -anni, questi parassiti, non resisterebbero- e di spezzarsi la schiena alla catena di montaggio.
Ripeto, non solidarizzo con il signor Lamia, ex candidato PD, anzi; ma con l’operaio e con l’uomo, che rischia di perdere il lavoro. E come lui, sono a rischio altre 5.000 famiglie. Certo, non per colpa di Grillo, questo è inteso, ma a causa delle scellerate politiche neoliberiste, messe in atto da tutti i governi, da vent’anni in qua, a causa della mancanza di una seria politica industriale e, certamente, della debolezza del sindacato, non più di classe ma concertativo. Questo non toglie, però, che, quella gente, incazzata a causa di imminenti licenziamenti, non abbia il diritto di criticare il miliardario Grillo. Il quale, novello moltiplicatore di pani e di pesci, in piena campagna elettorale –lui nega, ma è così- va a fare promesse, che non possono essere mantenute, sullo sblocco dei fondi CECA; oppure, a parlare di fantomatiche riconversioni (in che tempi? con che soldi?); o, peggio ancora, di reddito di cittadinanza. Mi chiedo: i grillini sanno di che parlano quando propongono o sostengono tale misura? Il reddito di cittadinanza è una misura paternalistica e universale, che non fa differenze di reddito. Il che vuol dire, in parole povere, che di tale provvedimento populista potrebbero godere anche gente come Agnelli e Berlusconi. E’ davvero questo, quello che loro propongono e che “noi” vogliamo? Ditemi di no, per favore! Altro discorso, ovviamente,sarebbe il reddito minimo garantito. Insomma, siamo ancora, o no, in un regime capitalistico? O in Italia si è realizzato il comunismo, con l’eguaglianza dei redditi, e nessuno mi aveva avvertito? Questo paese, oramai, mi sembra sempre più un incubo kafkiano, dove tutti hanno smarrito sé stessi e, davanti alle porte della Legge, sono in dubbio se entrare o meno.
Del resto, e concludo, cosa ci si può aspettare da gente che ha, nel suo vessillo, cinque stelle d’oro, simbolo del lusso e dei padroni? Alla classe operaia e lavoratrice, viceversa, ne è sempre bastata una. Rossa. Semmai anche un po’ storta. Ma simbolo del sogno rivoluzionario di poveri e lavoratori.





giovedì 1 maggio 2014

RIFLESSIONI INATTUALI DI UN ANACRONISTICO COMPAGNO. OVVERO: IL PRIMO MAGGIO? SFUMATO TRA CONCERTI E CONCERTAZIONE. IL LAVORO SOGGETTO ALLE REGOLE DEL MERCATO E DEL CAPITALE MONOPOLOISTICO. MENTRE IL MONDO ANNEGA NELLA POVERTÀ E NEL SANGUE VERSATO DALLE GUERRE IMPERIALISTE.



Primo Maggio 2014. Un po’ disilluso ma avendo conservata intatta la sua vena polemica ed il suo sdegnato risentimento, di fronte alle ingiustizie del mondo, così rifletteva, solingo, un Comunista:
Eh sì, Concerti e Concertazione hanno distrutto, in questi anni, il significato simbolico della Festa del Lavoro. Le borghesie capitaliste sono state perfette, non c'è che dire, nella loro strategia, a lungo termine, di progressivo sgretolamento del fronte unico del Lavoro di matrice marxista.
Prima, hanno sparato nelle strade, su braccianti e contadini che reclamavano diritti. Poi, quando hanno visto che, quei diritti, il proletariato "brutto, sporco e cattivo" riusciva ad ottenerli, hanno cominciato con le bombe. Era il 1969. Qualcuno, però, non ci stava e rispondeva, a suon di chiavi inglesi e di 38. Allora, con la complicità, o il disorientamento, di molti dirigenti ed intellettuali comunisti, hanno provveduto a screditare chi lottava, definendoli terroristi e sbattendoli in galera. Una volta seminato il loro, vero terrore, hanno continuato con la marcia dei 40.000, voluta dagli Agnelli e diretta da Romiti. Ma non era ancora abbastanza. Così, hanno cominciato a trasformare una giornata di Lotta, in una giornata di divertimento. E allora, ecco i grandi Concerti del 1° maggio. Erano belli, ma inutili e soprattutto dannosi. Avremmo dovuto capire dove i padroni e i loro servi, della triplice sindacale, volessero andare a parare. Giunti a quel punto, dunque, tra i sindacati cominciò a girare la parolina Concertazione. E così, Trentin firmò l'infame accordo sulla scala mobile. Era il 1993. Nel frattempo, ci erano venuti a dire che il Comunismo era stato sepolto, sotto le macerie della storia, dal capitalismo trionfante, mercantile e democratico. Come se un' idea, poi, potesse morire, sol perché il tentativo di una sua applicazione, nella realtà, ha parzialmente fallito.
In questi anni, infine, media di regime, intellettuali, storici, e perfino chi si era definito comunista, ha proposto l'equazione comunismo uguale barbarie; ha affermato, e ancora afferma, che quell' idea è antistorica, antieconomica e, soprattutto, antidemocratica, perché condannerebbe la gente all'arretratezza, alla povertà e, soprattutto, alla dittatura sanguinaria del proletariato. Le giovani coscienze hanno abboccato ed il comunismo, senza gioventù, è come un pozzo senz'acqua. Arido!
Oggi, 1° Maggio 2014, in Italia, la disoccupazione ufficiale, stando ai dati ISTAT, è giunta quasi al 13%, e quella giovanile è intorno al 42%. Il che significa, che la disoccupazione reale, complessiva, supera di gran lunga il 20%, mentre quella giovanile va ben oltre il 60%. Mai così male, dal dopoguerra ad oggi.
L'Europa -Germania a parte che, grazie alle scellerate politiche monetariste riprese dalla dottrina Friedman (quello della Scuola di Chicago, sì, che permise l’instaurazione delle dittature fasciste in Argentina, Cile e mezzo Sud America) si è vista quotare l'euro sul valore del marco e fa soldi con le esportazioni- non è messa meglio. Mentre il mondo, nella sua globalità, va anche peggio.
L'1% della popolazione detiene il 50% delle ricchezze del pianeta. Più di 3 miliardi di persone vivono con 1 euro al giorno. Più di 1 miliardo di persone non ha accesso sufficiente all'acqua potabile e si stima che 400 milioni di queste siano bambini. Su 2,2 miliardi di bambini al mondo, circa la metà, 1 miliardo vive in povertà. Secondo l'UNICEF, 22.000 bambini muoiono ogni giorno a causa dell'indigenza. Nel 2011, 165 milioni di bambini sotto i 5 anni erano rachitici (tasso ridotto di crescita e di sviluppo, ndr) a causa della malnutrizione cronica. Le 300 persone più ricche del mondo possiedono la stessa ricchezza dei 3 miliardi dei più poveri. 1 miliardo di persone soffrono di denutrizione: non hanno cioè cibo a sufficienza per sfamarsi.
Il lavoro non è più libero -sempre con meno tutele e diritti- assoggettato com’è alle regole di un
mercato controllato, monopolisticamente, dai grandi gruppi finanziari, dalle lobby, dalle multinazionali, dalle banche, dalle nuove corporation della rete, e con l’avallo di organismi politico-finanziari e ultranazionali: come FMI, Banca Mondiale, BCE. In poche parole, quella che è assurta agli onori della cronaca con il nome di Troika. Mentre i lavoratori sono trattati alla stregua della merce. E la tragedia, se è possibile ancor più grave, è che sta tornando in auge la schiavitù, grazie ai flussi migratori e alle delocalizzazioni.
Tutto ciò, intanto che si spendono, in armamenti –per finanziare, principalmente, l’imperialismo USA ed Europeo- miliardi di euro al giorno e l’intero globo terracqueo non è mai stato insanguinato da tante guerre. Però, diciamolo: trionfano la democrazia ed il libero mercato.
Grazie al capitalismo. Grazie all’imperialismo. Grazie alla democrazia borghese e allo Stato liberale. Grazie agli USA e al delirio di onnipotenza occidentale. Grazie davvero per tutto questo. E la barbarie sarebbe il Comunismo? Buon Primo Maggio a chi se lo merita. Ai miei fratelli poveri. Ai miei fratelli immigrati. Buon Primo Maggio ai disoccupati e ai cassintegrati. Buon Primo Maggio alle famiglie dei morti sul lavoro. E buon Primo Maggio anche a loro, che forse hanno smesso di patire sofferenze. Ma soprattutto, buon Primo Maggio a tutti coloro che, nel mondo, lottano e muoiono per combattere l’arroganza criminale di questo sistema. E ora, lasciamo che suoni L’Internazionale!