Era una sera rovente, d’agosto. Sul terrazzo di una casa, in uno di quei vicoli che grondano lacrime e sputano affanni, di questa città d’angoscia e d’asfalto, ero intento a farmi saltare il cervello, puntando alla tempia bottiglie di vino e di rhum. Lei, una bruna dalla pelle levigata come il mogano, sul volto un sorriso abbozzato, simile ad una vezzo di ricercata strafottenza, mi sedeva di fronte. I suoi occhi neri , ossessivi, da bambola lacerata fin nell’ultimo lembo di carne, mi scrutavano, alla ricerca di chissà quale fottuto segreto. Si parlava di letteratura, di arte, di politica. E intanto si beveva molto, nonostante un caldo da bestemmia.
“Ma che cazzo vuoi, bella?” pensavo tra me. “Io voglio solo sbatterti ad un muro e scoparti, fino a macerare la tua anima di vetro e di giada. Voglio strappare via il tuo volto, bruciare le tue lacrime, spegnere l’ultima fioca luce di vita e di vergogna”. Ecco qual è il fottuto segreto che cerchi! “E voglio che la tua bocca mi mastichi, uccidendo in me ogni puerile sussulto di passione ”.
Lei, allora, sembrò capire. Si alzò e si fece raggiungere in cucina. Ci guardammo, un solo istante. “Non lo fare” mi disse implorando. Era ovviamente un invito. Misi la mia lingua nella sua bocca che, avida, si aprì.
Senza fretta, le abbassai i pantaloni, carezzandole le cosce perfette. Mi inginocchiai e, come un bastardo da strada tuffa il suo muso in un barattolo di miele, trovato tra i rifiuti, cominciai a leccarle le mutandine. Non so se più ubriaco o arrapato, dalla cucina la trascinai giù, nella sua camera Appoggiata mollemente alla porta dell’armadio, lei si lasciò fare. La mia lingua scorreva lievemente, tra le sue labbra. La guardavo morire, come in uno specchio. Mentre io stesso annegavo nella notte, che mi avrebbe seppellito.
(RACCONTI)
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