Rothko Chapel

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"L'estensione logica del business è l'omicidio!" (D. Cronenberg)

lunedì 7 maggio 2018

PRIMO MAGGIO E NUOVE RESISTENZE

A margine del Primo Maggio trascorso, ed anche in considerazione dei fatti di Parigi,  credo che vada necessariamente detta una cosa. La distruzione dei simboli del capitalismo -tra cui l'icona McDonald's- dovrebbe essere un imperativo etico di qualunque forza comunista, anticapitalista, rivoluzionaria. Possiamo, poi, discutere del metodo, dell'opportunità strategica del contesto e di tecniche di guerriglia. Ma l'abbattimento di quei simboli è fuori discussione.

Pertanto, sentir  parlare -all'indomani degli scontri nella capitale francese- il leader di La France Insoumisse, Jean-Luc Melenchon, di infiltrazioni fasciste nel corteo di Parigi -solo perché quelli che, nella narrazione inquinante del potere mainstream, vengono identificati come violenti Black Block, hanno esattamente messo in atto una piccola guerriglia urbana, rompendo vetrine ed incendiando qualche negozio, simbolo del Capitale- è la sintesi paradigmatica dell'ambigua filosofia dell'ordine pubblico e dell'idea di pace sociale, che ispirano la sinistra istituzionale, compatibilista e concertativa europea. Dagli anni '70, se non prima. D'altronde, qui in Italia, quando, terminata la seconda guerra mondiale, alcuni gruppi di partigiani comunisti, contrariamente a quanto ordinato dal Pci, si rifiutarono di deporre le armi e giustiziarono i fascisti amnistiati dal decreto Togliatti -fascisti che avevano commesso, dal settembre '43, ogni sorta di crimine e di porcata contro la popolazione  resistente dell'Italia settentrionale-  l'organo del partito comunista italiano, L'Unità, tacciò di trotskismo e parlò, vigliaccamente, di sinistrismo come "maschera della Gestapo" (Pietro Secchia ndr),  riferendosi a quegli stessi partigiani, insofferenti al ripristino dell'ordine borghese. I fatti di Schio ne costituiscono un esempio eclatante.

Or dunque, oggi come allora, quello stesso ordinamento, che trova la sua compiuta realizzazione ed il suo assetto formale nello Stato liberale e nei comitati d'affare sovranazionali e ultra liberisti -l'Unione Europea e la sua gabbia di soffocanti trattati, tanto per intenderci-  non si scardina, non si rompe con la mediazione di classe, la pacificazione sociale o qualche manifestazione attenta a non turbare il tranquillo andamento della vita cittadina. I rapporti di forza non si sovvertono senza forzare i limiti, sempre più restrittivi, imposti da pseudo regolamenti questurini. Il sistema di produzione capitalistico ed il suo processo di accumulazione, ormai sempre più irreale, visionario, cinico e violento, non si muta sfilando in cortei improntati alla ragionevolezza e al buon senso civico.  La repressione, spesso cruenta, delle forze dell'ordine, non si combatte senza un ricorso alla "violenza di classe".  La Rivoluzione non si fa senza alzare ed inasprire il livello del conflitto in atto nelle piazze, nelle scuole, nelle università ma, soprattutto, in quei luoghi di lavoro dove si assiste, quotidianamente, alla cancellazione dei diritti, alla mortificazione della dignità, all'espropriazione del corpo e dell'intelligenza, fino all'usurpazione della stessa vita del lavoratore, spesso messa a rischio di morte. È triste dirlo, ma bisogna cominciare a prendere atto di questa insopprimibile e cupa realtà. Prima che le elite finanziarie, gli Stati, il Capitale non ci lascino più scampo.  Come diceva Edmund Burke «Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all'azione». E, per essere chiari, qui il Male sono il capitalismo, la sua deriva neoliberista, il mercato. E quel simulacro chiamato, ormai, democrazia liberale o socialdemocrazia!

Vincenzo Morvillo

mercoledì 10 gennaio 2018

BENE...BRAVI...NO AL 41BIS

Dall'art.90 al 41bis, la vocazione repressiva dello Stato liberal-borghese -comprendente arresti indiscriminati, carceri speciali, tortura, fino alle forme detentive restrittive, che violano i diritti umani- ha sempre trovato il sostegno della sinistra manettara. A partire da quel P.C.I. -autoproclamatosi difensore assoluto della classe operaia- che, nel nome della governabilità, di un simulacro di "democrazia" sempre più elitaria, e dell'accesso secondario al banchetto di Montecitorio, cui avrebbe partecipato anche in livrea, ha contribuito non soltanto a mandare in galera centinaia di compagni, non solo a distruggere il più grande movimento rivoluzionario all'interno di quell'Occidente capitalista, che proprio la classe operaia e lavoratrice, con il proletariato, ha massacrato e continua a massacrare, ma all'affermazione di un giustizialismo sempre più forcaiolo, peronista e di destra. Quel giustizialismo di cui, oggi, in Italia, si fa corifeo culturale, tanto per intenderci, il Movimento 5 Stelle che, giusto a sinistra, sembra aver riempito vuoti ideali e politici incolmabili.
Dunque, nulla di nuovo se l'ex parlamentare Manuela Palermi, il neo nascente PCI dalle ceneri del vecchio Pdci del ministro della giustizia Oliviero Diliberto -colui che nel 1999 istituì il GOM (Gruppo Operativo Mobile), reparto di polizia penitenziaria addetto al controllo dei detenuti in regime di 41bis e alla repressione dei disordini carcerari, della  cui violenza hanno fatto e fanno le spese molti compagni ancora in galera- e ex rifondaroli si scagliano contro il punto programmatico di Potere al Popolo, che prevede l'abolizione del 41bis. 
Ho già espresso, senza pregiudizi e argomentazioni speciose, ma puntualmente motivandoli, i miei dubbi sulla lista. Dico però ancora che, se Potere al Popolo vuole effettivamente segnare uno spartiacque con i vecchi tatticismi politici di quella sinistra compatibilista fino al punto di divenire la più fervente sacerdotessa della statolatria borghese o la più servile vassalla del pensiero neo liberale -si pensi alla linea della fermezza tenuta dal Partito Comunista durante il rapimento Moro o alle attuali derive coercitive, con uso indiscriminato di manganelli e fermo di polizia, in materia di controllo sociale e immigrazione, adottate dal Pd - e porsi come embrione di qualcosa di veramente rivoluzionario, allora deve necessariamente liberarsi della zavorra rappresentata dai vecchi "professionisti della politica" -mi si passi la locuzione à la page- ancorché  compagni, e fare chiarezza su questioni dirimenti. La battaglia contro il 41bis, come quella per l'introduzione di un reato di tortura che non sia un capolavoro di incongruenza -specie in un momento in cui il Decreto Minniti e la repressione delle forze antagoniste costituiscono l'agenda politica di un governo impegnato attivamente nella cancellazione del dissenso: che si tratti di dicasteri in mano al Pd o al centro destra poco importa- rappresenta una battaglia culturale imprescindibile per il movimento comunista. Una battaglia su cui non è concesso trattare. E non sono concessi neppure sofismi o astruserie giuridiche, come i cinque anni di detenzione attenzionata per i boss della criminalità organizzata. Sappiamo, infatti, fin troppo bene, per esperienza, che simili provvedimenti, una volta emanati, vengono, alla lunga, estesi anche ad altre fattispecie e, quindi, a pagarne il prezzo sarebbero, in futuro, anche altri detenuti, specie i politici. La mafia infatti, se la si vuol sconfiggere, va combattuta sui territori, attraverso lotte e interventi di carattere sociale, politico, economico e, appunto, culturale.Non certo con il ricorso al 41bis o a secoli di galera, che servono più a ripulire la coscienza di un apparato statale spesso complice, che non ad eliminare un fenomeno incistato in una struttura sociale che nessuno, a quanto pare, vuol modificare.
Per questo, accanto ai No all'Unione Europea, all'Euro, alla Nato e al pagamento del Debito, è per me irrinunciabile il No al 41bis: tra l'altro, sovente, divenuto vile strumento di ricatto per costringere il detenuto a delazioni fittizie, quando non totalmente false, sull'onda emotiva della paura o sulla base di un calcolo puramente utilitaristico e personale.. Come il No all'ergastolo. E il superamento dell'istituto punitivo della pena, pensato come unico strumento di deterrenza del crimine o, peggio, come metodo rieducativo. In tal senso, le galere hanno fallito. E falliscono ancor di più le teorie che producono svolte restrittive e autoritarie. 
D'altronde, come ho già scritto altrove, non dimentichiamo che  secondo il filosofo e psicologo francese, Michel Foucault, tra la nascita del capitalismo e l’instaurazione del potere disciplinare esiste una causalità irriducibile e biunivoca: ciascuno dei due fenomeni ha alimentato l’altro e nessuno dei due avrebbe potuto mai assumere le proporzioni che ha assunto se non si fosse potuto poggiare sulle acquisizioni e sugli effetti dell’altro.
Scrive in pratica Foucault, in "Sorvegliare e Punire": «L’individuo è senza dubbio l’atomo fittizio di una rappresentazione “ideologica” della società, ma è anche una realtà fabbricata da quella tecnologia specifica del potere, che si chiama “la disciplina”. Bisogna smettere di descrivere sempre gli effetti del potere in termini negativi: il potere produce; produce il reale; produce campi di oggetti e rituali di verità. L’individuo e la conoscenza che possiamo assumerne derivano da questa produzione». Stando, dunque, a quanto dice Foucault, il potere produce innanzitutto sovrastrutture, morali e culturali, codici di comportamento, simboli, linguaggio e, di conseguenza, senso. Ecco, il potere produce senso e quindi, com’è facile comprendere, determina la differenza –storica e culturale- tra il Bene e il Male, tra ciò che è legale e ciò che non lo è, tra lecito e illecito, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. In una parola, stabilisce e precisa l’ethos all’interno di una società e di un particolare momento storico. Ne deriva che una delle principali peculiarità e finalità del potere –e specifichiamo che, quando Foucault parla del potere, si riferisce a quello dello stato borghese e liberale- risiede in ciò che egli definisce governamentalità, concetto che racchiude in sé quelli di sovranità e disciplina, affermatosi in Occidente proprio con la nascita del liberalismo e che, inequivocabilmente, conduce ad una gestione analitica, economica e disciplinare appunto delle masse. Con l’avvento dello stato liberale, insomma, siamo entrati nell’era della biopolitica e del biopotere. E, come approfondiranno, poi, in senso più squisitamente marxiano Cesarano e Agamben, attraverso la biopolitica, il Capitale ha avuto accesso al più completo e complesso dominio del reale, giungendo a sottomettere tutta la vita fisica e sociale ai propri bisogni di valorizzazione e restringendo, così, le possibilità di resistenza e opposizione al sistema, attraverso quella che il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han definisce, ormai, una vera e propria "psicopolitica". Categoria orwelliana decisamente inquietante, per mezzo della quale, afferma Han, il potere non disciplina più i corpi ma plasma le menti, non costringe ma seduce, sicché non incontra resistenza perché ogni individuo ha interiorizzato come propri i bisogni del sistema. Non certo il desiderio rivoluzionario, per parafrasare Deleuze.
Se si vuole continuare a definirsi marxisti e comunisti, quindi, è necessario rompere con questi paradigmi del pensiero borghese e cominciare a declinarne di nuovi. Ampliando gli orizzonti e spaziando liberi in essi.



VINCENZO MORVILLO

giovedì 28 dicembre 2017

POTERE AL POPOLO COME MOMENTUM DI CORBYN: UN'EQUAZIONE DA RIGETTARE

Due giorni or sono, a firma di Rosa Gilbert, è uscito, sul britannico The Indipendent, un pezzo in cui si afferma che l'unica sinistra, in Italia, è rappresentata da Potere al popolo, procedendo poi in un paragone, quello con Momentum di Jeremy Corbyn, non certo lusinghiero per un movimento che voglia fare della lotta radicale, al Capitale e alle sue molteplici e velenose ramificazioni, il perno cardine della sua stessa esistenza politica. Capisco, allora, che possa far piacere leggere su un Tabloid come The Indipendent -in un articolo che, sicuramente, fa impallidire i nostri media mainstream per obiettività e analisi della situazione sul campo in Italia- di Potere al Popolo, di Je so' pazzo e dell'ex Opg, dell'Usb e dei centri sociali, e nello specifico di Napoli, quale epicentro da cui nasce quest'innovativa proposta politica; pur tuttavia, non penso ci sia da rallegrarsi se lo stesso The Indipendent propone un'equazione, seppur procedendo per sommi capi, tra Potere al Popolo e Momentum di Corbyn. E tanto meno c'è da gioire se quell'equivalenza pone, come ulteriori termini di paragone, il Podemos spagnolo di Iglesias -la battaglia per l'indipendentismo catalano ne ha evidenziato tutte le fragilità sul piano dell'auspicabile rottura con l'Ue e lo Stato monarchico-franchista castigliano- o Insoumise di Melenchon, in Francia. 
Non va dimenticato, infatti, che, se tanto il movimento spagnolo quanto quello francese risultano compatibilisti rispetto alla cultura produttiva e borsistico-mercantile del capitalismo dominante, anche Momentum e la cosiddetta Corbynomics non sono da meno. Accusata, in Inghilterra, di proporre ricette di estrema sinistra e di stampo marxiano, l'economia corbiniana è, invece, nulla di più di un pacchetto di proposte "riformiste"- come sostenuto dallo stesso Corbyn- seppur orientate nel senso di quella socialdemocrazia, conciliatrice degli opposti interessi di classe, che, oramai, è essa stessa divenuta un miraggio nel panorama oscurato dalla dittatura del pensiero neoliberista. Un riformismo di matrice socialdemocratica, dunque, il cui perno è una sorta di quantitative easing -sul modello adottato dalla Bce di Mario Draghi- ma a vantaggio del popolo. Un programma economico rivolto sia a finanziare investimenti in infrastrutture pubbliche sia a cittadini e lavoratori e sostenuto da economisti di sinistra della scuola keynesiana -e qui ravviserei l'intoppo per una forza che si dichiara comunista e radicale- tra cui Steve Keen e David Blanchflower, i quali hanno fatto pubblicare sul Guardian un appello nel quale si afferma che l'«accusa, ampiamente diffusa nei confronti di Jeremy Corbyn e dei suoi simpatizzanti, consiste nell'essersi fatti promotori di una politica economica di estrema sinistra. Ciò non trova però fondamento nelle dichiarazioni e nelle politiche sostenute dal candidato. La sua opposizione rispetto alle politiche di austerità è coerente con quanto il pensiero economico prevalente afferma, e lo è persino con quanto sostenuto dal Fondo Monetario Internazionale». Quello stesso Fondo Monetario Internazionale insomma, che, insieme alla Bce, all'Ue e alla Banca Mondiale compone quella Troika alla quale si devono le misure di austerità che hanno prodotto e stanno producendo la macelleria sociale e il progressivo impoverimento dei paesi europei -ma anche altrove la situazione è la medesima- speculando, con le banche d'affari e le Multinazionali, su quel debito pubblico divenuto ormai un capestro cui impiccare i popoli di mezzo pianeta. Stiamo parlando, in sostanza, di quella cosiddetta "economia del debito" contro cui si ergeva, pagando con la morte il suo dissenso, Thomas Sankarà, allora presidente del Burkina faso. Troika ed economia del debito -Fiscal Compact in testa- che dovrebbero essere i principali obiettivi strategici contro cui scagliarsi da parte di forze anticapitaliste, e contro cui, difatti, i principali ispiratori di Potere al Popolo si sono scagliati da tempo. Ma alle parole di sfida dovranno, come sempre, seguire i fatti. Altrimenti, si rischia di fare la fine di Tsipras e Syriza in Grecia: proclami altisonanti, e poi testa china di fronte al ricatto dei comitati d'affare europei e dei creditori mondiali. In quest'ottica, quindi, mi pare evidente che parallelismi come quelli proposti dall'Indipendent debbano essere rifiutati categoricamente. Marcare la differenza sul versante delle lotte -se si preferisce, più teoricamente, sul versante della Lotta di Classe- dovrebbe essere prioritario, se si vuole scongiurare il rischio, non proprio trascurabile, che la percezione nei blocchi sociali di riferimento si riduca ad una semplice alleanza a scopi elettoralistici, imbevuta di astrazioni concettuali e parole vacue, simboliche e fortemente evocatrici, ma prive di corrispondenze nella realtà.
E proprio questi sono i dubbi -oltre alla precedente esperienza del Brancaccio- che mi assalgono sin dalla creazione di Potere al Popolo e che mi hanno portato alla decisione di non sostenere attivamente la lista, pur guardandola con favore e percependola come un embrione promettente di una politica in discontinuità  rispetto alle fallimentari esperienze del passato. Un embrione che, voglio sinceramente augurarmelo, nel corso del suo processo evolutivo -al di là delle elezioni, che continuo da decenni a considerare, oramai, una roulette truccata, i cui croupier sono, inequivocabilmente, servi dei poteri finanziari- possa spazzare definitivamente le esperienze legate tanto al consociativismo di un centro sinistra lontano milioni di anni luce dalla realtà del paese, quanto alle derive autoreferenziali della sedicente sinistra radicale, incapace, da tempo, di cogliere la tragedia sociale che va consumandosi sulla pelle di coloro che dovrebbero rappresentare, pur nella loro composita conformazione, la classe ed il blocco sociale di riferimento. Un embrione che sia vieppiù capace di tracciare una linea di demarcazione tra fittizi organismi verticistici, costruiti in laboratorio e a freddo, utili esclusivamente al riciclaggio di una classe dirigente prona agli interessi della finanza globale e smaniosa di accumulare una pur minima quantità di potere e denaro per sé stessa, e possibili, speriamo concrete, realizzazioni di forze sul campo, capaci di rompere, finalmente senza alcun compromesso, con quella che si configura, oramai da tempo, come la Dittatura Mondiale Neoliberista. Una versione, insomma, riveduta e corretta in senso peggiorativo, dello Stato Imperialista delle Multinazionali. La priorità rimane infatti, almeno per il sottoscritto, il No all' Unione Europea, il No all' Euro, il No alla Nato. E soprattutto, il No gridato al pagamento del Debito. Senza questa determinazione e questi No, che comportano, mi rendo conto, non pochi rischi in termini di un possibile ed eventuale spargimento di sangue -è bene chiarirlo subito, senza ipocrisie e senza nascondersi la crudele verità, adoperando come paravento la Democrazia e il Pacifismo- non si uscirà mai dalla condanna a morte emessa, nei confronti dei ceti più deboli, delle periferie del mondo e dei popoli del sud, da quelle elite finanziarie che hanno a cuore solo i loro interessi e la cui sentenza viene eseguita, giorno dopo giorno, lentamente ma inesorabilmente, da boia in giacca e cravatta, seduti nei consigli di amministrazione o su poltrone presidenziali o su parlamentari scranni da deputato. Il sangue scorre lo stesso, dilazionato e per procura. E malgrado elezioni libere e democratiche.
Al di là di questi conclusivi accenti pessimistici, faccio però, comunque, i miei migliori auguri a tutte le compagne e i compagni che stanno donando forza, energie, nervi alla lista Potete al Popolo. Sperando di essere smentito con i fatti e non solo con le parole.

lunedì 4 dicembre 2017

DA AMAZON A FIAT: LA LOTTA DI CLASSE È PADRONALE

Jeff Bezos, fondatore e patron di Amazon, vale 92 miliardi di dollari, circa 85 miliardi di euro. Intanto, nei suoi magazzini, operai e lavoranti sono letteralmente carne fresca da macellare:
nove secondi per afferrare e lavorare un articolo da spedire per l’imballaggio. L' l’obiettivo è 300 articoli l’ora, un’ora dopo un’altra, incessantemente. Undici ore di lavoro quotidiane, piegati in due, con turni, a volte, di sette giorni alla settimana, anche la notte. Una sorta di cronometro a controllare tempi ed efficienza, e telecamere a spiare se, per caso, ci si fermi. Tirare il fiato è vietato. Due sole pause di 30 min, per mangiare e, forse, andare in bagno. Ritmi massacranti, per 1.300 € lorde al mese. Una miseria per un lavoro da schiavi ottocenteschi, cui qualcuno non resiste. Non pochi accusano malori e svengono, venendo trasportati in ospedale con l'ambulanza. Ad attenderli, all'uscita, il licenziamento.  
Per venire a casa nostra, l'AD di Fiat-Chrysler, Sergio Marchionne -l'amico di Renzi e del Pd del rilancio economico e industriale, cui gli addetti alla comunicazione fanno sui social tanta propaganda- guadagna all'incirca 60 milioni all'anno, tra stipendio, bonus ed incentivi vari. Con le plusvalenze da stock-options, il "nostro" Marchionne potrebbe arrivare fino a 80 milioni circa. Negli stabilimenti Fiat, nel frattempo, i ritmi di produzione e di impiego della forza lavoro sono anche qui logoranti, al punto che molti operai parlano di veri e propri lager. Anche qui cronometri o chip per controllare la tempistica. Anche qui pause ridotte al minimo. Anche qui efficientismo disumanizzante. È la Fiat del metodo WCM 4.0, implementato dall'AD dei grandi successi. Praticamente, gli stabilimenti del Gruppo FCA adottano il sistema World Class Manufacturing (WCM appunto): una metodologia di produzione strutturata, rigorosa ed integrata che coinvolge l’organizzazione nel suo complesso: dalla sicurezza all’ambiente, dalla manutenzione alla logistica, alla qualità. Obiettivo primario del sistema WCM è migliorare continuamente tutte le performance produttive al fine di garantire l'alta qualità del prodotto e soddisfare le attese del cliente. Il WCM ha come finalità comune una sistematica riduzione delle perdite e degli sprechi, fino ad arrivare al risultato ultimo di zero: infortuni, zero rifiuti, zero guasti e zero giacenze. Il WCM si basa sull’aggressione sistematica di ogni tipo di spreco e perdita, e sul coinvolgimento di tutti (a tutti i livelli gerarchici dell’organizzazione), attraverso l’impiego rigoroso di metodi e standard. Ovviamente, neanche a dirlo, sicurezza, ambiente, manutenzione sono target soltanto nominali. L'obiettivo principale è la massimizzazione dei profitti, anche a danno dei lavoratori. Anzi, soprattutto. E così, via al processo di riduzione dei diritti, fin quasi all'azzeramento: fioccano gli esuberi per ristrutturazione e non si contano i licenziamenti per ragioni politiche e sindacali. I danni fisici, poi, sono la norma.
In altre parole, si sono perfezionati, grazie soprattutto alle moderne tecnologie, i sistemi di sfruttamento della manodopera. Colpa anche dell' incapacità delle forze comuniste di reagire ad una sconfitta, che ha lasciato, ai nuovi padroni del mondo, la possibilità di una ristrutturazione capitalistica di stampo talmente reazionario che, a fronte di essa, impallidiscono tanto la Controriforma post rinascimentale, operata dalla Chiesa, quanto la Restaurazione successiva al Congresso di Vienna, voluta dalle vecchie monarchie e volta a ripristinare l'Ancien Regime, rovesciato dalla Rivoluzione Francese. 
Quello che stupisce, però, è che gente come Bezos e Marchionne guadagni tanto, nonostante la crisi. Una crisi di sistema del Capitale. Una crisi che paghiamo noi, non certo lor signori. Anzi, una crisi che ha consentito loro di affondare i colpi di una Lotta di Classe padronale sanguinaria, realizzando il sogno di qualunque capitalista, sin dai tempi delle prime proteste e dei primi scioperi socialisti: reprimere e cancellare i diritti dei lavoratori. Che si torni allo schiavismo e tacciano i pezzenti. Una deriva impensabile nel corso del '900, all'epoca dell'avanzata delle forze produttive, amaro frutto, caduto dall'albero del XXI secolo, anche a causa dei continui compromessi fatti, a vario titolo, negli anni, dai partiti comunisti occidentali. A cominciare dal nostro PCI. 
La crisi, dunque, la paghiamo noi, non c'è dubbio. Per loro, per questi nuovi monarchi a capo di imperi di carta-moneta, la quantità di denaro e di potere, nel processo di accumulazione capitalistico, sembra non esaurirsi. Magie dei grafici di Borsa e della finanziarizzazione di un'economia sempre meno reale.  
Con tali premesse, appare altresì evidente come il gioco  elettoralistico, su cui dovrebbero poggiare le democrazie, sia ormai falsato. Chi, considerando gli interessi in ballo, affiderebbe esclusivamente al corpo elettorale la  scelta di un governo, il cui unico scopo è quello di varare leggi a tutela dei capitali, dei patrimoni e delle multinazionali? Così, quando accade che, dalle elezioni, esca, per miracolo, un risultato sfavorevole ai comitati d'affari globalizzati, allora questi mettono in atto ricatti tali da far tremare i polsi. Grecia, Catalogna, Venezuela, per fare solo qualche esempio, ne sono una rappresentazione eclatante. Il debito da pagare è l'arma in loro possesso e la usano come dei volgari tagliagole. Pertanto, i ribelli, gli antagonisti, vanno schiacciati perché nulla può essere concepito fuori dall'unico modello possibile e dal pensiero unico dominante. Il Neoliberismo. Selvaggio e criminale. Contro questa dittatura globale, c'è, perciò, una sola risposta da dare. Come sosteneva Thomas Sankara, il debito non si paga. Che vengano pure a massacrarci tutti. Lo stanno già facendo!

venerdì 24 giugno 2016

L'IRRIFORMABILITA' DELL'EUROPA, IL CHE FARE(?) DEI COMUNISTI E L'ELEMENTO DI CONFUSIONE ROSSOBRUNO


Parliamoci chiaro: L'Europa è irriformabile. Non si contratta, per impossibilità di dialogo, con i mafiosi, benché in doppiopetto. La loro tattica è il ricatto. La loro strategia, la macelleria sociale. Con quest' Europa o si va allo scontro frontale e di Classe o si soccombe come popolo. Ovviamente, come popolo nell'accezione marxista, materialista, come entità dialettica e in movimento; non come popolo nel senso fascista o, meglio, nazionalsocialista: entità metafisica, spirituale, culturalmente immutabile e chiusa. Questa è una discriminante fondamentale -per non cadere in eventuali confusioni- che da marxisti e comunisti dovremmo sempre tenere presente e rimarcare, con chiunque ci accusi di pensarla come la fascisteria varia. Non saimo Terzoposizionisti o Nazimaoisti! Tra l'altro, i fascisti, da sempre complementari al Capitale, sebbene ne prendano le distanze su un piano etico-spiritualistico (Evola, Guenon, Freda) puntano ad una composizione statale di tipo elitario, aristocratico, nel senso greco, finendo, sempre, per favorire le elite economiche o per inglobarle, come fece il nazismo. Il loro obiettivo è la tutela degli interessi padronali, in chiave nazionalista, e il corporativismo economico, detto anche, ambiguamente, socializzazione, come propugnato durante la Repubblica Sociale di Salò. Il nostro obiettivo, invece, è la Democrazia Popolare e la collettivizzazione, con potere alle masse, senza alcuna concessione al padronato, in un aperto confronto tra culture diverse che interagiscano, si confrontino e si completino.  Insomma, razzismo e xenofobia non ci riguardano; mentre molto ci riguarda l'inserirci nei processi politici e nelle dinamiche sociali e fare esplodere le contraddizioni.
Ciò chiarito, andare allo scontro significa rigettare in toto il pagamento degli interessi sul debito, la restituzione del debito stesso -arma imperialista, come disse Thomas Sankara- rifiutare il fiscal compact in costituzione e qualunque altro accordo di stampo mercantile: che si chiami TTIP o WTO; affossare lo strapotere del mercato e delle multinazionali, che ne controllano gli andamenti con i fondi speculativi, contrastare l'Imperialismo, in ogni sua forma -vale a dire economica o militare- ma, soprattutto, marcare una forte connotazione di Classe nella composizione della massa critica, all'interno del blocco sociale da costruire. Con queste premesse, almeno personalmente, non credo ad alcuna riedizione di Tsipras in salsa italica o di una novella Podemos, che pure parla di rinegoziazione dei trattati europei. E non m'interessa il movimento DiEM 25, lanciato da Varoufakis e al quale pare accodarsi De Magistris. Iniziative senz'altro interessanti, con cui dialogare e aprire un confronto, ma che commettono tutte lo stesso errore: sperano di riformare l'Europa. Un'entità irriformabile, per la sua stessa natura. La natura di un gioco ad incastro di Potentati Finanziari, Borse, Banche, Multinazionali, Apparati Militari, Leggi. Agenzie di Rating e predominio USA, cui fanno riferimento i due più importanti organismi sovranazionali di controllo e indirizzo dell'economia mondiale:  FMI e Banca Mondiale. Il tutto organizzato in una sorta di RisikoMonopoli, dove i dadi (Le Democrazie) sono truccati e le alleanze imperialiste si susseguono a guerre inter-imperialiste, sui campi di battaglia o sui grafici di Borsa; e di cui a fare le spese sono i paesi e i popoli più poveri, specie quelli del Sud. Dunque, tornando al punto di partenza, ribadisco che, secondo me, l'Europa non si riforma. L'Europa, quest'Europa, nel solco della più drammatica crisi che attraversa il Capitalismo dal giorno del suo avvento, va sovvertita. E' il compito dei Comunisti, da sempre. La soluzione è lo scontro, costi quel che costi. Perché, come diceva Che Guevara: "In una rivoluzione, se è vera, si vince o si muore"

L'IRRIFORMABILITA' DELL'EUROPA, IL CHE FARE(?) DEI COMUNISTI E L'ELEMENTO DI CONFUSIONE ROSSOBRUNO



Parliamoci chiaro: L'Europa è irriformabile. Non si contratta, per impossibilità di dialogo, con i mafiosi, benché in doppiopetto. La loro tattica è il ricatto. La loro strategia, la macelleria sociale. Con quest' Europa o si va allo scontro frontale e di Classe o si soccombe come popolo. Ovviamente, come popolo nell'accezione marxista, materialista, come entità dialettica e in movimento; non come popolo nel senso fascista o, meglio, nazionalsocialista: entità metafisica, spirituale, culturalmente immutabile e chiusa. Questa è una discriminante fondamentale -per non cadere in eventuali confusioni- che da marxisti e comunisti dovremmo sempre tenere presente e rimarcare, con chiunque ci accusi di pensarla come la fascisteria varia. Non saimo Terzoposizionisti o Nazimaoisti! Tra l'altro, i fascisti, da sempre complementari al Capitale, sebbene ne prendano le distanze su un piano etico-spiritualistico (Evola, Guenon, Freda) puntano ad una composizione statale di tipo elitario, aristocratico, nel senso greco, finendo, sempre, per favorire le elite economiche o per inglobarle, come fece il nazismo. Il loro obiettivo è la tutela degli interessi padronali, in chiave nazionalista, e il corporativismo economico, detto anche, ambiguamente, socializzazione, come propugnato durante la Repubblica Sociale di Salò. Il nostro obiettivo, invece, è la Democrazia Popolare e la collettivizzazione, con potere alle masse, senza alcuna concessione al padronato, in un aperto confronto tra culture diverse che interagiscano, si confrontino e si completino. Insomma, razzismo e xenofobia non ci riguardano; mentre molto ci riguarda l'inserirci nei processi e nelle dinamiche sociali e fare esplodere le contraddizioni.
Ciò chiarito, andare allo scontro significa rigettare in toto il pagamento degli interessi sul debito, la restituzione del debito stesso -arma imperialista, come disse Thomas Sankara- rifiutare il fiscal compact in costituzione e qualunque altro accordo di stampo mercantile: che si chiami TTIP o WTO; affossare lo strapotere del mercato e delle multinazionali, che ne controllano gli andamenti con i fondi speculativi, contrastare l'Imperialismo, in ogni sua forma -vale a dire economica o militare- ma, soprattutto, marcare una forte connotazione di Classe nella composizione della massa critica, all'interno del blocco sociale da costruire. Con queste premesse, almeno personalmente, non credo ad alcuna riedizione di Tsipras in salsa italica o di una novella Podemos, che pure parla di rinegoziazione dei trattati europei. E non m'interessa il movimento DiEM 25, lanciato da Varoufakis e al quale pare accodarsi De Magistris. Iniziative senz'altro interessanti, con cui dialogare e aprire un confronto, ma che commettono tutte lo stesso errore: sperano di riformare l'Europa. Un'entità irriformabile, per la sua stessa natura. La natura di un gioco ad incastro di Potentati Finanziari, Borse, Banche, Multinazionali, Apparati Militari, Leggi, Agenzie di Rating e predominio USA, cui fanno riferimento i due più importanti organismi sovranazionali di controllo e indirizzo dell'economia mondiale: FMI e Banca Mondiale. Il tutto organizzato in una sorta di RisikoMonopoli, dove i dadi (Le Democrazie) sono truccati e le alleanze imperialiste si susseguono a guerre inter-imperialiste, sui campi di battaglia o sui grafici di Borsa; e di cui a fare le spese sono i paesi e i popoli più poveri, specie quelli del Sud. Dunque, tornando al punto di partenza, ribadisco che, secondo me, l'Europa non si riforma. L'Europa, quest'Europa, nel solco della più drammatica crisi che attraversa il Capitalismo dal giorno del suo avvento, va sovvertita. E' il compito dei Comunisti, da sempre. La soluzione è lo scontro, costi quel che costi. Perché, come diceva Che Guevara: "In una rivoluzione, se è vera, si vince o si muore".

sabato 2 maggio 2015

EXPO E INETTITUDINE BORGHESE

E dunque, la buona e bella borghesia italica, di destra e di sinistra, con in testa il suo corifeo, quel Ro(ma) Ber(lino)To(kio) Saviano che non perde occasione per gettare fango sui movimenti antagonisti, s'indigna per un paio di macchine bruciate e per qualche vetrina rotta di banca e negozio. Non s'indigna, però, questa massa informe ed inetta -alla quale piace solo lamentarsi e giudicare, con il suo ammorbante moralismo pretesco, dalle comode poltrone di casa- per la repressione, continua e feroce, che lo Stato "democratico" mette in campo, ogni giorno, attraverso gli organi di Polizia e tramite la magistratura, contro il pensiero critico ed il dissenso per quello che, a tutti gli effetti ormai, è un sistema di dominio, politico ed economico, stritolante ed assassino, di cui le prime vittime siamo noi e la Terra. Non s'indigna per la costante mistificazione dell'informazione, compiuta dai media main stream, che manipolano notizie e fatti e, con essi, le nostre anestetizzate coscienze . Non s'indigna per la glorificazione, da Istituto Luce, della passerella renziana. Non s'indigna per il fatto che all'Expo si parli di cibo, quando, un terzo del pianeta muore di fame e l'altro terzo -noi, per capirci- non sa bene cosa realmente mangi, grazie alla sofisticazione alimentare compiuta dalle multinazionali del settore; o si nutre con junk found (cibo spazzatura ndr.) con tutti i danni organici che esso provoca. All'Expo di Milano i grandi marchi ci sono tutti: Mc Donald's, Coca Cola, Monsanto, Syngenta, Nestlè, Eni, Dupont, Pioneer. Non s'indigna, questa melma vile, per i continui licenziamenti e per i continui soprusi che, pure, essa stessa, o i suoi stessi figli, subiscono. Non s’indigna per la violenza in nome del profitto di pochissimi. Violenza in nome dell’avidità e del potere. Violenza in nome del possesso delle altrui esistenze, praticata da quelli che, a tutti gli effetti, sono diventati i padroni delle nostre vite! No, questi idioti, decerebrati da troppa televisione, questi incapaci, che hanno abdicato alla propria intelligenza e delegato il proprio destino , ponendolo nelle mani dei loro stessi carnefici, si indignano per qualche danno alla proprietà privata. Mentre il Bene Comune va a farsi fottere, insieme alle nostre vite. E non si accorge, il grigio borghese, che in piazza, la gioventù che arde, al fuoco della Libertà e della Giustizia Sociale, combatte anche la sua battaglia.
"Tutti vedono la violenza del fiume in piena, nessuno vede la violenza degli argini che lo costringono" B.Brecht