In un tweet, comparso ieri sera, il maitre a penser repubblichino, Gad Lerner, così si esprimeva: “La napoletanità tracima spesso in una retorica da cui una persona intelligente come Pino Daniele non a caso ha scelto di prender le distanze”.
Caro Gad, che cosa rispondere a cotanta dimostrazione di insulsaggine umana, intrisa di pontificante narcisismo, classismo borghese, razzismo antimeridionale e snobismo intelletualistico? Provo a farlo, attraversato, sia ben chiaro, da un moto di disgusto altrettanto intriso di presunzione, snobismo intellettuale, disprezzo di classe e poca simpatia –badi, non razzismo, a differenza sua- per chi, da nordista, non perde occasione per offendere il mio, il nostro mezzogiorno. Delle sue ambiguità sionistiche, invece, non parlo, soltanto perché questa non mi sembra la sede adeguata.
Or dunque, vediamo. Personalmente, non amo le celebrazioni pubbliche dei grandi personaggi , intrise spesso, è vero, di intollerabile retorica. Non amo l'ostentazione, autoreferenziale e un po' volgare, dei moti dell’animo e del cuore. Credo che, in tutti i casi, ma specie in quelli di lutto, silenzio e ed intimo cordoglio sarebbero atteggiamenti più consoni e, forse, anche rispettosi di un sentimento, tanto personale, come la morte. D’altronde, s’immagini, io non tollero neanche i funerali. Da quando c'è facebook, poi, qui è un eterno profluvio di atti ostensivi e riti commemorativi, ai limiti della pornomania necrofila. è, dunque, per questi motivi, che non sono andato, ieri sera, al flash mob, organizzato in Piazza Plebiscito, per salutare Pino.
Ciò detto, caro e poco stimabile Gad, non solo capisco chi, invece, si è recato lì per un ultimo saluto, ma comprendo la valenza simbolica di quel rituale pubblico, pervaso dal desiderio collettivo di condividere un lutto. Ieri sera, infatti, in Piazza, non si è celebrata la morte di un qualunque personaggio famoso; non si è dato sfogo al sentimentalismo retorico di un sud e di una Napoli tracimanti e rozzi -questo lei, in fondo, voleva dire- nell’espressione delle loro emozioni più profonde; non è andata in scena una fiction televisiva. No, caro Gad! Ieri, a Napoli, è andato in scena il teatro, nella sua forma ancestrale, di τραγῳδία – τράγος ᾠδή: canto del capro- di tragedia, dunque. Si è celebrato, in pratica, un rituale collettivo pagano e plebeo, nella sua accezione più aristocratica. Si è festeggiato Dioniso, nella città più dionisiaca del mondo. La morte, dunque, in tal senso, non è distacco ma resurrezione immediata. Resurrezione, perciò, non in senso moralistico e cattolico, ma nel senso di rinnovamento della vita fisica, di una presenza viva ed eterna tra gli uomini. Di ritorno al vino ed all’ebbrezza. Ieri sera, a Napoli, non si è tenuta, pertanto, una messa funebre. Si sono glorificate, nella loro coincidenza, la Vita e la Morte. La Poesia e la Musica.
Pino Daniele non era, non è stato, non è un uomo qualunque. Era, è stato ed è il nostro Dioniso. Era, è stato ed è la carne, le viscere, il cuore, il sangue, lo sperma e la merda di Napoli. Il suo poeta, il suo cantore, il suo pittore. Insomma, un uomo ed un dio insieme. Non capire questo, significa non aver capito nulla di Napoli e della sua profondissima cultura pagana. E significa non aver capito nulla di Pino Daniele. Che, forse, per motivi personali e per tranquillità –Napoli è città difficilissima da vivere, su questo non vi è dubbio- avrà anche preferito vivere altrove, ma che non sarebbe stato l’artista che è stato, ed è, se non si fosse nutrito della sua città. Pino e Napoli sono stati e sono un corpo solo. Napoli lo ha partorito e plasmato. Lui a Napoli si è offerto in pasto. Dunque, caro Gad Larner, almeno su Napoli, abbia la compiacenza di tacere!
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