Rothko Chapel

Rothko Chapel
"L'estensione logica del business è l'omicidio!" (D. Cronenberg)

sabato 2 maggio 2015

EXPO E INETTITUDINE BORGHESE

E dunque, la buona e bella borghesia italica, di destra e di sinistra, con in testa il suo corifeo, quel Ro(ma) Ber(lino)To(kio) Saviano che non perde occasione per gettare fango sui movimenti antagonisti, s'indigna per un paio di macchine bruciate e per qualche vetrina rotta di banca e negozio. Non s'indigna, però, questa massa informe ed inetta -alla quale piace solo lamentarsi e giudicare, con il suo ammorbante moralismo pretesco, dalle comode poltrone di casa- per la repressione, continua e feroce, che lo Stato "democratico" mette in campo, ogni giorno, attraverso gli organi di Polizia e tramite la magistratura, contro il pensiero critico ed il dissenso per quello che, a tutti gli effetti ormai, è un sistema di dominio, politico ed economico, stritolante ed assassino, di cui le prime vittime siamo noi e la Terra. Non s'indigna per la costante mistificazione dell'informazione, compiuta dai media main stream, che manipolano notizie e fatti e, con essi, le nostre anestetizzate coscienze . Non s'indigna per la glorificazione, da Istituto Luce, della passerella renziana. Non s'indigna per il fatto che all'Expo si parli di cibo, quando, un terzo del pianeta muore di fame e l'altro terzo -noi, per capirci- non sa bene cosa realmente mangi, grazie alla sofisticazione alimentare compiuta dalle multinazionali del settore; o si nutre con junk found (cibo spazzatura ndr.) con tutti i danni organici che esso provoca. All'Expo di Milano i grandi marchi ci sono tutti: Mc Donald's, Coca Cola, Monsanto, Syngenta, Nestlè, Eni, Dupont, Pioneer. Non s'indigna, questa melma vile, per i continui licenziamenti e per i continui soprusi che, pure, essa stessa, o i suoi stessi figli, subiscono. Non s’indigna per la violenza in nome del profitto di pochissimi. Violenza in nome dell’avidità e del potere. Violenza in nome del possesso delle altrui esistenze, praticata da quelli che, a tutti gli effetti, sono diventati i padroni delle nostre vite! No, questi idioti, decerebrati da troppa televisione, questi incapaci, che hanno abdicato alla propria intelligenza e delegato il proprio destino , ponendolo nelle mani dei loro stessi carnefici, si indignano per qualche danno alla proprietà privata. Mentre il Bene Comune va a farsi fottere, insieme alle nostre vite. E non si accorge, il grigio borghese, che in piazza, la gioventù che arde, al fuoco della Libertà e della Giustizia Sociale, combatte anche la sua battaglia.
"Tutti vedono la violenza del fiume in piena, nessuno vede la violenza degli argini che lo costringono" B.Brecht

giovedì 30 aprile 2015

DELL’AMORE DELLA MORTE…DELLA MORTE DELL’AMORE



Uccidere devo
Il pensiero di te
Dentro il mio corpo

Dentro il mio stomaco
Dentro la mia gola
Dentro le mie mani
Dentro il mio stesso pensiero

Non posso amarti
Rischierei di impazzire
Non posso amarti
Non oggi amore

Sei l’assillante presenza
Della morte
Che mi spia come l’ombra
Lavata dalla pioggia
Nei pomeriggi d’agosto

Sei l’insonnia delle 4 del mattino
E sei la sete
Ed il dolore della carne
Nella febbre della voglia

Sei la rabbia del risveglio
Dopo il sogno della tua bocca
Chiusa sul mio cazzo

Le tue cosce vorrei sfregiare
Con le dita dolci della frusta
E sentirti piangere e gemere
Sotto di me
Mentre ti scopo
Come l’ultima puttana di bordello

E' l’assenza di te
Che amo
Lembo di pelle
Che ho perso sulle tue ciglia

E' il desiderio di te
Che odio
Come il tremore
Nei giorni sudati dell’astinenza

Datemi dieci lineette di roba
E la tomba del mio amore
Sarà pronta per la prossima preghiera

Me lo stai sparando dritto in vena
Il tuo bellissimo e languido viso
E la tua lingua
E' la canna di una pistola
Puntata dritta sulla mia tempia

Non posso amarti
Non oggi amore mio
C’è la morte distesa sul letto
Che mi attende







CARO ERRI: LA RESISTENZA E LA LOTTA PER I PROPRI DIRITTI VALGONO OVUNQUE CI SIAUN’OPPRESSIONE. NELLA VAL DI SUSA COME IN PALESTINA


Quelle che Erri De Luca ha pronunciato lunedì, durante l’incontro-dibattito su “Il Diritto al dissenso”, organizzato, a Napoli, dai movimenti sociali, nella sede di Mezzocannone Occupato, sono state parole dure. Parole contrarie ad un sistema che tende, sempre più, a criminalizzare e a reprimere il dissenso, in maniera anche violenta. Parole dure contro la TAV, come sempre d’altronde –ricordiamo che lo scrittore napoletano è stato rinviato a giudizio per istigazione a delinquere, sulla base di una fattispecie giuridica, risalente al Codice Rocco, di origine fascista, per aver espresso, in un’intervista, semplicemente la sua libera opinione contro l’Alta Velocità- e parole a sostegno del popolo della Val di Susa che, quell’opera, inutile e dannosa, voluta per soddisfare gli interessi e le speculazioni del capitale finanziario, contesta e sabota. Parole, ancor più dure, De Luca le ha pronunciate, poi, contro chi sta uccidendo la Terra dei Fuochi, contro le discariche e gli inceneritori, che trovano la saldatura del business camorristico-imprenditoriale; ma si è espresso, ovviamente, a favore dei comitati di lotta, che quella battaglia per la “Libera Repubblica di Chiaiano”, come egli stesso la definì, stanno affrontando quotidianamente e con enormi sacrifici, anche in termini di vite umane, uccise dall’aumento vertiginoso delle patologie oncologiche.
Erri De Luca, come è noto, è un intellettuale scomodo e, da sempre, fuori dal belante coro che costituisce, in questi anni complessi, la cultura di regime, nel nostro paese e non solo. Un regime, quello neoliberista, incentrato sul dominio della finanza e del mercato, capace, da una parte, sempre più di omologare e, dall’altra, di emarginare, con sempre meno senso della democrazia, il pensiero critico. Un intellettuale che ha sempre rivendicato, con orgoglio, la sua matrice comunista e la sua militanza “rivoluzionaria”, in un movimento come Lotta Continua e che, pertanto, ritiene giusto sostenere le battaglie di chi oppone la propria resistenza, fatta di intelligenze e di corpi, contro un potere economico, politico, statale che, nel nome del profitto, commette soprusi, umilia diritti e schiaccia vite. Lo stesso Potere che, poi, fa della legalità –parola ambigua e dalle chiare implicazioni fascistoidi- l’arma in più per reprimere, attraverso la magistratura, chi contro di esso e, in molti casi, per la propria sopravvivenza, agisce e si ribella. Un passaggio dell’intervento di De Luca, chiarisce e sintetizza quanto stiamo dicendo: «Lo Stato non è un' entità che eroga servizi in base al maggiore o minore potere d'acquisto delle persone, ma è il luogo dei diritti; noi non siamo sudditi di un sovrano statuale, ma cittadini. E quando questi diritti, come in Val di Susa o nella Terra dei Fuochi, vengono violati o compressi, nel nome del profitto, allora la Resistenza diventa un dovere».
Proprio per questo, dunque -per la sua storia e per la nettezza delle sue posizioni intellettuali e politiche- facciamo fatica a comprendere perché, una volta lasciata la parola al pubblico, che poteva porgli domande, De Luca, con un giovane che gli chiedeva di chiarire la sua posizione, circa il conflitto Israelo-Palestinese, abbia deciso di glissare, rivolgendo, a chi quella delicata domanda aveva formulato, una lapidaria e stizzita risposta: “Non posso occuparmi di tutte le cose brutte del mondo”. Benché, poi, ad una successiva domanda, sempre sulla medesima questione ma inerente il muro fatto costruire da Israele, che circonda la Striscia di Gaza, lo scrittore abbia dichiarato: “I muri vanno abbattuti”. Ma perché queste domande a De Luca, intellettuale comunista, difensore delle libertà e sempre in prima linea contro qualunque forma di oppressione, in ogni sua declinazione? A questo punto, occorre fare un passo indietro. Nel 2006, Enzo Apicella, vignettista del defunto giornale “Liberazione”, organo del PRC, usciva con una vignetta sicuramente discutibile –ma qual è il limite della satira? Il brutale ed assurdo assassinio dei compagni di Charlie Ebdo ci interroga ancora, in tal senso. E noi siamo per la totale libertà di satira- in cui rappresentava il Muro, che divide Israele dalla Striscia, con su la scritta “La fame rende liberi”, praticamente riproducendo quella che si trovava all’ingresso del campo di sterminio di Auschwitz e che recitava “Arbeit macht frei”. Erri De Luca, allora, prese la penna e rispose, sdegnato, con un pezzo sul Manifesto, ad Apicella e a quanti, quella vignetta, evidentemente sostenevano. Scriveva De Luca: «Non cuocerai l’agnello nel latte di sua madre, è scritto nel libro sacro. Non trasformerai la madre della vittima in complice del macellaio di suo figlio. Accusare Israele di affamare la Palestina usando la scritta nazista del campo di sterminio di Auschwitz è cuocere l’agnello nel latte della madre. Non si può prendere la sigla del peggior crimine dell’umanità e rivoltarlo contro i discendenti delle vittime. Ma è stato fatto, per leggerezza o per insulto. Fame è una parola gigantesca, la riduzione al gradino più basso della dignità umana. La chiusura intermittente dei varchi di Eretz Israel non è fame. Dopo l’attentato di Tel Aviv sono rimasti serrati per ventiquattr’ore. Le migliaia di operai palestinesi che non lavorano più in Israele non è fame. Un muro che separa, fa male ma non è fame. Le serre degli insediamenti ebraici smantellati a Gaza sono state distrutte dalla proprietà palestinese reintegrata nei suoi territori. Non è mossa di fame. La legittima elezione di Hamas al governo della Palestina ha delle conseguenze internazionali come il taglio dei fondi di paesi esteri ma non è assedio, non è Sarajevo. La fame annunciata dalla vignetta su «Liberazione» di qualche giorno fa niente ha a che vedere con «Arbeit macht frei» all’ingresso di Auschwitz. Da lì passarono i condannati allo sterminio. Il copyright su quella scritta appartiene ai nazisti. Nessuno può staccarlo dal luogo capitale dell’infamia e appiccicarlo per polemica sull’uscio di qualcuno, tanto meno l’uscio di Israele. E’ triste quando l’intelligenza e la compassione di persone vicine si inceppano e procurano un torto anziché un sollievo. Quel luogo è un nervo scoperto della storia da migliaia di anni. Tre monoteismi, tre fedi esclusive hanno i loro santuari gomito a gomito. E’ un punto della geografia da trattare con la cautela dell’artificiere che manovra per disinnescare la carica, non per accenderla».
Ora, premesso che la libertà di satira è assoluta e che, altrettanto legittimo sia criticarla, con la sovrana espressione del proprio pensiero, senza proporne limitazioni o, peggio, censure, vanno fatte alcune considerazioni di merito. Se si può capire un sussulto di indignazione per un parallelismo, certo poco felice, tra il nazismo, che uccise sei milioni di ebrei e la politica imperialistica di invasione e oppressione –fatta, in nome del nazionalismo Sionista, in violazione del diritto internazionale e con bombardamenti, azioni di guerra criminali e repressione fascistoide- condotta dallo stato israeliano, che gli eredi di quegli ebrei accoglie, non si comprende, certo, come De Luca possa non cogliere il filo rosso che lega la battaglia per il diritto alla terra e alla sopravvivenza, in Val di Susa, e quella del martoriato popolo palestinese, che combatte per le stesse ragioni. Lo scrittore e poeta napoletano ha più volte dichiarato, infatti, parlando della lotta del movimento No Tav e rinnovando l’affermazione anche durante l’incontro a Mezzocannone Occupato, che: «Più di 20 anni di resistenza civile, di democrazia di massa dal basso contro un’opera inutile e dannosa imposta con la forza è un esempio di democrazia civile…quando si tratta della difesa della propria vita e dei propri figli qualunque forma di lotta è ammessa». Beh, se questo è vero per la Val di Susa, è ancor più vero per la popolazione della striscia di Gaza, dove l’esercito, i carri, le bombe e i droni israeliani radono al suolo case, affamano e uccidono civili.
Mi si perdoni, a questo punto, una digressione personale. Io, comunista, mai ho affiancato e mai affiancherei la bandiera con la stella di David alla bandiera nazista con la svastica, per quanto sia antisionista e condanni l’occupazione criminale di Israele dei territori palestinesi, con le migliaia di morti che essa produce. E non lo farei, perché ritengo che il valore intrinseco dell’universo simbolico è di fondamentale importanza, se vogliamo continuare a comprendere la realtà, la storia, la politica, la civiltà e noi stessi, in ogni loro ed in ogni nostra sfaccettatura. Si ragiona, insomma, per differenze, mai per assimilazioni! Dunque, benché ritenga che Apicella, su Liberazione, intendesse ridestare la memoria e la coscienza di Israele, sull’Olocausto subito dai suoi figli, nella speranza, ahimé vana, che Israele, in ragione di quel ricordo, possa, una buona volta, disoccupare la terra palestinese, posso anche capire, come dicevo prima, l’irritazione di De Luca per quella vignetta. Quello che non comprendo, invece, è il resto dell’articolo. Come può dire, Erri De Luca, che quella che subiscono i palestinesi non è fame? E perché, a distanza di anni, non chiarisce il suo pensiero su quel conflitto, origine di tante guerre in Medio Oriente? I diritti, la resistenza all’oppressione e all’ingiustizia, la violenza di un sistema, variano, forse, a seconda delle latitudini e delle condizioni geopolitiche? La risposta di Itzhak Laor, scrittore israeliano, a quell’articolo vergato da Erri De Luca, fu, all’epoca, piuttosto esemplificativa: «Se si traducesse l’articolo uscito martedì scorso sul manifesto di Erri De Luca in ebraico e lo si facesse leggere a qualunque israeliano, questi lo identificherebbe senza dubbio come un testo tipico di un membro del Likud».
«Siate sempre capaci di sentire, nel più profondo, qualsiasi ingiustizia commessa, contro chiunque, in qualunque parte del mondo», diceva Che Guevara. Non a seconda dei casi. Inoltre, quello che proprio non si comprende, è come possa De Luca, recandosi in un centro sociale e proponendosi ad una platea di cui si conosce, inevitabilmente, il pensiero su quella questione, evadere, con un atteggiamento anche poco conciliante, una domanda che era giusto presupporre che gli sarebbe stata rivolta. Se si è comunisti, e a maggior ragione uno scrittore ed un poeta, ci si dichiara fuori dalle logiche del sistema e del potere, si appoggiano lotte che quello stesso sistema e quello stesso potere combattono e vorrebbero abbattere e ci si pone, bon gré mal gré, come un faro intellettuale del movimento antagonista, allora poi non si possono eludere domande importanti su questioni delicatissime. Per di più, facendosi scudo proprio di quella notorietà raggiunta, anche grazie al sistema mediatico. Appare come un’evidente contraddizione. Rispettiamo De Luca e siamo con lui quando lotta affianco del movimento No Tav e dei comitati per la Terra dei Fuochi e lo sosteniamo quando subisce processi assurdi e dichiaratamente tesi a tacitarne la voce. Riteniamo, però, di poterlo e doverlo criticare quando, come in questo caso, dal nostro punto di vista s’intende, assume posizioni ambigue. D’altronde, anche Pasolini fu criticato per il suo famoso “Il PCI ai giovani”, in cui, all’indomani degli scontri di Valle Giulia, prese le parti della Polizia. Il diritto al dissenso, ce lo insegna proprio De Luca, è inalienabile. E allora, sentiamo, in fine, proprio chi, quel diritto a dissentire con lo scrittore napoletano, lo esprime con forza. Rosa Schiano, reporter e attivista per i diritti del popolo palestinese, dice: «L’assedio nella strisci di Gaza uccide. E questo è incontestabile e viene riportato anche dai rapporti delle organizzazioni internazionali per i diritti umani. E dato che esiste un’occupazione militare, riconosciuta dalla comunità internazionale, mi chiedo come possa non riconoscerla uno scrittore come Erri De Luca e non porsi a difesa del popolo palestinese. Un popolo oppresso come tanti altri».

mercoledì 18 marzo 2015

VINCE BIBI NETANYAU ED IL CIELO DI PALESTINA È SEMPRE PIÙ PLUMBEO

Certo, ha vinto il peggio, in Israele. Il nazionalfascista, Bibi Netanyau. E, con lui, il Likud, che ha annoverato, tra i suoi leader, il responsabile del massacro di Sabra e Shatila: il macellaio Ariel Sharon. Ma come poteva essere altrimenti? Sul versante interno, la crisi imperante ha colpito anche l'economia israeliana e, dunque, il paese di Ben Gurion e Golda Meir non fa certo eccezione, circa l'adozione e l'imposizione di ricette neo liberiste e politiche di austerità, fortemente marcate a destra e più o meno razziste, che sono la regola, ovunque, all'interno del modello leberal-democratico. D'altra parte, sullo scacchiere internazionale, dove lo stato sionista gioca il ruolo fondamentale di tenuta e difesa degli interessi occidentali, Netanyau garantisce una continuità, specie in merito al conflitto israelo-palestinese, genesi di tutte le guerre in atto in Medio Oriente, e al mantenimento dei territori occupati da Israele, illegalmente e in modo criminale. Per di più, con quello che sta succedendo, negli ultimi tempi, nella regione: lo spauracchio dell'ISIS, agitato su tutti i media mainstream del globo, la ridefinizione geopolitica e geostrategica in atto, gli interessi in gioco tra i poli imperialisti -Europeo, Statunitense, Sino-Russo ed Islamico: quest'ultimo, con le petromonarchie sempre più attive e decise a contrastare lo strapotere occidentale ed il suo colonialismo mercantile, specie per quel che riguarda la produzione petrolifera e la disposizione dei prezzi dell’oro nero- Bibi ed il suo Likud offrono maggiori certezze all'Occidente. L'alternativa, però, a ben considerare lo scenario politico israeliano, quale sarebbe stata? L'Unione Sionista di Isaac Herzog? Praticamente, la scelta era tra Mussolini e Badoglio.
E non è che il resto dei partiti, candidati ad occupare seggi alla Knesset, promettessero un cambio radicale del quadro d’insieme o il socialismo. Tranne la lista palestinese, piazzatasi terza, il resto è una pletora di partiti di centro, di destra e confessionali. Si va da Kuluna, movimento centrista, il cui leader, Moshe Khalon, aveva annunciato di essere pronto a governare sia con Netanyahu che con Herzog, al partito di destra nazionalista dei coloni, "Focolare Ebraico"; dai due partiti religiosi: la destra ultraortodossa dello Shas e lo United Torah Judaism, alla destra di Yisrael Beitenu, guidata dal 'falco' per eccellenza, il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman. Insomma, il cielo della politica israeliana appare alquanto fosco. Mentre, sulla Palestina diventa sempre più plumbeo. Intanto, all'orizzonte, s'intravede il solito governo di unità nazionale. Le larghe intese in salsa sionista.

martedì 3 marzo 2015

IL "SISTEMA" DE FUSCO, ELIOGABALO E LA MERCE TEATRANTE.

"Se intorno al cadavere di Eliogabalo, morto senza tomba, e sgozzato dalla sua polizia nelle latrine del proprio palazzo, vi è un'intensa circolazione di sangue e di escrementi, intorno alla sua culla vi è un'intensa circolazione di sperma. Eliogabalo è nato in un'epoca in cui tutti fornicavano con tutti. E né si saprà mai dove e da chi fu realmente fecondata sua madre. Per un principe siriano, quale egli fu, la filiazione avviene attraverso le madri. E in fatto di madri, vi è intorno a questo figlio di cocchiere, appena nato, una pleiade di Giulie. E ch'esse influiscano o no su un trono, tutte queste Giulie sono delle fiere puttane". Questo passo, tratto da "Eliogabalo o l'anarchico incoronato", di Antonin Artaud, mi fa venire in mente il megadirettore del neonato Teatro Nazionale Mercadante, Luca De Fusco: sacerdote e depravato, amministratore consapevole della disgregazione e dell’anarchia in seno ad un teatro italiano, sempre più vittima di consorterie, lotte intestine, malumori, invidie e su cui dominano, soffocanti, le leggi assolutistiche dell’economia di mercato. Ovviamente, a Napoli, tutto ciò assume un valore esponenziale, nutrendosi, vieppiù, del provincialismo, dell’inettitudine e della indole assistenzialista di una città che, culturalmente, sebbene attraversata da pulsioni anarcoidi, lo è in senso prettamente egoistico, restando essenzialmente borbonica e vaticana. Indole e cultura da cui non sono esenti, ahimè, gli artisti e gli intellettuali napoletani, fatta salva la faccia di qualcuno. Qui, tutti si sentono Carmelo Bene, Giorgio Strehler, Leo De Berardinis, Eleonora Duse, ma nessuno ne possiede lo spessore rivoluzionario, prima ancora che artistico. Ci si dimentica troppo spesso, infatti, che il teatro ed i teatranti sono stati, da sempre, un formidabile mezzo di contropotere, subendo scomuniche sia da parte della Chiesa che dei poteri statali. Non sta a me ricordare, ad esempio, che molte donne e molti uomini del palcoscenico venivano seppelliti in terra sconsacrata. Ed invece, oggi, tutti o quasi sembrano fare a gara per salire sul carrozzone dei potenti di turno. Si chiamino PD o PDL. E questo, al solo scopo di coltivare un personalissimo orticello, sempre più arido ed infruttuoso.
Ciò detto -e premesso che, personalmente, i teatri, specie gli Stabili, li incendierei tutti; come i Musei, previa rimozione, è ovvio, dei capolavori in essi contenuti: la museificazione dell'Arte -ad ogni livello- è ciò che ha ucciso l'Arte stessa ed il piacere di godere dell'opera; l'ha trasformata in masturbazione intellettualistica ed in cultura di Potere e ha, altresì, ucciso il genio, lasciandoci in balia di squallidi talenti e di critici trasformati in agenti pubblicitari- io resto della mia idea, più volte espressa. Quando si deciderà di occupare il Mercadante Teatro Nazionale, e di cacciare il suo, ovviamente abbronzato -sentendosi Eliogabalo, mi pare logico- direttore, Luca De Fusco -uno zero come uomo di teatro ed un furfante come direttore artistico ed amministratore dei soldi pubblici- non sarà mai troppo tardi. Ma certo, se si continua a far finta di nulla, perché lamentarsi è comodo ma lavorare è necessario –e mi rivolgo soprattutto a quegli artisti che si definiscono di sinistra e addirittura comunisti- allora questo “signore”, nipote di Letta, espressione delle larghe intese, con l'avallo, di fatto, del sindaco De Magistris -sempre pronto a criticarne l'operato, ma mai capace di far seguire i fatti alle sterili parole- e sintesi perfetta della mercificazione consumistica, di cui sono oggetto anche la cultura ed il teatro, nel nostro paese ma non solo, potrà continuare a sentirsi Eliogabalo e a guadagnare 290.000 euro. E le sue fanatiche eccentricità nichiliste, ce le meritiamo tutte.
Chiudo con una nota, di carattere più personale. In un simile scenario, è deprimente anche recensire gli spettacoli. Per questo, ho preferito non dedicarmi più alla “critica teatrale”: fermo restando che mi sono sempre definito un umile cronista. Ci ho la mia dignità. io!

venerdì 27 febbraio 2015

IL NUOVO VANGELO SECONDO MATTEO: PROVE TECNICHE DI REPRESSIONE

Ma non era Cristo, il rivoluzionario Gesù, a cacciare i mercanti dal tempio, perché lo disonoravano con le loro merci ed i loro affari? E allora, com'è che, invece, nell'urbs aeterna, dove ha sede la somma incarnazione della casa di dio, oggi sono stati i servi dei servi dei mercanti a cacciare, con la violenza, i poveri, i senza casa, insomma gli ultimi, dalla dimora del signore? Senza che curia, vertici vaticani e neanche quel comunista di Papa Ciccio abbiano detto una sola parola. Nel Vangelo secondo Matteo -quello vero- si legge: "Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e disse loro: "Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Ma voi ne fate una spelonca di ladri". Ogni tanto, una rilettura ai vangeli, forse, sarebbe il caso di darla, eh caro Francesco? Semmai, organizzando qualche seminario? Ma no! La Chiesa è salda e sempre dalla parte del più forte e del governo. D'altronde, Bergoglio sa con chi stare, sin dai tempi dell'Argentina di Videla. E poi dice che uno definisce la cultura italica chiericofascista.
Domani, a Roma, si terrà una kermesse fascista. Io, infatti, Salvini non lo definisco leghista. E' un fascista di cultura terzoposizionista ed un razzista. Ma le forze dell'ordine della Repubblica italiana, nata dalla Resistenza proprio al nazifascismo, chi manganellano? Ovviamente, i movimenti per la casa e gli antifascisti. Addirittura in chiesa. Pare sia il nuovo concetto di compassione democratico-sinistrodestrorsa, elaborato, in quarant’anni di paziente consociativismo, dagli eredi del PCI, in combutta con padroni, banchieri, finanzieri e satrapi nostrani. Ma no pasaran.

IL NUOVO DECRETO ANTITERRORISMO: TRA ORWEL E FOUCAULT

Più repressione. Più guerra. Più razzismo. Costituzione di una superprocura antiterrorismo, accorpata a quella antimafia. Immunità, quasi illimitata, per gli agenti dei servizi segreti: molto probabilmente anche con l’estensione alla licenza di uccidere. E, per chiudere, quell’ allure di anticomunismo, che non guasta mai e non poteva certo mancare. Sorge spontaneo chiedersi, infatti, come questo decreto verrà utilizzato nei confronti dei movimenti, degli antagonisti e di tutti coloro che dissentono, da sinistra ed in modo radicale, con le politiche neoliberiste, imposte dalla trojka, a partire dai No Tav, No Muos e No Triv. Questi, dunque, i principi ispiratori alla base del nuovo decreto antiterrorismo, varato dal Consiglio dei Ministri. Un decreto che, facendo leva sul sentimento di paura, nei confronti dell’Isis, diffuso a piene mani da politici e media, si appresta a restringere, ulteriormente, il nostro già angusto orizzonte di libertà, e ad allargare, d’altro canto, quello del controllo asfissiante di uno stato italiano, sedicente democratico e liberale, sempre più piegato, invece, alle logiche che sovrintendono alle dinamiche geopolitiche tipiche dell’imperialismo, e sottese al sistema mercantile imposto dal grande capitale finanziario e monopolistico. Ci avviamo, a grandi passi, sempre più verso una società controllata capillarmente, in tutti i suoi aspetti e settori. Altro che “1984” di Orwell o “Sorvegliare e Punire” di Foucault. Il fascismo è, oramai, la realtà. Con cui bisogna fare, quotidianamente, i conti.

giovedì 5 febbraio 2015

IN RICORDO DI FRANCA SALERNO

Il 3 febbraio 2011 moriva, a Roma, Franca Salerno. Comunista combattente, guerrigliera e militante dei Nuclei Armati Proletari. Sedici anni di carcere duro, speciale, alle spalle. Il 22 gennaio del 1977, evade dall’istituto di pena di Pozzuoli, insieme alla compagna Maria Pia Vianale, cofondatrice dei NAP. Nel luglio dello stesso anno, la riarrestano. Franca è incinta di Antonio: l’amatissimo figlio, che perderà, nel 2006, per un incidente sul lavoro. Partorisce nell’inferno del carcere di Badu e Carros, nel nuorese. Nonostante questo, le istituzioni penitenziarie del democratico e umanissimo stato borghese, la tengono in isolamento.
In una vecchia intervista, Franca racconta: «Sono stata arrestata ed ero incinta, ma mi hanno picchiata. Al momento dell’arresto, i poliziotti gridavano “Ammazziamole, facciamole fuori”. Se non ci fosse stata la gente a guardare dalle finestre, sarebbe stata un’esecuzione. A Pia hanno sparato perché si era mossa. Ricordo i loro occhi, dentro c’era rabbia e eccitazione; erano fuori di sé perché eravamo donne. Averci prese, per loro, era una vittoria anche dal punto di vista maschile» E ancora: «Avevo questo bambino in pancia e volevo salvaguardare la sua vita. Antonio (Lo Muscio ndr) era morto, Pia era stata portata via con l’autoambulanza ferita, io ero sul selciato e gridavo sono incinta, ma da ogni autocivetta uscivano uomini e picchiavano. Sino a quando è arrivato anche per me il momento di andare in ospedale». Alla domanda, se avesse dimenticato il carcere, così rispondeva: «Lo sogno continuamente. E per me sognare non è una seconda vita. Per me il carcere è presente, come sono presenti i compagni e le compagne che sono ancora dentro, a scontare una pena che non ha fine. In nessun modo disposti però a barattare dignità e rispetto di se stessi in cambio di libertà. Abbiamo rincorso l’utopia di un mondo migliore e mai l’interesse personale. Non lo faremo adesso». L’Utopia dell’assalto al cielo e della Rivoluzione. L’integrità, la dignità e l’orgoglio delle proprie idee. Delle proprie azioni. Della propria Storia.
La nostra Storia. Le nostre Lotte. Il nostro Cuore. Che la terra ti sia lieve in eterno, Franca

martedì 27 gennaio 2015

L’ANTIFASCISMO MILITANTE E’ UN DIRITTO ED UN DOVERE

A Cremona, sindaco e cittadini s'indignano per qualche vetrina rotta di banca -quelle stesse banche che li affamano e li ricattano e contro cui, di solito, protestano- e perché gli antagonisti hanno assaltato il locale comando di Polizia. Nessuna indignazione, invece, per la vile aggressione contro il Centro Sociale Dordoni, portata a termine, alcuni giorni or sono, dalla teppaglia fascista di Casa Pound. Un'aggressione che ha avuto, come conseguenza estrema, il ferimento, con emorragia cerebrale e susseguente coma, del compagno Emilio Visigalli, preso a calci, pugni e sprangate dai casapoundini. Evidentemente, per i cremonesi, sono più importanti le banche che la vita di un essere umano. Se poi è comunista, allora, quella vita sembra non avere alcun valore.
Il sindaco Gianluca Garimberti, pertanto, non solo ha minacciato una risposta durissima, contro gli appartenenti ai centri sociali e gli antagonisti -che basta chiamare Black Block per giustificare qualunque repressione- scesi in piazza per protestare contro l’infame attacco squadristico; ma avrebbe voluto anche vietare il concerto della napoletana 99 Posse, a causa di un post, uscito su Fb, con cui gli amici Luca Persico, Marco Messina, Sacha Ricci e Massimo Jovine hanno risposto, e giustamente, all'inquietante episodio di matrice fascista. Il post così recitava: "Più bastoni meno tastiere". Un invito aperto alla violenza, ha dichiarato il sindaco. E non già, come effettivamente è, un appello all’antifascismo militante che, di una società democratica, la cui costituzione è nata proprio dalla Resistenza al nazifascismo, dovrebbe essere la pietra fondante. Una società che, ipocritamente, festeggia la giornata della memoria e, dunque, la fine dell’incubo, in cui Hitler e Mussolini avevano sprofondato il mondo, ma che lascia rientrare, dalla porta principale, i degni eredi di quella storia e di quella dottrina, folle e scellerata; mentre perseguita, reprime, arresta e criminalizza chi ad essa si oppone.
Da qualche anno in qua, infatti, la violenza sembra essere solo quella dei centri sociali, dei movimenti, dei gruppi anarchici o dei comunisti extraparlamentari. è di oggi, tra l’altro, la notizia della vergognosa sentenza con cui si è chiuso il processo, a carico di 47 appartenenti al movimento No Tav, che ha visto comminare la bellezza di 150 anni di carcere, per gli scontri in Val di Susa. Un’enormità, che la dice lunga sull’atteggiamento repressivo che lo stato sta adottando nei confronti di chi dissente dalle politiche neoliberiste, imposte dalla Troika. In pratica, stiamo assistendo ad un ritorno al passato degli anni ‘60/ '70 quando, tra lo stato borghese, i suoi apparati di difesa –polizia, carabinieri, servizi- e i fascisti, si era realizzata una chiara saldatura ed un rapporto di contiguità, con i primi che si servivano dei secondi per la realizzazione di attentati , per mettere bombe e per gettare nel caos la società italiana, al fine di preparare un’ eventuale svolta autoritaria o l’avvento di una nuova dittatura parafascista. Chiaramente, addossando la responsabilità di tutto ciò alle forze marxiste e rivoluzionarie, impegnate, ieri come oggi, nella lotta per i diritti e la libertà della classe operaia e lavoratrice e per difendersi dall’offensiva reazionaria, il cui obiettivo era –ed è- annientarne la soggettività politica.
Or dunque, se lo mettano bene in testa, questure, istituzioni e gruppi di estrema destra. IL fascismo, in questa nazione, non lo vogliamo e non ha cittadinanza politica. Perciò, gli antifascisti risponderanno sempre, all’ infame ritorno dello squadrismo. Colpo su colpo.

mercoledì 14 gennaio 2015

RE GIORGIO, BERLINGUER, GRILLO E LA SUPREMA IPOCRISIA DEI DEMOCRATICI.

Re Giorgio si è finalmente dimesso. Uno dei peggiori presidenti della storia repubblicana italiana - e, considerati i predecessori, non era facile meritarsi un simile appellativo- il fautore delle larghe intese in stile tedesco; colui che ha avallato, non certo da giudice super partes, tutte le controriforme sul lavoro, imposte dalla Trojka, e la macelleria sociale che da esse è scaturita; colui che ha fatto scempio della costituzione, pur di fare gli interessi di banche e di mercati; l'umile servo del capitale internazionale; il cavallo di troia degli americani, da sempre in sospetto di essere uomo CIA, con la sua corrente migliorista, all'interno del PCI, da oggi, lascia il Quirinale. Non dubitiamo che, al suo posto, sarà eletto un altro burattino, al quale FMI, UE e BCE, con la supervisione delle multinazionali, tireranno i fili. Renzi e tutti i democratici, insieme alla destra neoliberista, lo ringraziano E allora, a Renzi e a quelli del PD, che, ieri come oggi, hanno tessuto e tessono le lodi di questo vecchio furfante della politica italica, maestro dell'inciucio e del compromesso, leader del consociativismo più volgare, e che, appena pochi mesi fa, si indignavano perché Grillo -ma guarda se, a causa di Napolitano, devo anche prendere le parti dei 5 Stelle- faceva il nome di Berlinguer, che il primo ministro ascriveva alla sua, alla loro storia, vorrei rinfrescare la memoria. Io, che picciista non sono mai stato. Anzi, a quel PCI e a Berlinguer, come è noto, non ho mai risparmiato, per storia e cultura politica, critiche durissime. Dunque, ciò precisato, veniamo al fatto.
Durante una drammatica Direzione Nazionale del PCI, che si tenne, nel 1981, all'indomani di un'enorme crisi che si era aperta all'interno del partito, proprio tra l'ala migliorista di Napolitano e la segreteria di Berlinguer, quest'ultimo così si esprimeva: "Io ho capito molto bene che c'è qui una parte di voi che vuole trasformare il Pci in un partito socialdemocratico. Sappiate che io a questa cosa non ci sto e che io non sarò mai il segretario di un tale partito. Se voi volete fare una cosa del genere lo farete senza di me e contro di me”. Poco più tardi, Berlinguer morì. Ognuno sa come le cose siano andate, sino a quale punto si sia spinta l'abiura e quale approdo abbia conosciuto il Pci, nella sua impressionante metamorfosi, dopo la svolta della Bolognina. Oggi, un partito che già aveva abbandonato a sè stessa la classe operaia durante gli anni '70 e '80 -e che di errori ne aveva già commessi non pochi, anni prima- ha abbracciato in pieno la sua deriva liberista. Non sorprende, dunque, che Giorgio Napolitano sia stato, di questa svolta, mentore e interprete. Come non sorprende che gente come Mario Monti, uomo della Trilateral, abbia potuto trovare in lui il più convinto sostenitore. Come, d'altronde, l'autoritario e narcisista Renzi. Dunque, cari democratici, mettetevi d'accordo. Siete con Napolitano o con Berlinguer? Il vostro pantheon mi sembra un po' troppo vasto. Non si può andare da Papa Francesco a Che Guevara. Passando pure per la Thatcher. Un minimo di coerenza e serietà, Non chiedo altro. E che cazzo!

giovedì 8 gennaio 2015

VECCHI E NUOVI MEDIO EVI

Cui prodest haec turpis lis? direbbe Seneca. Ed intendo tutta la vicenda dell'eccidio parigino. Stamattina, ad esempio, la Le Pen ha lanciato l'idea di un sondaggio sul ripristino della pena di morte. Ma questo è solo l'effetto più immediato e visibile, dell’attentato contro la redazione del giornale satirico, Charlie Hebdo. Sento parlare, ovunque, di difesa dei valori occidentali. Di conflitto culturale. Di problema inter-religioso. Di contrapposizione tra Occidente progressista, libero e democratico ed Islam retrogrado, oppressivo e teocratico. Ovviamente, tutti immersi nel fiume dell’oblio storico e, quindi, dimentichi del fatto che, al mondo arabo ed all'Islam, sono settecento anni che gli stiamo saccheggiando cultura e terre, con la pretesa pure di civilizzarli. Prima con le crociate, poi con il colonialismo delle grandi potenze europee, oggi con l'imposizione capitalistica dell'economia di mercato e del nostro pseudo modello democratico, esportato con guerre e bombe.
Sulla libertà della democrazia borghese, poi, sinceramente, glisserei. Per pudore. A parte la pena di morte vigente ancora in USA, vogliamo parlare di Guantanamo? Di Abu Ghraib? Del Patriot Act? Delle torture che vengono perpetrate nelle nostre patrie galere? Delle violenze impunite della polizia, alle nostre democratiche latitudini? Si eccepirà: ma tu qui puoi criticare chi vuoi e hai libertà di parola. Certo, e come no! Fermo restando che le conseguenze che puoi pagare, se veramente la eserciti la libertà di pensiero e di parola, sono praticamente equiparabili alla morte civile. E se te la prendi col Papa o con dio, un qualche sospetto di schizofrenia paranoide o di invasamento demoniaco pure lo desti. Per non dire della questione femminile. Nell'islam, le donne sono costrette a portare il velo e vengono punite con la lapidazione, se non filano dritto: il che vuol dire se non si sottomettono alla volontà fallocratica. Certo, da noi non è così. Noi le ammazziamo nella loro completa libertà di azione. O le facciamo diventare oggetto di piacere per miliardari. Colpa loro? Forse, ma quando la cultura che domina è quella del denaro, qualche domanda me la porrei. O le ricattiamo sessualmente per farle lavorare: e meglio se sono straniere. Non dimentichiamoci, inoltre, che, fino al 1981, praticamente fino a trentacinque anni fa, in Italia, vigeva il delitto d'onore. Per non parlare della linea di difesa assunta, nel 1976, dall'avvocato dei tre macellai del Circeo, Gianni Guido, Angelo Izzo ed Andrea Ghira, il quale affermò, molto andreottianamente, bisogna dire, che le due donne, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, stuprate ripetutamente e poi  massacrate con l’intenzione di ucciderle –la Lopez morì per gli abusi e le violenze, mentre la Colasanti si salvò, fingendosi morta- se l’erano cercata, perché erano salite nella macchina dei tre ragazzi.
Quindi, per favore, non azzardiamoci a dare lezioni di libertà, progresso e democrazia a nessuno. L’Occidente intero non può permetterselo. E men che meno l’Italia. Da sempre paese intriso di cultura cattofascista!

mercoledì 7 gennaio 2015

CARO GAD LERNER, ALMENO SU NAPOLI SI TACCIA!

In un tweet, comparso ieri sera, il maitre a penser repubblichino, Gad Lerner, così si esprimeva: “La napoletanità tracima spesso in una retorica da cui una persona intelligente come Pino Daniele non a caso ha scelto di prender le distanze”.
Caro Gad, che cosa rispondere a cotanta dimostrazione di insulsaggine umana, intrisa di pontificante narcisismo, classismo borghese, razzismo antimeridionale e snobismo intelletualistico? Provo a farlo, attraversato, sia ben chiaro, da un moto di disgusto altrettanto intriso di presunzione, snobismo intellettuale, disprezzo di classe e poca simpatia –badi, non razzismo, a differenza sua- per chi, da nordista, non perde occasione per offendere il mio, il nostro mezzogiorno. Delle sue ambiguità sionistiche, invece, non parlo, soltanto perché questa non mi sembra la sede adeguata.
Or dunque, vediamo. Personalmente, non amo le celebrazioni pubbliche dei grandi personaggi , intrise spesso, è vero, di intollerabile retorica. Non amo l'ostentazione, autoreferenziale e un po' volgare, dei moti dell’animo e del cuore. Credo che, in tutti i casi, ma specie in quelli di lutto, silenzio e ed intimo cordoglio sarebbero atteggiamenti più consoni e, forse, anche rispettosi di un sentimento, tanto personale, come la morte. D’altronde, s’immagini, io non tollero neanche i funerali. Da quando c'è facebook, poi, qui è un eterno profluvio di atti ostensivi e riti commemorativi, ai limiti della pornomania necrofila. è, dunque, per questi motivi, che non sono andato, ieri sera, al flash mob, organizzato in Piazza Plebiscito, per salutare Pino.
Ciò detto, caro e poco stimabile Gad, non solo capisco chi, invece, si è recato lì per un ultimo saluto, ma comprendo la valenza simbolica di quel rituale pubblico, pervaso dal desiderio collettivo di condividere un lutto. Ieri sera, infatti, in Piazza, non si è celebrata la morte di un qualunque personaggio famoso; non si è dato sfogo al sentimentalismo retorico di un sud e di una Napoli tracimanti e rozzi -questo lei, in fondo, voleva dire- nell’espressione delle loro emozioni più profonde; non è andata in scena una fiction televisiva. No, caro Gad! Ieri, a Napoli, è andato in scena il teatro, nella sua forma ancestrale, di τραγῳδία – τράγος ᾠδή: canto del capro- di tragedia, dunque. Si è celebrato, in pratica, un rituale collettivo pagano e plebeo, nella sua accezione più aristocratica. Si è festeggiato Dioniso, nella città più dionisiaca del mondo. La morte, dunque, in tal senso, non è distacco ma resurrezione immediata. Resurrezione, perciò, non in senso moralistico e cattolico, ma nel senso di rinnovamento della vita fisica, di una presenza viva ed eterna tra gli uomini. Di ritorno al vino ed all’ebbrezza. Ieri sera, a Napoli, non si è tenuta, pertanto, una messa funebre. Si sono glorificate, nella loro coincidenza, la Vita e la Morte. La Poesia e la Musica.
Pino Daniele non era, non è stato, non è un uomo qualunque. Era, è stato ed è il nostro Dioniso. Era, è stato ed è la carne, le viscere, il cuore, il sangue, lo sperma e la merda di Napoli. Il suo poeta, il suo cantore, il suo pittore. Insomma, un uomo ed un dio insieme. Non capire questo, significa non aver capito nulla di Napoli e della sua profondissima cultura pagana. E significa non aver capito nulla di Pino Daniele. Che, forse, per motivi personali e per tranquillità –Napoli è città difficilissima da vivere, su questo non vi è dubbio- avrà anche preferito vivere altrove, ma che non sarebbe stato l’artista che è stato, ed è, se non si fosse nutrito della sua città. Pino e Napoli sono stati e sono un corpo solo. Napoli lo ha partorito e plasmato. Lui a Napoli si è offerto in pasto. Dunque, caro Gad Larner, almeno su Napoli, abbia la compiacenza di tacere!

sabato 3 gennaio 2015

MAGISTRATURA A CINQUE STELLE E FASCI LITTORI

Scrivevo ieri, a proposito della candidatura a Presidente della Repubblica, avanzata dai Cinque Stelle, dell'ex magistrato Ferdinando Imposimato, uno che ha edificato la sua carriera, giudiziaria e politica, di ex PCI, costruendo teoremi sulle Brigate Rosse, mandando in galera compagni e pubblicando libri-rivelazione sul caso Moro, rivelatisi poi, alla prova dei fatti, delle gran fandonie, che meglio sarebbe candidare Pinocchio. Poi, però, stamane, leggendo la lista dei nomi scelti dai pentastellati nel 2012, per la più alta carica dello stato, mi accorgo che figuravano, oltre ad Imposimato, ben altri due togati: Gustavo Zagrebelsky e, niente popo di meno che, Giancarlo Caselli. Ora, mentre sul primo mi limiterei a dire che, in quanto giudice, Presidente della Corte Costituzionale, ed editorialista della Stampa e di Repubblica, lo considero un membro dell'establishment borghese, vicino a quel PD, insulso e neoliberista, contro cui i grillini pure si scagliano; su Caselli, invece, c'è proprio da incazzarsi. L'inquisitore torinese, infatti, oltre ad avere, anch'egli, fatto carriera, in magistratura democratica, mandando in galera, nel corso degli anni '70, con l'ausilio delle vergognose leggi speciali, decine di compagni, tra cui Renato Curcio, e ad aver architettato, come Imposimato, castelli accusatori quantomeno ai limiti del surreale, pur di veder trionfare “l'ideale di giustizia” borghese e di classe, è anche colui che, negli ultimi anni, ha deciso di perseguire gli attivisti No Tav, accusandoli di terrorismo, per due molotov ed un compressore rotto. Ed è lo stesso che, quando la Corte d’Assise di Torino ha assolto, da quella ridicola accusa, Claudio, Niccolò, Mattia e Chiara, non ha esitato a parlare di errore e, riferendosi al movimento valsusino, di "ondata di violenza che si pone al di fuori della democrazia". Insomma, l’ex procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli è praticamente il boia di quello stesso movimento che, i cinque stelle, dicono di sostenere. Dunque, si mettano d'accordo, una buona volta, con loro stessi, gli apostoli del novello Savonarola. O sostengono la rivoluzione o la reazione. Con entrambi non si può stare.
Infine, un brevissimo cenno storico, tanto per chiarire. Nell'antica Roma, i dictatores erano magistrati, titolari di un grado di potere, chiamato "maggior potere" (maior potestas) ed il loro simbolo erano i fasci littori. Ora, considerando il rinascente fascismo, in Europa ed in Italia, e la non certo chiara collocazione politica dei pentastellati, non vorrei che, a furia di eleggere magistrati e di affidare loro la normalizzazione di questo paese, con manette e galere, si finisca dritti dritti in una nuova celebrazione dei fasti di Roma Imperiale.

MAGISTRATURA A CINQUE STELLE E FASCI LITTORI

Scrivevo ieri, a proposito della candidatura a Presidente della Repubblica, da parte dei Cinque Stelle, dell'ex magistrato Ferdinando Imposimato, uno che ha edificato la sua carriera, giudiziaria e politica, di ex PCI, costruendo teoremi sulle Brigate Rosse, mandando in galera compagni e pubblicando libri-rivelazione sul caso Moro, rivelatisi poi, alla prova dei fatti, delle gran fandonie, che meglio sarebbe candidare Pinocchio. Poi, però, stamane, leggendo la lista dei nomi scelti dai pentastellati nel 2012, per la più alta carica dello stato, mi accorgo che figuravano, oltre ad Imposimato, ben altri due togati: Gustavo Zagrebelsky e, niente popo di meno che, Giancarlo Caselli. Ora, mentre sul primo mi limiterei a dire che, in quanto giudice, Presidente della Corte Costituzionale, ed editorialista della Stampa e di Repubblica, lo considero un membro dell'establishment borghese, vicino a quel PD, insulso e neoliberista, contro cui i grillini pure si scagliano; su Caselli, invece, c'è proprio da incazzarsi. L'inquisitore torinese, infatti, oltre ad avere, anch'egli, fatto carriera, in magistratura democratica, mandando in galera, nel corso degli anni '70, con l'ausilio delle vergognose leggi speciali, decine di compagni, tra cui Renato Curcio, e ad aver architettato, come Imposimato, castelli accusatori quantomeno ai limiti del surreale, pur di veder trionfare “l'ideale di giustizia” borghese e di classe, è anche colui che, negli ultimi anni, ha deciso di perseguire gli attivisti No Tav, accusandoli di terrorismo, per due molotov ed un compressore rotto. Ed è lo stesso che, quando la Corte d’Assise di Torino ha assolto, da quella ridicola accusa, Claudio, Niccolò, Mattia e Chiara, non ha esitato a parlare di errore e, riferendosi al movimento valsusino, di "ondata di violenza che si pone al di fuori della democrazia". Insomma, l’ex procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli è praticamente il boia di quello stesso movimento che, i cinque stelle, dicono di sostenere. Dunque, si mettano d'accordo, una buona volta, con loro stessi, gli apostoli del novello Savonarola. O sostengono la rivoluzione o la reazione. Con entrambi non si può stare.
Infine, un brevissimo cenno storico, tanto per chiarire. Nell'antica Roma, i dictatores erano magistrati, titolari di un grado di potere, chiamato "maggior potere" (maior potestas) ed il loro simbolo erano i fasci littori. Ora, considerando il rinascente fascismo, in Europa ed in Italia, e la non certo chiara collocazione politica dei pentastellati, non vorrei che, a furia di eleggere magistrati e di affidare loro la normalizzazione di questo paese, con manette e galere, si finisca dritti dritti in una nuova celebrazione dei fasti di Roma Imperiale.